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lunedì 25 marzo 2019

Irminsul, la memoria e l’ispirazione

Milleduecentoquarantasette anni, tanto è passato dalla distruzione del santuario sacro nel quale era custodito il sacro Irminsul.
Tre giorni occorsero alle truppe del maledetto Carlo per distruggere il luogo sacro, tre giorni di blasfemia e distruzione seguiti da più di un millennio di menzogna, odio e persecuzione.
Questo, tuttavia, non è bastato a seppellire la verità, la fede negli Dèi immortali rifiorisce e, un passo alla volta, si riprenderà tutto ciò che è suo.
Ogni quercia, ogni frassino, ogni alito di vento ed ogni nenia di corvo canta la gloria degli Dèi immortali, perché la verità primordiale tornerà a splendere su ogni cosa.
Ispirati dal sommo Vate, padre di ogni cosa e portatore di verità, leveremo ancora canti di lode ai nostri alti Dèi e in ogni notte ed ogni giorno vivremo pienamente la nostra sacra lotta.

Hailaz Wodanaz, dalle nebbie al mare, Hailaz Wodanaz, Báleygr, occhio fiammeggiante, Jólnir, signore degli Dèi!

martedì 19 marzo 2019

Considerazioni sulla funzione sovrana, parte VI

Estratto dal saggio introduttivo a J. Haudry – “Loki” in corso di pubblicazione per Polemos Forgia Editoriale


Romolo, conformemente alla sua funzione varunica, durante la battaglia cruciale contro i potenti riproduttori, i sabini, conseguente al tradimento della vestale Tarpeia, alzate le armi al cielo comanda magicamente a Iuppiter di intervenire e di cambiare le sorti della battaglia e così accade. L’intervento “magico” del sovrano ricorda il termine tedesco macht inglese make, latino mactare. Un altro sovrano del cielo notturno, Wotanaz nella prima guerra del mondo contro i Vani, potenti riproduttori anch’essi, esercita il suo potere a distanza, tramite il lancio della lancia nella battaglia susseguente l’irruzione della gigantesca Gullveigr, senza intervenire direttamente nella mischia. Se la Vestale è chiaramente legata al fuoco di Vesta così Gullveig viene bruciata tre volte rinascendo sempre.

Così l’effetto immediato, comandato dal sovrano “terrifico” e “tremendo” Romolo, è determinato dal suo non appartenere ad una umanità ordinaria, ma piuttosto ad una umanità qualificata in senso spirituale. “Non preghi un dio chi non sia un dio” d’altro canto è stabilito dalla letteratura vedica. Romolo che verrà poi divinizzato come Quirino viene non a caso assunto in cielo.

Che la funzione sovrana sia legata al dono della vittoria non è un fatto isolato ma che accomuna sia la figura mitica di Romolo che quella di Godan, il Wotan Longobardo di cui ci parla Paolo Diacono nella sua nota Historia Langobardorum.

«Circa la guerra dei Vandali e Vinnili si racconta una favola ridicola. Riferiscono infatti che i Vandali, dopo essersi avvicinati a Godan, gli avrebbero domandato di vincere sui nemici, e che costui gli avrebbe risposto che avrebbe consegnato la vittoria, a quelli che per primi si facevano vedere al sorgere del sole. Allora si fece avanti Gambara a Frea, moglie di Godan e chiese la vittoria dei Vinnili. Frea offrì un consiglio, che le donne dei Vinnili sciolti i capelli li accostassero alla faccia come fosse una barba, e che sul far del giorno si schierassero come uomini, in modo da essere scorte da Godan, nel luogo in cui, quello usava osservare il sorgere del sole (ovvero) attraverso una finestra.

E in questo modo si fece. Godan dopo averle viste disse: «che cosa sono quelle lunghe barbe?» Allora Frea lo incitò per dare loro quel nome e dette loro la vittoria.

Così Godan offrì la vittoria ai Vinnili. È sicuro che i Longobardi, che prima erano soprannominati Vinnili, dalla lunghezza della barba incolta furono chiamati in questo modo. Nella loro lingua infatti (la parola) " long" significa lunga e (la parola) "bar" (significa) barba. Lo stesso Gordan è quello che è soprannominato Mercurio presso i romani e da tutto il popolo dei germani è onorato come dio.»

