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domenica 30 settembre 2018
Amuleti, protezione e magia fra gli antichi slavi
sabato 29 settembre 2018
Di tribalismo, stato, burocrazia e libertà
Cos’è lo stato?
Più ci rifletto e più mi convinco che lo stato (pre e post) nazionale, e la burocrazia da lui imposta, siano quanto di più strano è stato prodotto, a livello di organizzazione sociale, negli ultimi millenni (da Roma, per lo meno, in poi).
Si tratta fondamentalmente di una entità astratta, slegata da qualunque ottica tribale e reale, un mostro multicefalo che dirige, come fa un carceriere con un detenuto, la vita di tutti coloro che capitano sotto le sue grinfie.
Decide la nostra istruzione, fin dalla più tenera infanzia le nostre giornate sono infatti scandite da quanto questa entità ha deciso per noi, decide quante ore dobbiamo dedicare ad ogni materia, quando (e spesso cosa) possiamo mangiare e quando possiamo riposare. Questo fino alla maggiore età, almeno, per taluni molto più a lungo.
Al contempo ci insegna cosa dobbiamo pensare, quali valori “civici” dobbiamo fare nostri, a chi dobbiamo obbedienza assoluta e ovina (maestri, professori, pubblici ufficiali in genere) pena la perdita di quel poco di libertà che ci rimane.
Ci dice inoltre come ci dobbiamo sentire (italiani, francesi, spagnoli ecc) schiacciando qualunque moto d’indipendenza o di presa di coscienza di identità locale, che è sempre stata, e sempre sarà, l’unica identità reale e tangibile, in quanto legata a quanto vi è di più vero nella vita di un uomo o di una donna: la propria terra, la propria famiglia e la propria tribù d’appartenenza.
Perché, sia ben chiaro, allo stato non importa nulla di nulla di dove tu sia a livello geografico e di quale sia la tua cultura, esso impone le sue leggi ovunque, decide quali complicanze burocratiche devono rendere difficile la vita ad un contadino di Castelponzone così come ad un pescatore di Morciano di Leuca, e lo fa da lontano, senza nulla conoscere di come siano le cose a livello pratico, con la ferocia belluina tipica di ogni entità burocratica e astratta.
Lo stato ci vuole quindi appiattiti, più che eguali, piccoli ingranaggi di questa macchina chiamata società che ingrassa a spese di chi viene schiacciato.
E cosa ci dona, in cambio? La possibilità, di tanto in tanto, di decidere (fra una lista decisa a priori) da quale bovaro preferiamo essere presi a frustate sul culo per i prossimi cinque anni, qualche traballante cura medica, strade e protezione (relativa) dai pericoli esterni.
In definitiva lo statalismo, che altro non è che centralismo spinto alle sue estreme conseguenze, si dimostra come un movimento spiritualmente arido, incapace di comprendere e quindi limitato ad una mera funzione di cieco burocrate, è pertanto da condannare in ogni sua forma e derivazione, sia essa nazionale (o nazionalista) o internazionale.
Tribalismo e burocrazia non possono, e non devono, coesistere.
venerdì 28 settembre 2018
Necromanzia & Negromanzia- Terza parte
Dell’epoca preistorica, conserviamo diversi miti che richiamano alla “potenza della testa” e all’uso delle ossa. Qualunque siano i miti, non vanno interpretati con valenza troppo intellettuale.
Dal divieto di spezzare le ossa o danneggiarle, alle teste degli animali, alle teste umane che venivano conservate, curate e trattate per entrare in contatto con il defunto o come offerta lasciata nelle grotte per propiziarsi gli dei (specialmente nell’epoca dei cacciatori e raccoglitori).
Lampante in questo caso è l’esempio di Odino che tratta la testa di mimir per conservarla ed accedere cosi alla conoscenza e praticare la divinazione. Questa pratica potrebbe essere una reminiscenza di antiche culture; in effetti l’uso delle ossa per la rianimazione è una pratica molto diffusa tra le popolazione dell’Eurasia settentrionale (Sami, Mansi, Khanty, buriati, giliaky ecc.) fra questi alcuni sono cacciatori, altri pastori nomadi ed altri ancora praticano contemporaneamente entrambi i sistemi di vita.
In molti miti degli antichi germani e del Caucaso affiora tutto ciò. Troviamo i miti sull’importanza delle ossa anche in africa, africa meridionali, Oceania e Australia, questo per comprendere quanto sia vasto l’argomento e non collocabile geograficamente in un luogo.
giovedì 27 settembre 2018
Necromanzia & Negromanzia- Seconda parte
Le informazioni che possediamo sulla necromanzia, come pratica divinatoria, portano a supporre che ad essa sia legata una forma di credenza di vita oltre la morte ed il continuato interessamento dei morti al mondo dei vivi, per questo motivo può essere associata con la venerazione degli antenati (enciclopedia delle religioni - volume 12).
La maggior parte delle informazioni dei popoli nordici e germanici deriva dalle saghe, con riferimenti nell’Edda. Odino tra le altre cose è il dio dei morti ed in un racconto risveglia una profetessa morta per consultarla (nei miti il risveglio di profetesse per la consultazione assicurava una “forma di magia divinatoria” più potente del “normale”). La necromanzia è solo una tra le tecniche di divinazione, considerata anche particolarmente pericolosa quando i defunti non erano membri della famiglia.
Che odino praticasse necromanzia/negromanzia in quest’ottica non è di certo fonte di stupore, poiché la cultura indoeuropea è palesemente dedita al culto degli antenati e della stirpe (*). Odino è il dio dalle innumerevoli “funzioni”, il più antico ed esponente massimo del pantheon: signore delle battaglie, dio dei guerrieri morti, patrono dei poeti, grande mago, padrone delle rune (anche se non ha il monopolio assoluto, poiché egli divide la conoscenza con altri “esseri”, è sicuramente il detentore della più estesa conoscenza sulle rune. Egli non è l’inventore delle rune poiché a differenza dell’havamal (stanza 138-139) e del sigrdrifumal (stanza 3) le iscrizioni runiche dicono che provengono dagli dei e non da un “singolo”. Vedi stanza 143 havamal), veggente da un solo occhio, nume tutelare dei guerrieri vivi e divinità imprevedibile.
