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giovedì 9 settembre 2021

Il Fato

Gæð a wyrd swa hio scel.

Così recita il secondo semiverso del quattrocentocinquantacinquesimo verso del poema anglosassone Beowulf.
Il Fato procede secondo la sua volontà.

Wyrd bið ful aræd.

Così recita il secondo semiverso del quinto verso del poema anglosassone The Wanderer [1]. 
Il Fato è inesorabile.


Quante volte abbiamo sentito persone a noi vicine discutere sulla loro vita e su quanto fosse stata ingiusta la sorte nei loro confronti?
Molte.
Quante volte noi stessi dentro di noi ci siamo lamentati per qualche accadimento spiacevole che il Fato ci ha riservato?
Molte e negarlo sarebbe inutile.
Quante volte davanti a consigli del tipo "Non soffermarti sulla tua sofferenza ma vai avanti!" ci siamo sentiti rispondere "Cosa puoi capire tu della mia sofferenza e del mio dolore?".
Molte.

Ogni individuo sperimenta una serie di sensazioni fra loro ordinabili per grado e intensità ed è logico asserire che il dolore più grande provato da un individuo appare a quest'ultimo come la somma sofferenza a cui il genere umano  ha dovuto far fronte. Perché ciò accade? Semplice, perché l'individuo in quel momento non possiede un termine di paragone più grande e grave di questo. Il suddetto individuo sperimentando un dolore più grande del precedente porrà questo al vertice scalzando il precedente e così via.

La nostra natura di uomini moderni ci spinge spesso a concepire un evento doloroso come un fallimento da cui dover fuggire, come un'incrinatura di un ordine artificiosamente perfetto. 
Ecco che il Fato, nel manifestarsi in tutta la sua apparente indifferenza per i destini degli dei e degli uomini, acquisisce una dimensione negativa. Gli uomini lo calunniano oppure rinunciano a credere in esso definendo la loro esistenza come un'esperienza legata al caso e quindi priva di qualsiasi fondamento metafisico.

Le popolazioni germaniche, sia continentali che scandinàve, credevano nel Fato intendendo quest'ultimo come una suprema sorte a cui neppure gli Dèi potevano sottrarsi.
Innumerevoli sono le saghe che offrono uno spaccato di questo sentimento, prima fra tutte la Gísla saga Súrssonar. In questa il protagonista, dopo essere stato dichiarato fuorilegge per aver vendicato con l'omicidio l'uccisione di un suo fratello di sangue, cerca in tutti i modi di sfuggire alla vendetta dei parenti dell'ucciso, nascondendosi negli anfratti più profondi dell'Islanda.
Seppure vivendo così egli fosse al sicuro dai suoi nemici, il suo sonno era turbato da visioni e da premonizioni che si rivelarono essere vere. Gísli morirà proprio come nel suo sogno: stanco di fuggire decide di abbracciare il suo Fato affrontando i suoi nemici. 
Il capitolo IX della suddetta saga si chiude così: «[...] því at mæla verðr einnhverr skapanna málum, ok þat mun fram koma, sem auðit verðr» ossia: «[...] il Fato deve trovare qualcuno tramite cui parlare e ogni cosa che deve accadere accadrà di certo».
 
Il Fato va seguito, qualunque esso sia, e non va combattuto. Opporvisi è inutile tanto quanto negarne l'esistenza.

 

È nostra intenzione chiudere questo breve articolo con il testo di un Lied tedesco che vuole essere d'esortazione a tutti coloro che dubitano di sé stessi se posti dinanzi al Fato:

 
Essere un lanzichenecco è la mia indole 
e nel pensare solo alla guerra e al vagare
mandai in frantumi la mia fortuna! 
Non ebbi cura alcuna della casa paterna
e così, come è prevedibile, io finii in rovina. 
 
O vecchi miei, voi avete ragione: 
io ho amato, combattuto e gozzovigliato,
non ho nulla da lasciare come eredità!
Non giurai promessa alcuna sull’altare
eppure per la mia amata ugualmente morirei! 
 
Molte volte l’acciaio affondò nelle mie carni
bruciando più di un’ardente fanciulla -
o Morte, di ciò non ho alcun rimorso!
Non appena le ferite si rimarginavano
io, o fratelli, tornavo da voi ancora!
 
Ora che invecchio sempre più, anno dopo anno,
non sono più quello che un tempo ero,
le mie armi arrugginiscono sotto chiave.
Lasciami, o Dio, cadere in battaglia!
Credimi, anche nel morire io ti ringrazierei! [2]
 
 
Siate come il protagonista del Lied che avete appena letto: cercate di non avere rimpianti e accettate il vostro Fato che sempre coincide con ciò che voi siete, chiedetegli un'occasione di redenzione ma nulla più.
Seguendo questo link potrete trovare una versione cantata del suddetto Lied con annessa traduzione:
 

 

Note:

- [1] cfr. Exeter Book, XXIII.

- [2] La traduzione è nostra. Segue ora il testo originale:

Ein Landsknecht bin ich von Natur 
und dächt an Krieg und Wandern nur, 
schlüg selbst mein Glück in Scherben! 
Hätt' keinen Sinn fürs Elternhaus, 
drum muss ich auch, man sieht's voraus, verderben! 
 
Ihr lieben Leut, ihr habt ja recht: 
Ich habe geliebt, gekämpft und gezecht, 
bei mir ist nichts zu erben! 
Ich schwur nie Treue vor dem Altar, 
und doch könnt für mein Lieb, fürwahr, ich sterben! 
 
Es biss manch Stahl in meinen Leib,
viel heißer als ein glühend Weib - 
Tod, ich spürt' keine Reue! 
Und sind die Wunden kaum geheilt, 
bin, Brüder, ich zu euch geeilt aufs Neue! 
 
Nun werd ich älter Jahr um Jahr, 
bin nicht mehr der, der einst ich war, 
mein Werkzeug rost’t im Schranke. 
Lass, Gott, im Kampfe fallen mich!
Glaub mir, dass noch im Sterben ich Dir danke!