Solo il tepore interiore della pratica spirituale, il tapas conseguente alla trasformazione interiore dell’uomo propiziata dal fuoco sacrificale di Agni/Ignis rendono l’uomo in grado di imporre questa “macht” sulle forze invisibili. D’altro canto dal latino tepeo, la cui assonanza con tapas è evidente, deriva l’italiano tepore. E d’altro canto gli Dèi divengono tali e vengono poi nutriti e fortificati tramite il sacrificio e il fuoco sacrificale.

Dunque resta imperativo rendersi atti a far intervenire necessariamente la divinità tramite la nostra azione spirituale la quale può rendersi autonoma rispetto a qualsiasi sfoggio di erudizione, di mitologia e di formalistica rituale.

Nessun autentico mutamento, nessuna “rivoluzione” può prescindere da un radicale revolvere mitico, che deve necessariamente precedere ogni cambiamento meramente “politico” o “filosofico”.

Questo rivoluzione mitica è dunque la visione – latino video, sanscrito veda, ma dalla stessa radice anche il celtico Drvid - estatica, momento finale dell’ascetica dei rshi che produce il succitato tepore ascetico detto tapas, di un rinnovato rapporto dell’uomo con il mondo divino e con sé stesso.

Articolo di Andrea Anselmo che ringraziamo per il prezioso contributo


BIBLIOGRAFIA
AA. VV.- Le religioni dell'Europa centrale precristiana, a cura di H.C. Puech, Biblioteca Universale Laterza
Christian-Joseph Guyonvarc'h- Les Druides, avec la coll. de Françoise Le Roux, Ouest-France Université, coll. « De mémoire d’homme : l’histoire », Rennes, 1986 (ISBN 2-85882-920-9)- La Civilisation celtique, avec la coll. de Françoise Le Roux, Ouest-France Université, coll. « De mémoire d’homme : l’histoire », Rennes, 1990 (ISBN 2-7373-0297-8)
Edgar Polomé- L'étymologie du terme germanique *ansuz 'dieu souverain,' Études germaniques 8 (1953): 36–44
- La sacralità nel mondo Germanico precristiano – ÉTUDES INDOEUROPEENNES 1996
Otto Hofler- Kultische Geheimbünde der Germanen. Diesterweg, Frankfurt 1934 – nur Band 1 erschienen. (Habilitationsschrift an der Universität Wien aus dem Jahr 1931 mit dem Titel Totenheer – Kultbund – Fastnachtsspiel)
- Cangrande di Verona e il simbolo del cane presso i longobardi, Cierre Edizioni ISBN:8885923046, 1988
V. Samson
- I Berserkir. I guerrieri-belve nella Scandinavia antica, dall'età di Vendel ai Vichinghi (VI-XI secolo), Edizioni settimo Sigillo, 2017
C. Sighinolfi- I guerrieri lupo nell’Europa arcaica Aspetti della funzione guerriera e metamorfosi rituali presso gli indoeuropei, Il Cerchio
G. Dumezil
- L'ideologia tripartita degli Indoeuropei. Rimini, Il Cerchio (seconda edizione) 2003
- Gli Dei dei Germani: saggio sulla formazione della religione scandinava (Les dieux des Germains, essai sur la formation de la religion scandinave. Parigi, Presses Universitaires de France, 1959). Milano, Adelphi, 1979.
- Le sorti del guerriero (Heur et malheur du guerrier, aspects de la fonction guerrière chez les Indo-Européens. Parigi, Presse Universitaire de France, 1969). Milano, Adelphi, 1990.
- La saga di Hadingus: dal mito al romanzo (Du mythe au roman, la saga de Hadingus et autres essais. Parigi, Presses Universitaires de France, 1953). Roma, Edizioni Mediterranee, 2001. ISBN 88-272-1426-7
- Mythe et épopée. L'idéologie des trois fonctions dans les épopées des peuples indo-européens. Parigi, Gallimard, 1968
- Loki. Parigi, G.P. Maisonneuve, 1948 (terza edizione: Parigi, Flammarion, 1986)
- Il libro degli eroi (Le livre des héros, légendes ossètes sur les Nartes. Parigi, Gallimard, 1965). Milano, Adelphi, 1969.
- Matrimoni indoeuropei (Mariages indo-européens, suivi de Quinze Questions romaines. Parigi, Payot, 1979). Milano, Adelphi, 1984.
- Mithra-Varuna, essai sur deux représentations indo-européennes de la Souveraineté. Parigi, Presses Universitaires de France, 1940
- Les dieux souverains des Indo-Européens. Parigi, Gallimard, 1977
- La religione romana arcaica (La religion romaine archaïque, avec un'appendice sur la religion des Étrusques. Parigi, Payot, 1964). Milano, Rizzoli, 1977. ISBN 88-17-86637-7.
C. Watkins