Nell’ Ynglingasaga a lui è attribuito un esercito spettrale e viene chiamato draugadróttinn (signore degli spettri) allineato con la tradizione meridionale di Wotan (da tener sempre presente, che ad odino vanno la metà dei morti caduti in battaglia e che quindi non è divinità esclusiva di tutti i morti).
mercoledì 26 settembre 2018
Necromanzia & Negromanzia - Prima parte
La necromanzia è l’arte o la pratica, di evocare magicamente le anime dei morti. È in primo luogo una forma di divinazione. Lo scopo principale è la ricerca di informazioni riguardanti cause sconosciute o il futuro degli eventi (la causa di morte del defunto può essere tra i fatti ricercati).
In generale quest’arte è considerata sinonimo di magia, stregoneria o incantesimo, probabilmente perché il fatto di richiamare i defunti può avvenire per scopi diversi dalla ricerca di informazioni o perché non risulta chiara la separazione della divinazione dalle sue conseguenze.
Vi è una base linguistica allargata per questo termine (necromanzia); il termine “arte nera” sembra essere basato su una corruzione della necromanzia (dal greco necros: morti) in negromanzia (dal latino niger: nero). La differenza tra le due pratiche non è sempre netta come si può pensare, e difficilmente si può tracciare una linea di demarcazione netta tra necromanzia e negromanzia, ma possiamo “tracciare” qualche limitazione e rintracciare nei miti qualche punto interessante.
La necromanzia è limitata alla pratica di evocazione magica dei morti, non includendo contatti che impieghino medium come nello spiritismo. Essa non include neppure il contatto con le anime dei morti durante il viaggio dello spirito dello sciamano (discorso ampio che non è argomento del post, quindi è un accenno molto limitato), ad eccezioni delle anime dei defunti facenti parte del sogno.
lunedì 24 settembre 2018
Canti fra le rovine
Ombre fra le foreste, al ritmo di una nenia antica quanto il mondo danzano uomini mascherati.
Alce e renna, cervo e cinghiale si muovono a passi ritmici, misurati.
Gli Dèi osservano, ballano, guidano.
Dal mar baltico al mar del Giappone, dalle foreste di Scozia alle paludi del Po.
Eurasia tribale, bianca, sacra.
Così come un tempo, molto prima di ogni cattedrale, quando ancora la vita fluiva fra i mondi, indisturbata e rapida.
Così come sarà fra le rovine di questo mondo, quando gli scheletri anneriti delle città ospiteranno ancora danze, canti e tribù, mentre la natura farà il suo corso riprendendosi quanto le appartiene.
Alla pioggia di fuoco seguiranno piogge benedette, che porteranno nuovamente la vita, spazzando via ogni traccia desertica così che il seme possa sconfiggere il cemento e tutto tornare come deve essere.
domenica 23 settembre 2018
Gli Slavi e le loro dimore, parte III
Insieme alla porta, la soglia co-creava una parte del confine tra due frammenti di spazio.
L'importanza della soglia derivava dalla sua duplice natura: la separazione degli spazi e la possibilità di spostarsi tra le due aree create. Nel pensiero simbolico, la soglia potrebbe essere identificata (e sostituita metonimicamente) con i punti critici che si verificano quando si passa da uno stato all'altro (ad es. Natura / cultura, notte / giorno) o da uno stato personale (ad es. Infanzia / adolescenza, single / sposato) . Essendo una frazione del confine e l'esponente del suo attraversamento, la soglia aveva le caratteristiche di un'area di confine, e quindi era ontologicamente insicura. E così, richiedeva una protezione speciale, comportamenti rituali e trattamenti magici specifici.
Le azioni apotropaiche erano anche legate alle soglie delle stalle. L'azione principale eseguita era seppellire animali e monete sotto la soglia, o posare asce, aglio, scope, coltelli e / o erbe intrecciate in una ghirlanda sulla sua superficie.
Pochissimi documenti storici descrivono anche il ruolo della soglia tra gli slavi dell'Alto Medioevo. Secondo fonti archeologiche, il suo ruolo protettivo (e, allo stesso tempo, la protezione dell'intera casa) può essere confermato dal teschio di un uro trovato a Danzica (1230-1255 circa), trovato vicino al muro sud-est di una casa, posto in parallelo con esso, in un vicolo tra due case. L'incompletezza del materiale archeologico relativo al periodo dell'Alto Medioevo non consente di determinare il ruolo esatto di questa parte della casa nei trattamenti apotropaici.
Secondo le credenze slave, la scopa, posta sulla soglia di una casa o di una stalla, difendeva l'entrata dalle streghe e proteggeva dal malocchio.
Note:
- Tradotto e rielaborato da Slavic protective magic in the Early Middle Ages on Polish territories di Joanna Wawrzeniuk
In collaborazione con la pagina FB Slavic Polytheism and Folklore notes
sabato 22 settembre 2018
Gli Slavi e le loro dimore, parte II
La costruzione di una casa è una specie di gesta deorum (i.e. "storia delle azioni divine") che si collega alla creazione del mondo.
La scelta di un luogo per la creazione di una casa veniva attentamente pensata e caratterizzata. Le persone cercavano i segni che venivano dati dagli animali o dalla natura. Vari tipi di animali (inclusi cani, gatti, teschi di cani e di cavalli, gallo nero e / o corone), o persino monete, venivano sepolti all'interno delle fondamenta o murati in essi.
Negli esempi citati di offerte di fondazione si possono trovare echi di riti risalenti a tempi antichi. Si può notare che il sacrificio umano era inizialmente il più desiderabile e che fu successivamente sostituito da offerte di animali e piante. Altri tipi di offerte conosciute da fonti archeologiche sono quelle di teschi umani, animali - con un particolare ruolo di cavalli e uro (un grande bovino estinto). Sono state trovate anche uova colorate, uova intere o gusci d'uovo (compresi quelli colorati), sepolti nel terreno per nutrire gli spiriti, per assicurarne la cura e per placare i demoni. I recipienti per le offerte erano soliti contenere cereali, noci, semi, ossa e le squame utilizzate al posto del pesce reale.
Noci e semi, come le uova, avevano il compito di assorbire le forze del male e di contenerle all'interno; anche ghirlande di vimini, salice o ghirlande fatte di ramoscelli e o capelli/crini di cavallo potrebbero essere una forma specifica di offerta, svolgendo una funzione apotropaica specifica. Un grande numero di ghirlande di floema è stato rinvenuto durante gli scavi a Danzica e a Wolin.
Note:
- Tradotto e rielaborato da Slavic protective magic in the Early Middle Ages on Polish territories di Joanna Wawrzeniuk
In collaborazione con la pagina FB Slavic Polytheism and Folklore notes
venerdì 21 settembre 2018
Gli Slavi e le loro dimore, parte I
La casa era un luogo speciale per gli antichi slavi; partecipava alla vita familiare e ai riti annuali ma era anche un riflesso del cosmo.
La struttura della casa non aveva quindi nulla a che fare con la casualità. Il posto centrale della casa era occupato da una stufa o un camino, che fungeva da centro del mondo, o un angolo, pokucie - la sede degli spiriti ancestrali.
Tutte le azioni eseguite all'interno della casa e intorno a esso portavano i segni distintivi della magia. Questi erano principalmente rituali protettivi, progettati per proteggere gli abitanti della casa contro altre persone, animali o spiriti, così come contro malocchi e maldicenze. Le misure di protezione venivano per lo più eseguite intorno e all'interno della casa. Possono essere divise in tre gruppi:
1. trattamenti relativi alla costruzione della casa;
2. trattamenti relativi alla protezione diretta dei suoi abitanti e del bestiame;
3. trattamenti relativi alle attività agricole e artigianali.
La magia protettiva di una casa con i suoi abitanti e il suo bestiame era di fondamentale importanza. I trattamenti venivano anche utilizzati per garantire il benessere e la cura di una casa specifica e il suo intero inventario, nonché per chiedere un buon raccolto e favorire i residenti della casa. Senza un'adeguata protezione, non si poteva contare sulla prosperità e sulla felicità famigliare.
Note:
- Tradotto e rielaborato da Slavic protective magic in the Early Middle Ages on Polish territories di Joanna Wawrzeniuk
In collaborazione con la pagina FB Slavic Polytheism and Folklore notes
mercoledì 19 settembre 2018
Tīwaz
martedì 18 settembre 2018
C’è un Re pazzo in estremo oriente
Una leggera pioggia bagna le terre collinose, uomini a cavallo, il viso sferzato dal vento, cavalcano lentamente verso il loro destino.
Legno, osso e corno, i loro archi riposano in attesa del momento terribile.
Nimi li guida, pazzo Re, primo fra i pari, sempre pronto alla lotta quanto alle risa, la sua mente e il suo spirito vagano inquieti, perennemente in bilico fra l’euforia e la cupezza, fra la saggezza e una totale follia.
Ai confini di un vasto Impero conduce i suoi uomini, bramosi di gloria e bottino, di canzoni e fuochi.
Nimi si corica con le veggenti, parla con gli Dèi, vede ciò che fu, accetta ciò che sarà, ulula alla luna insieme ai lupi e caccia solitario nelle buie foreste seguendo il richiamo di tamburi sacri, segreti ad ogni altro uomo.
Nudo lascia il proprio accampamento all’imbrunire per tornare, al sorgere del sole, coperto di pelli, nervi e sangue.
C’è un Re pazzo in estremo Oriente, oltre i confini della civiltà, fra foreste e colline dove le tigri attendono.
C’è un Re saggio in estremo oriente che danza nel buio e segue la luce, che obbedisce agli Dèi e tende a tutto ciò che è sacro e vero.
sabato 15 settembre 2018
Loki e la Lokasenna, parte III
La 'Lokasenna' - seppur possa apparire estranea e posteriore all'Edda Poetica - è ricca di informazioni inedite quale ad esempio la fratellanza di sangue fra Loki ed Odino, informazioni che vanno inevitabilmente a confliggere con il ruolo assegnato a Loki da Snorri Sturluson nella sua Edda in Prosa; come già detto in precedenza fu Loki a spingere l'ignaro Höðr ad uccidere Baldr, figlio di Odino.
Con l'Edda di Snorri nacque quindi una tradizione differente da quella narrata dalla 'Lokasenna' dell'Edda Poetica come pure da quella narrata da Saxo Grammaticus - contemporaneo di Snorri - nelle 'Gesta Danorum' (i.e. "Gesta dei Dani") dove si narra di come fu la rivalità tra Balderus (i.e. Baldr) e Hotherus (i.e. Höðr), conseguenza dell'amore che entrambi provavano per Nanna, a spingere Hotherus ad uccidere Balderus.
Tradizioni posteriori e geograficamente differenti seppur nate dallo stesso seme mitologico portano con sé versioni differenti ed è difficile determinare quale fra le tante sia quella delle origini; ciò assumendo che la tradizione originaria si sia conservata intatta, il che non è scontato.
Sono del tutto assenti testimonianze comprovate di rituali dedicati a quest'Ase ma è logico supporre che il culto di una simile figura non fosse per nulla ampiamente praticato proprio per via della sua natura ineffabile ed intangibile.
Per quanto sinora detto è difficile definire con precisione il ruolo che l'Ase Loki ha nella mitologia scandinava e germanica; forse durante il periodo di conversione al Cristianesimo - per via dei suoi inganni e delle sue malefatte ai danni degli Æsir - la sua figura fu assimilata a quella di Lucifero accrescendone così di molto la sua importanza o forse no.
D'altronde pretendere di cogliere l'essenza di colui che ha ingannato persino gli stessi Æsir è senza dubbio hýbris (i.e. "tracotanza").