- How to Kill a Dragon: Aspects of Indo-European Poetics (Oxford University Press, 1995)
Kris Kershaw
- The One-eyed God: Odin and the (Indo-)Germanic Männerbünde, JIES Monograph, nº 36, Washington D.C., 2000, ISBN 0-941694-74-7.
M. Polia
- Le rune e gli dèi del nord, II edizione, 1994.
- Furor: guerra, poesia, profezia, 1983.
H.F.K. Gunther
- Platone custode della vita, Ar
- Humanitas, Ar
- Spiritualità Indoeuropea, Ar
J. Haudry- Le feu dans la tradition indo-européenne, Archè, Milan, 2016 (ISBN 978-8872523438).
- Gli Indoeuropei, Ar, Padova 2001
- La Triade pensée, parole, action, dans la tradition indo-européenne, Archè, Milan, 2009 (ISBN 88-7252-295-1).
- Les peoples indo-europeens d’Europe
E. Benveniste- Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1981 (ISBN 88-06-59960-7)
A. Costanzo- Il sacrificio di Odino. Tracce sciamaniche tra i vichinghi, Diana edizioni
T. Karlsson- Uthark: Nightside of the Runes Ouroboros Produktion, 2002
- Le rune e la Kabbala, Atanor, Roma, 2007
J. De Vries- The Problem of Loki, FFT Communication n°10, 1933, Societas Scientiaroum Finnica, Helsinki


FONTI ORIGINALI
Fonti Indoiraniche- Rg Veda. Le strofe della sapienza, Letteratura universale Marsilio
- Upanishad antiche e medie, a cura di Pio Filippani Ronconi, Bollati Boringhieri
Avesta
Fonti scandinave e alto germaniche- Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli, Garzanti
- Edda, Snorri Sturluson, Adelphi
- Saga degli Ynlingar, Snorri Sturluson
- Gesta dei Re e degli eroi danesi, Sassone Grammatico, a cura di Ludovica Koch, I Millenni Einaudi, 1993
- Beowulf, A cura di Ludovica Koch, I Millenni Einaudi, 1987
- I Nibelunghi, a cura di Laura Mancinelli, Einaudi
- La saga di Hervor, La saga dei Volsunghi, La saga degli uomini delle Orcadi, La saga di Egill, La saga di Njall, in Antiche Saghe Nordiche, Oscar Mondadori
- Historia Longobardorum, Paolo di Varnefrido (Paolo Diacono)
- The Galdrabok, a cura di S. Flowers
Fonti Romane- Gaio Giulio Cesare, De Bello Gallico
- Publio Cornelio Tacito, De origine et situ Germanorum, a cura di F.T. Marinetti

lunedì 18 marzo 2019

Considerazioni sulla funzione sovrana, parte V

Estratto dal saggio introduttivo a J. Haudry – “Loki” in corso di pubblicazione per Polemos Forgia Editoriale


La sovranità del mondo indoeuropeo conosce poi delle coppie di sovrani, simbolicamente rappresentabili come il cielo notturno ed il cielo diurno. Quest’ultimo è quello che richiama il termine latino Deus, sanscrito Deva, greco Zeus, alto germanico Tiuz/Ziu/Tiwaz poi espresso come Tyr dagli scandinavi, Dyauṣ Pitā per gli indoiranici, latino Juppiter. Il termine protoindoeuropeo *Dyew ne sarebbe la radice più antica. D’altro canto di non meno importanza e cosmologicamente anteriore si staglia il cielo notturno di Varuna, di Urano e di Wuotanaz/Odhinn. Nella storia leggendaria di Roma a Romolo spetta la funzione notturna e “varunica” mentre a Numa quella propriamente diurna, sacra e legislativa. La coppia sovrana indoiranica è in tal senso significativa: a Varuna spetta il dominio magico, a Mitra quello del contratto d’amicizia.