Orlando, in collaborazione con le vie di Wodanaz
venerdì 14 settembre 2018
Loki e la Lokasenna, parte II
Loki a causa del suo comportamento degradante e delle sue malefatte descritte nell'Edda di Snorri potrebbe a prima vista venir scambiato per la trasposizione forzata nel pantheon scandinavo del Lucifero della tradizione cristiana; eppure la figura dell'Ase Loki presenta tratti non certo assimilabili a quelli di un essere demoniaco dacché qualunque azione da questi compiuta è compiuta per la salvezza degli Æsir e di Ásgarðr.
- Aiutò l'Ase Thor a recuperare 'Mjöllnir' dalle grinfie del gigante Þrymr come narrato nella 'Þrymskviða' (i.e. "carme di Þrymr").
- Nel 'Reginsmàl' (i.e. "discorso di Regin") dell'Edda in Prosa si racconta di come egli, dopo aver ucciso il mutapelle Ótr avendolo scambiato per una comune lontra, aiutò gli Æsir ad ottemperare alle richieste di Hreiðmarr, padre di Ótr, il quale pretendeva un guidrigildo per la morte del figlio. Loki riempì la pelle di lontra del mutapelle Ótr con l'oro e l'anello 'Andvaranautr' (i.e. "dono di Andvari") sottratti al nano Andvari e li consegnò ad Hreiðmarr ben sapendo che Andvari aveva maledetto sia l'oro che l'anello.
Si rese così responsabile della morte di Hreiðmarr e dei suoi figli, Fáfnir e Reginn, con il solo scopo di liberare gli Æsir dalla minaccia di possibili ritorsioni da parte di Hreiðmarr o della sua famiglia.
- Nel 'Fjölsvinnsmál' (i.e. "discorso di Fjölsviðr") Fjölsviðr (i.e. "Assai sapiente", epiteto di Odino) narra di come Loki forgiò la possente spada 'Lævateinn' (i.e. "Bacchetta della distruzione").
Loki è però un elemento imprevedibile, le cui azioni possono a volte risultare imperscrutabili e prive all'apparenza di una qualsivoglia utilità o programmaticità.
Così come si rese protagonista di imprese eroiche, Loki si rese protagonista di scherzi ed inganni ai danni degli stessi Æsir. Basti pensare alla 'Hymiskviða' (i.e. "carme di Hymir") dove gli viene attribuita la colpa dell’azzoppamento di uno dei caproni di Thor [1].
Lo stretto legame di cui si narra nella 'Völuspá' (i.e. "Profezia della Veggente", Edda Poetica) fra Loki e le tristi schiere del 'Múspellheimr' (i.e. "terra delle fiamme") nacque in seguito all’umiliazione che l'Ase ricevette durante il banchetto di Ægir da parte degli Æsir lì presenti.
Nella 'Lokasenna' si narra di come le lodi con le quali Ægir accolse i suoi ospiti fecero sorgere in Loki un'aspra gelosia tanto da spingerlo ad uccidere Fimafeng, uno dei servi di Ægir. Gli Æsir si arrabbiarono con Loki e lo trascinarono fuori dalla sala, prima di tornare al loro banchetto. Venuto a sapere del fatto che non fosse più il benvenuto, Loki entrò nella sala con moto di sfida scatenando la reazione ancor più violenta dei presenti fra i quali vi era lo stesso Odino. All'arrivo del figlio di questi, Thor, Loki si ritirò. Fu catturato e sottoposto al supplizio delle stille velenose non prima di aver assistito alla trasfigurazione del figlio Narfi in un lupo ed all'uccisione dell'altro suo figlio, Váli, le cui viscere furono utilizzate per imprigionare Loki in una grotta del del 'Niflheimr'.
Note:
- [1] "Þórr e Týr, dopo aver sgominato gli Jǫtnar, sono evidentemente passati dalla casa di Egill dove hanno recuperato il carro e i caproni: gli animali sono stati aggiogati al carro ma, percorso un breve tratto, uno è caduto al suolo, impossibilitato a proseguire il viaggio. — (e-f) Entrambi i manoscritti riportano una lezione comune, che non sembra però avere molto senso: <var scıR scꜹkvls scacr abaNı> (ms. R), e <var skıRr skꜹkvls skaKr a baNı> (ms. A). La lezione skirr, «compagno», sebbene accettata da alcuni interpreti (Detter 1903) è stata tuttavia rifiutata dalla maggior parte dei moderni curatori e viene solitamente accolto il suggerimento del linguista Rasmus Christian Rask (1787-1832), che ha emendato la parola in skær «destriero». In verità quest'ultima parola, utilizzata come radice in kenningar per «lupo» o «nave», non sembra adattarsi molto bene a un ovino: ma poiché il carro di Þórr è trainato da due caproni, l'espressione skær skǫkull, «destriero della stanga», potrebbe significare, generalizzando, «animale da tiro». Analogamente, la parola banni, «proibizione», è stata emendata da Rask in beini «osso», così da ottenere skakkr á beini, «distorsione, slogatura dell'osso» (Rask 1818). Tale correzione, sebbene non convinca appieno tutti gli studiosi, è stata comunemente accettata anche sulla base dell'omologo racconto riferito da Snorri nella Prose Edda, dove uno dei caproni di Þórr rimane azzoppato perché Þjálfi, incautamente, ne ha inciso un osso col coltello per estrarne il midollo (Gylfaginning [44]). — (g-h) lævíss, «sapiente negli inganni», epiteto di Loki, al quale viene assegnata qui la colpa dell'azzoppamento del caprone, sebbene il personaggio non compaia mai nel testo. Non si capisce neppure perché sia Egill a farsi carico della responsabilità. L'esito è tuttavia il medesimo nelle due fonti: i suoi due figli (Þjálfi e Rǫskva in Gylfaginning [44]) verranno ceduti a Þórr quali suoi servitori, come ricompensa per il danno subìto dal caprone." [ stralcio tratto da https://bifrost.it/GERMANI/Fonti/Eddapoetica-7.Hymiskvidha.html#n-37 ]
Orlando, in collaborazione con le vie di Wodanaz
giovedì 13 settembre 2018
Loki e la Lokasenna, parte I
Padre di alcune "bestie" - generò il lupo Fenrir in 'Járnviðr' (i.e. "foresta di ferro") che nel Ragnarǫk divorerà Odino come pure 'Sleipnir' il cavallo ad otto zampe di quest'ultimo - è solito aiutare gli Æsir nel recuperare i loro preziosi oggetti quali ad esempio il martello di Thor 'Mjöllnir' (i.e. "Frantumatore") e la lancia di Odino 'Gungnir' (i.e. "Implacabile").