Sono possibili anche paralleli tra Wotan e Rudra. Così si esprime G. Dumezil infatti:

«Le bande di devoti di Rudra, legati da un voto, dotati di poteri e di licenziosità, richiamano tanto i berserkir quanto gli Einherjar di Odhinn.

Questo Dio sovrano, questo mago ha incontestabilmente una delle sue sedi nella zona misteriosa o selvaggia al confine con la civiltà. Come Rudra-Shiva egli è volentieri, se ci si riferisce alle regole ordinarie, addirittura immorale – e Thor non si fa problemi a rendergliene conto quando devono confrontarsi tra loro. Come Rudra-Shiva, egli ha gusto per i sacrifici umani, in particolare per l’auto immolazione dei suoi devoti. Più genericamente, come Rudra-Siva, c’è in lui qualche cosa di quasi demoniaco [come] la sua familiarità con Loki.

Presso i Germani del Nord, i demoni, sono soprattutto i giganti. Anche con loro Odhinn ha più di un rapporto. Da parte di lignaggio paterno egli è cresciuto, con poche generazioni intermedie, da un gigante a dire il vero assai particolare, il gigante primordiale Ymir, e sua madre è la figlia vera e propria di un gigante, Bolthorn, “spina del dolore”. Egli manifesta diverse volte uno spirito stranamente conciliante, pacifico, a riguardo dei malvagi giganti e si rende necessario l’intervento di Thor per salvarlo da questa situazione in cui questa sua disposizione lo ha messo minacciando anche gli altri Dèi, uccidendo il gigante: così infatti egli ha introdotto Hrungnir nella enclave degli Asi e il gigante minaccia di saccheggiare tutto, rapendo tutte le più belle dee, e lo avrebbe fatto non fosse stato per Thor, invocato in extremis dagli Dei […] per semplificare potremmo definire Odhinn e Rudra come gli dei oscuri mentre Thor e Vishnu gli dei luminosi»

«Il Varuna vedico non è un demone in senso di “demone” e non è da prendere come modello divino di un padre epico dei “malvagi”. Non poche difficoltà si dissiperebbero nella religiosità vedica quando si cesserà di contrapporre deva e asura come due termini omogenei: deva denota uno statuto, i deva sono e non sono che Dèi e tutti gli Dèi sono deva; asura designa una modalità di potenza, d’azione, anche una tipologia di carattere, un poco inquietante, che è quello di qualche deva (principalmente Varuna e gli Aditya, talvolta Indra, Agni, Soma, Rudra, Savitar, Pusan, Dyau) e portato all’estremo tale carattere, diviene quello dei demoni propriamente detti (ed è l’impiego meno prevalente all’interno degli inni).» G. Dumezil Mythe et Epopée, Gallimard, traduzione nostra dal francese.

Ma Asura nel mondo iranico è l’epiteto del dio celeste Ahura Mazda, corrispondendo così - come giustamente rilevato da E. Polomé nel suo saggio L’étimologie du terme germanique *ansuz “dieu souverain” Etudes Germaniques n°1 1953 - al runico Ansuz; che designa gli Ansen o Asi nel loro essere divino.