A lui è da imputare la morte del figlio di Odino, Baldr, ed è per questo che fu catturato ed imprigionato una grotta del 'Niflheimr' (i.e. "terra delle nebbie") dagli Æsir. Egli si libererà solamente nel Ragnarǫk durante il quale duellerà fino alla morte con Heimdallr.
Il fatto che non esistano tracce di culti a lui dedicati né luogo o persona che attestino una qualsiasi devozione nei suoi confronti ha fatto sorgere l'ipotesi che egli fosse assurto a ruolo di divinità solo a posteriori grazie agli scritti di Snorri Sturluson.
È una figura cosi ambivalente che lascia spazio a varie interpretazioni.
Per Jan de Vries egli è un 'trickster' (i.e. "ingannatore").
Per Georges Dumézil egli è un'intelligenza impulsiva e per questa ragione lo contrappone all'Ase Hœnir, accorto e ponderante. Sulla base del ruolo che Snorri Sturluson gli attribuisce nell’uccisione di Baldr, Dumézil paragona Loki a Syrdon, responsabile dell’uccisione dell’eroe Soslan nelle leggende ossete [1].
Per Folke Ström Loki risulta essere un'ipostasi di Odino dacché presenta tratti in comune con quest'ultimo seppur il carattere di Loki, malefico ed ingannatore, non corrisponda in toto alla personalità dell'Alfǫþr (i.e. "Padre degli uomini", epiteto di Odino).
Anna Birgitta Rooth ipotizza un'origine aracnoide del teonimo Loki essendo questi l'inventore della rete da pesca che è simile alla tela di un ragno; il termine 'lokke' significa infatti 'ragno' in medio svedese e in alcuni dialetti scandinavi ma il sostegno a favore di questa teoria è scarso.
Tutte queste interpretazioni sono solite concentrarsi su un solo aspetto della natura dell'Ase Loki ed è per questa ragione che Edward Oswald Gabriel Turville-Petre le definì deboli in un suo scritto del 1964.
Il ruolo dell'Ase Loki nell’Edda Poetica, se si esclude la 'Lokasenna' (i.e. "disputa di Loki"), è molto minore rispetto alle restanti narrazioni mitiche; le informazioni su di lui sono limitate.
Sappiamo che egli è figlio della gigantessa Laufrey e - come già ricordato in precedenza - sappiamo che egli è padre di Fenrir, di Sleipnir, del serpe Jǫrmungandr (i.e. "essere infinitamente potente") e di Svaðilfœr. A lui viene attribuita la paternità di una stirpe di troll partorita dopo aver mangiato il cuore di una strega bruciato a metà.
Dall’Edda Poetica veniamo a sapere dell'esistenza di un suo fratello, Býleistr, il cui teonimo è legato a temporali e tempeste, alla stregua di Loki; questi infatti è noto con i nomi di 'Loptr' e 'Hveðrungr' (i.e. "aria, folata di vento").
Sua moglie Sigyn viene presentata come modello di amorevole devozione. Quando Loki fu incatenato nel 'Niflheimr' la gigantessa Skaði pose sul suo viso un serpente grondante stille velenose, la moglie Sigyn rimase accanto a lui raccogliendo le stille velenose in una ciotola al fine di non far soffrire il marito.
Note.
- [1] Saghe dei Narti
Orlando, in collaborazione con le vie di Wodanaz
lunedì 10 settembre 2018
Mazzamaurieddhri
Da dove vengo si è soliti parlare di "Uru" (credo si traduca in italiano con "Lauro"); questi è un folletto che all'occorrenza sa essere poco gradevole e che ha molto in comune con il leprecauno delle fiabe irlandesi di William B. Yeats.
L'Uru abita i campi coltivati, la macchia mediterranea e quel poco bosco che abbiamo in Salento ed è solitamente alto una cinquantina di centimetri; in Salento una quantità inaudita di persone sostiene di aver avuto a che fare con lui ed io mi limito a raccontarvi tutto quello che mi hanno detto sul suo conto.
Egli è magro, dinoccolato, con il cappello rosso. In genere la sua visita è notturna e silenziosa, e i suoi esiti possono variare da piccoli dispetti (e.g. la coda dei cavalli intrecciata, attrezzi spostati o rimossi, il latte inacidito) a piccoli vantaggi (e.g. attrezzi che prima non c'erano, monete, oggetti rotti riparati).
Ti alzi la mattina e noti che il cavallo ha la coda sciatta? Non c'è dubbio, è stato l'Uru.
Oltre a poterne osservare i risultati delle sue malefatte giocose, è possibile imbattersi nell'Uru in un incontro a tu per tu. La sua presenza è annunciata da soffi e bisbigli nella notte scura.
L'udire questi rumori è per un contadino motivo più che sufficiente per ritirarsi in casa ma nel caso in cui questi decidesse di restare lì all'aperto o se l'Uru decidesse di inseguirlo sino all'interno della sua casa, egli proverebbe brividi e tremori accompagnati da paura e sudori freddi causati dall'eccesiva vicinanza al folletto.
Una volta superato questo spiacevole sentire, prestando molta attenzione, è possibile vedere il folletto e se si è abbastanza scaltri e lesti si può persino sottrargli il cappello rosso ed averlo così al proprio servizio.
Se il massaro dovesse rifugiarsi lesto fra le mura della sua casa, l'Uru è solito interpretare questa fuga come una sfida lanciata dal massaro al suo infirizzo e per questa ragione passare ai fatti; il folletto assumerebbe allora un atteggiamento apertamente ostile con lo scopo di spingere il massaro al suicidio grazie ad una serie di inganni divertenti ché l'Uru non perde mai il suo carattere giocoso.
L'unico modo per scacciarlo è disgustarlo oltre misura; pare che l'unica cosa che gli faccia davvero ribrezzo sia vedere un individuo mangiare in un bagno preferibilmente non troppo pulito.
È facile ravvisare nei segni provocati dalla vicinanza dell'Uru quelli legati all'attacco di panico ed è altrettanto facile ravvisare nel andare a mangiare in un bagno uno dei modi per contrastarne gli effetti nefasti ché implica il focalizzarsi su di un cosa, il preparare del cibo, e su di un dove, il bagno; questi due elementi spesso vengono citati come palliativi nelle linee guida contro gli attacchi di panico.
Loreta Fasano, in collaborazione con le vie di Wodanaz
domenica 9 settembre 2018
Tradizione
Ogni volta che si parla di tradizione occorre domandarsi a quale tradizione ci si vuole rifare; la tradizione cristiano cattolica è diversa da quella greco romana. Allo stesso modo di quella che la precede, quest'ultima sarà difficilmente applicabile in un'ottica germanica o slava, due esempi di tradizione a noi cari.
Appare dunque chiaro che occorre trovare, se non una definizione univoca, quantomeno un punto in comune, una base che possa accomunare tutti gli indoeuropei, legandoli ad un'unica tradizione di fondo, cosa che può essere fatta solo in ambito tribale mantenendo, allo stesso modo, quella varietà e diversità di fondo che hanno fatto grandi le tribù indoeuropee.
La civiltà, per come è comunemente intesa, è una presenza recente ed effimera seppur ingombrante; solo la società tribale può vantare una vera continuità dai tempi arcaici sino ad oggi.
La famiglia, la Sippe, la tribù sono legami reali, tangibili; questi rappresentano la realtà e si scontrano con l'illusione e con la vacuità della civitas nella quale regnano rapporti fittizi costruiti forzatamente ed artificialmente.
È da qui che occorre ripartire, dall'unica tradizione che veramente può dirsi arcaica, eterna e reale.
venerdì 7 settembre 2018
Frawj
Freyja dunque, alla stregua di suo padre e di Freyr, è una divinità appartenente alla stirpe dei Vanir. Con il concludersi della guerra scoppiata fra questi ultimi e gli Æsir ella si stabilì assieme con il fratello ad Ásgarðr divenendo 'en ágætust af ásynjum' (i.e. “la più illustre fra le Ásynjur”).
Ella è dèa della bellezza e dellʼamore, della seduzione e della fertilità, del seiðr (i.e. pratica sciamanica che le permette di prevedere il futuro e di dispensare sventura) ed infine dèa dellʼoro ché dʼoro sono le lacrime che ella piange per la lontananza di Óðr, marito suo e padre delle sue due figlie.
Sessrúmnir (i.e. “spazio per seggi”) è la sua dimora sita in Fólkvangar (i.e. “campi dellʼesercito”) dalla quale è solita allontanarsi ogni giorno su un carro trainato da due skogkatt (i.e. “ felini delle foreste”).
Freyja è anche dèa della guerra e della morte ché, come ci ricorda Snorri Sturluson nel ʻGrímnismálʼ, in Fólkvangar si raduna quella metà di guerrieri da lei scelti fra i caduti; lì
attendono che questʼultima li guidi in battaglia nel Ragnarök (i.e. “crepuscolo degli Dèi”).
In Freyja lʼamore e la guerra si mescolano sino a divenire un unicum inestricabile.
LʼAmore è Guerra; le sue ferite sono dolorose quanto quelle del freddo e bruciante ferro, le sensazioni che reca con sé sono inebrianti forse ancor di più di quanto non lo siano
quelle nate da una vittoria su di un campo di battaglia.
Per quanto sinora detto lʼAmore è caro agli Dèi, in quanto conflitto generatore, come pure lo sono Guerra e Poesia e dellʼAmore come della Guerra Freyja è la perfetta incarnazione.
giovedì 6 settembre 2018
Svastica, parte IV
Il Kolovrat slavo può essere considerato una variante della svastica "originale" e condivide il simbolismo solare di quest'ultima. È un attributo della divinità solare Svarog, il dio del fuoco, la luce celeste o il Sole Eterno, opportunamente rappresentato dalla forma ciclica del motivo. Il movimento del sole è indicato dalla rotazione dei raggi del simbolo che sembrano girare. L'etimologia del mondo, che si tradurrebbe in "cerchio rotante", conferma questa impressione visiva. Il numero dei raggi del kolovrat differisce, ma sono tutti arcuati nella parte superiore. Alcuni di questi archi sono diretti in senso orario e altri in senso antiorario. Il kolovrat ha otto raggi e il più comune sei, ma si possono trovare anche quelli con solo tre o quattro raggi.
Ci sono varie interpretazioni del kolovrat a parte il fatto che è il simbolo del sole. Ad esempio, si crede che rappresenti l'eterno ciclo della vita e della morte. La svastica o il Kolovrat simboleggiavano valori infiniti nella cultura salva. I movimenti neo-pagani contemporanei attribuiscono elaborate interpretazioni al kolovrat e spesso applicano il simbolo a vari oggetti durante i festival.
Come simbolo venne pubblicato per la prima volta nel libro Prasłowiańskie motywy architektoniczne (Early Slavic Architectural Motifs) nel 1923, dal pittore e studioso Stanisław Jakubowski. Secondo Jakubowski, il “piccolo sole” è uno dei primi simboli slavi per indicare il sole, denota il suo eterno movimento, ma anche la vittoria della luce sulle tenebre. Quasi tutti gli abiti tradizionali conservati nei musei etnografici sono decorati con ricami raffiguranti il Kolovrat. Questo simbolo è stato inciso su monumenti costruiti in legno, nei pressi dei luoghi di riposo, per rappresentare la vita eterna e la vittoria della vita sulla morte, ma anche su utensili rituali e mobilio. Può essere impiegato per propiziare la salute e la guarigione, proteggere dalle disgrazie e dal male. È un simbolo di vita, luce solare e rinnovamento eterno.
Inoltre, se tracciamo una linea immaginaria che parte dal Grande Carro passando per la Stella Polare, al momento dei quattro più importanti festival degli antichi slavi, si ottiene lo stesso Kolovrat.
Le immagini di questo simbolo crociato, nel contesto delle popolazioni indoeuropee, oggi raccolgono una ricca varietà di forme grafiche e colorazioni, e storicamente si sono trovate oltre 144 variazioni di questo simbolo.
In altre parole, la Svastica si è evoluta costantemente durante la storia, ogni gruppo indoeuropeo ha sviluppato i propri tipi nel tempo. A differenza della croce cristiana con il suo design fisso, la svastica si è evoluta, come la vita e il cambiamento che porta con se.
In collaborazione con la pagina FB Slavic Polytheism and Folklore notes
mercoledì 5 settembre 2018
Svastica, parte III
Questo partito meno conosciuto fu fondato nel 1933 col nome di Ugunskrusts (un nome che sta a rappresentare la svastica, in tutte le sue varianti in contesti lettoni). Il fondatore e leader del movimento fu Gustavs Celmins. Nel gruppo militò anche Igors Šiškins. Nel 1934 il movimento fu vietato dall'autorità lettone, Celmins venne arrestato e nel 1937 fu costretto all'esilio. Il movimento però si riorganizzò sotto il nome di Pērkonkrusts. Questo nome venne usato dal 1933 al 1944, anno in cui fu sciolto in seguito all'invasione della Lettonia da parte dell'Unione Sovietica. Durante l'occupazione i suoi militanti parteciparono alla resistenza antisovietica coi fratelli della foresta. L'ideologia del Pērkonkrusts è stata variamente classificata dagli studiosi; in generale il partito viene considerato appartenente alla destra radicale oppure fascista.
Il Pērkonkrusts rifiutò il Cristianesimo in quanto religione straniera adottando invece la Dievturiba [1], un tentativo di rivitalizzare la religiosità presente nel paese prima della cristianizzazione.
Pērkonkrusts in italiano significa letteralmente Croce di tuono, quest'ultima non è altro che la Svastica in una delle sue tante forme articolate, mentre il nome si rifa al Dio Pērkons lettone, o al Perkūnas lituano. Una delle principali divinità delle religioni baltiche, affine a Perun, Signore del Tuono presso le popolazioni slave.
La lista sicuramente, non comprende solo i due citati, molti altri gruppi politici hanno usato questo simbolo, ma il nostro intento non è fare di questo articolo un qualcosa di politico, quindi abbiamo scelto di parlare del più conosciuto e probabilmente del più ignorato.
Passiamo ora a descrivere l'adozione slava di questo simbolo, anche se la svastica è molto usata nelle sue forme più pure, c'è una sua versione più caratteristica legata agli slavi, ossia il Kolovrat.
Note:
- [1] La Dievturiba è un movimento religioso neopagano baltico nato e radicatasi in Lettonia.
In collaborazione con la pagina FB Slavic Polytheism and Folklore notes
martedì 4 settembre 2018
Svastica, parte II
La rivoluzione comunista del Novembre 1918 nota con il nome di ʻSpartakusaufstandʼ (i.e. “sollevazione Spartachista”) fu stroncata da quel che restava dellʼesercito regolare del Reich prussiano e da alcune milizie nazionaliste composte da reduci di guerra note come Freikorps (i.e. “corpi franchi”).
Con lʼapprovazione nellʼAgosto del 1919 della Costituzione di Weimar lʼOHL - acronimo di ʻOberste Heersleitungʼ (i.e. “comando supremo dellʼEsercito”) - si servì di informatori per monitorare quella miriade di partitini ed associazioni politiche formatasi con la nascita della nuova repubblica.
Adolf Hitler era uno di questi informatori e nel svolgere i suoi compiti entrò in contatto con il DAP - acronimo di ʻDeutsche Arbeiter-Parteiʼ (i.e. “Partito Tedesco dei Lavoratori”) - unʼassociazione politica fondata da un certo Anton Drexler il 5 Gennaio 1919 che era solita riunirsi nelle birrerie di Monaco di Baviera. Anton Drexler fu spronato e supportato nella sua carriera politica da Paul Tafel, suo mentore ed amico. Questi era leader del ʻAlldeutscher Verbandʼ (i.e. “Unione Pangermanica”) e membro di spicco della ʻThule-Gesellschaftʼ (i.e. “Società Thule”) società di stampo esoterico ed occultistico con forti implicazioni völkisch. Il motto di questʼultima era il seguente:
“Gedenke, dass Du ein Deutscher bist. Halte dein Blut rein!”
che tradotto alla buona suonerebbe più o meno così:
“Ricorda, tu sei un tedesco. Mantieni puro il tuo Sangue!”
Il simbolo della ʻThule-Gesellschaftʼ era una ʻHakenkreuzʼ (i.e. “croce uncinata”) arrotondata inscritta in un cerchio a moʼ di disco solare, un chiaro richiamo alla svastica tipica delle popolazioni scandinave e slave. Questa curiosa ʻHakenkreuzʼ fu adottata dallo stesso Anton Drexler per il suo DAP ma non fu mai intessuta su bandiere di qual sorta e non comparve mai nel simbolo ufficiale del partito.
Adolf Hitler rimase affascinato dalle implicazioni politiche, völkisch ed esoteriche del DAP. In esse rivide i segni del passaggio di Parsifal e di Lohengrin, le due figure mitiche che dominarono tutta la sua infanzia. Decise di iscriversi al DAP sul finire del Settembre 1919 convinto dallo stesso Drexler che rimase stupito dalle inattese capacità oratorie del Gefreiter boemo.
Fu proprio Adolf Hitler che portò il DAP da semplice associazione di basso livello a partito vero e proprio e fu per questo che subentrò ad Anton Drexler nella guida dello stesso.
Nel Gennaio del 1920 Hitler, su consiglio del membro della ʻThule-Gesellschaftʼ Friedrich Krohn, decise di ufficializzare la scelta della ʻHakenkreuzʼ inscritta nel cerchio come simbolo del DAP ma decise di modificarla. Il fondo degli stendardi del DAP fu fatto rosso, la ʻHakenkreuzʼ nera ed il cerchio nel quale era inscritta bianco; lo scopo era quello di richiamare il trinomio ʻSchwarz-Weiß-Rotʼ (i.e. “Nero-Bianco-Rosso”) della bandiera del secondo Reich. Per la foggia della ʻHakenkreuzʼ si ispirò a quella che decorava unʼurna funeraria dellʼetà del ferro rinvenuta a Litzmannstadt propria della cultura Przeworsk (i.e. popolazione indoeuropea che abitò la Vistula fra il terzo secolo a.C. ed il quinto secolo d.C. e che crollò sotto gli attacchi degli Unni).
Essa aveva i bracci rigidi e non era “roteante”, ossia non era ruotata di 45 gradi; solo nel 1933 fu ampiamente usata quella croce uncinata roteante che è simbolo del Fuoco, del Sole e dellʼInvincibile.
Lʼaquila e la croce uncinata della ʻHakenkreuzfahneʼ (i.e. “bandiera dalla croce uncinata”) accompagnarono il NSDAP dal fallito Putsch di Monaco del 8-9 Novembre 1923 sino alla sua caduta concomitante a quella del Terzo Reich avvenuta lʼ8 Maggio 1945.
In collaborazione con la pagina FB Slavic Polytheism and Folklore notes
lunedì 3 settembre 2018
Svastica, parte I
Il termine Svastica, che venne integrato in Europa solo verso la fine dell’ottocento, trova la sua origine dal sanscrito vedico, nella sua accezione maschile di "Lo Svastika" parola composita dai numerosi significati diramati nelle varie culture planetarie. Simbolicamente mantiene una primaria accezione legata alla sorte favorevole, alla buona salute e ai fausti auspici.
In Grecia veniva chiamato gammadion (Greco: τετραγαμμάδιον. Latino: crux gammata) ed era in uso sin dal paleolitico come simbolo di fertilità, ma i reperti più antichi sono quelli neolitici, ritrovati a Mezin nei pressi del confine fra Russia e Ucraina, ove sono stati rinvenuti svariati oggetti di uso quotidiano e rituale, fra cui un monile in avorio di mammut, con incise sopra numerose forme geometriche che richiamano alla svastica e al meandro ellenico.
Numerosi altri siti archeologici nel cuore dell’Asia centrale hanno confermato l’utilizzo di questo simbolo da parte dei popoli dei carri e delle fortezze. Si sta parlando ovviamente di quelle civiltà di chiara ascendenza indoariana ed iranica che consolidarono la base delle varie società euroasiatiche nel corso dei successivi millenni, non a caso ci si riferisce a questi popoli inquadrandoli in un arco temporale piuttosto vasto, che spazia dai villaggi caucasici del 15.000 a.e.v. fino alle tribù della Russia Siberiana.
Queste ultime, ci hanno lasciato la più antica statua lignea di carattere presumibilmente totemico al mondo, ovvero l’Idolo di Šigir [1]. Si presume che possa essere stato intagliato attorno al 9.000 circa a.e.v. utilizzando stili misti fra quello dei popoli indoeuropei e di lingua ugrofinnica; ciò conferisce all'uomo contemporaneo una parziale idea di quanto tali civiltà fossero avanzate a livello spirituale e simbolico.
sabato 1 settembre 2018
La spiritualità dei Goti
I goti, popolo guerriero originario dell’estremo Nord spintosi fino alla Crimea prima di stabilirsi, nei suoi due rami principali, nei territori conquistati di Italia e Iberia.
Insieme ai longobardi e ai cimbri rappresentano il più grande contributo etnico e spirituale di tipo germanico nel nostro paese.
Le loro imprese belliche sono leggendarie e ben note, non ne parleremo quindi in questa sede che vuole invece approfondire un aspetto meno noto ma importantissimo: ciò che sappiamo della fede arcaica di questo popolo e sugli Dèi che esso soleva venerare.
Si tratta, ovviamente, di informazioni parziali, tratte da testi scritti da cristiani o da iscrizioni runiche, ma ugualmente sufficienti a tracciare i contorni della fede tribale di questo grande popolo guerriero.
Noti per essere stati i primi fra i germani ad adottare il cristianesimo, in realtà più in maniera formale che reale, almeno per i primi secoli, essi lottarono comunque strenuamente per mantenere le proprie tradizioni e per onorare le proprie divinità (e, aggiungiamo noi, per trasmetterle, co dimostra il fatto che è grazie a questi sforzi che ci è possibile ricostruire ciò che fu).
Fu il capo tribale Athanaric, in particolare, a voler condurre questa lotta contro l’uniformante religione desertica, questo portò ad una guerra civile nel quale la parte cristiana venne appoggiata dai romani.
Dopo questa non breve, ma necessaria, introduzione passiamo ora ad analizzare quanto ci è stato trasmesso delle pratiche di questo popolo.
Come premessa va detto che i goti seguivano una via di tipo germanico, avevano, come ogni popolo sano, un fortissimo culto degli antenati e fulcro della loro ritualità era il kuni (il clan, la sippe), le cerimonie pubbliche erano svolte dal reiks, il capo del popolo mentre quelle di natura privata/domestica dal o dalla capofamiglia.
Sappiamo per certo di un culto di Tiwaz/Tyr che i goti chiamavano Teiws, considerato il progenitore divino della tribù, allo stesso modo abbiamo notizia di un culto dedicato a Gaut/Gapt, dal quale la dinastia regia del Amali discendeva, esso è quasi certamente Godan/Odinn (Gaut è una delle manifestazioni di Odino note dalle saghe del periodo tardo), sappiamo infine di un culto dedicato a Fairguneis, che i cronisti romani assimilavano a Giove, in tutta probabilità una manifestazione di Donar/Thor.
È altresì probabile, ma non certo, che esistesse un culto dedicato a Ingwaz.
Sappiamo poi di una divinità (o forse uno spirito) chiamata Donaws, quasi certamente legata al fiume Danubio.
Non abbiamo notizie dei culti dedicato a divinità femminili da essi certamente praticati, non vi sono però ragioni per credere che questi si discostassero da quelli praticati da popoli affini.