A conferma di questa intuizione di E. Polomé ci viene in aiuto una precisazione di C. Watkins, dal suo monumentale How to Kill a Dragon – ASPECTS OF INDO-EUROPEAN POETICS, trattata che compara le forme poetiche e rituali attestate nelle varie lingue indoeuropee:

«Now another lexical set relating to an aspect of symbolic culture in the semantic realm of power or authority is the group of words including Vedic asura- and Avestan ahura- 'lord' (usually divinized), Hittite hassu- 'king', and the group of Germanic deities known in Old Norse as the Aesir, Germanic *ansuz. These are respectively reconstructed as *h2ns-u-ro, *h2,ns-u-, and *h2o'/ans-u-»

Per Benveniste il germanico padre degli Ansen o Asi, Wuotanaz – ovvero Odhinn - e il latino Dominus andrebbero analizzati parallelamente. Il primo indicherebbe il signore della schiera dei posseduti (angriffenheit) dal furore (id est furor lo definì Adamo da Brema) che solca i cieli notturni d’inverno nella caccia selvaggia. Il secondo sarebbe il signore della Domus, non intesa come edificio ma come comunità sacra e sociale al tempo stesso.

Articolo di Andrea Anselmo che ringraziamo per il prezioso contributo

domenica 17 marzo 2019

Considerazioni sulla funzione sovrana, parte IV

Estratto dal saggio introduttivo a J. Haudry – “Loki” in corso di pubblicazione per Polemos Forgia Editoriale


A parlare di un “draugr” è, come spesso accade, anche lo storico danese Saxo Grammaticus. Questi nel suo monumentale Gesta Danorum, oltre a narrare del più volte succitato Hadingo e delle sue prove iniziatiche, ci narra di Mithone un vero e proprio draugr. Oltre a ciò è celebre il suo riferimento a Hagbard e Signi, tragica coppia di innamorati che ispireranno Shakespeare nei suoi Romeo e Giulietta… ambientati caso vuole a Verona. Così come sempre da Saxo Grammaticus verrebbe l’ispirazione per l’Amleto shakespeariano.

In Svezia ci siamo imbattuti nel campo funerario megalitico di Sarestad: qui oltre a 40 pietre allineate sorge il tumulo di Hagbard, che gli storici fanno risalire al 1500-500 avanti Cristo.

Per consolidare il proprio potere e la propria saggezza in campo spirituale era necessario secondo la tradizione nordica un contatto con l’aldilà, tanto che era abitudine del mago o della strega trascorrere notti di veglia all’aperto, magari presso tumuli infestati e campi funerari, anche in questo caso sulle orme di Odino nella Voluspà o come alcuni personaggi minori della Saga degli Uomini delle Orcadi. È un’altra figura semistorica, riformatore religioso, che secondo Dumezil è propria comunque alla prima funzione indoeuropea, Numa Pompilio, a trascorre tempo all’aria aperta e nei boschi.

Odino d’altro canto è l’archetipo dell’uomo che, acquisita la saggezza e la forza derivante dalla magia (in norreno “megin” termine che possiamo collegare all’inglese “might” o al tedesco “macht” e quindi al concetto di “fare”, “porre in essere”, “potere”) per consolidare il suo potere e continuare verso la via della conoscenza, tramite varie pratiche: dal sacrificio dell’occhio, alla negromanzia con cui riporta come narrato nella già citata Voluspà alla vita la veggente - la “volva”, una gigantessa o una strega che pratica quella forma di magia chiamata seidr e dove forse volva indica colei che volge la bacchetta magica o addirittura il fallo - nonché alla propria impiccagione all’albero cosmico Yggdrasill (il destriero di Yggr, il “terribile)” che lo porta alla scoperta delle rune annunciata dal “grido”. D’altro canto tale scoperta delle rune da parte di Odino (detto infatti anche “Hroptr”, “colui che urla”) ricorda il ruggito del Leone del Buddha. Una immagine di quest’ultimo è stata ritrovata “a sorpresa” in Scandinavia presso l’isola di Helgo e in area celtica per quanto riguarda Lug, Cernunno, seduto in una posa che ricorda da vicino l’iconografia e la pratica buddhista nel calderone di Gundestrup. Non è ancora dato sapere se tali ritrovamenti fanno riferimento a comuni origini indoeuropee o a prestiti culturali, oppure a semplici contatti commerciali. 
Forti i paralleli con un’altra figura “sovrana” all’interno dell’ideologia tripartita degli indoeuropei, Yudhishtira, il Pandava del Mahabharata generato dall’astrazione di Dharma. Così si esprime Dumezil nel primo volume del suo monumentale Mythe et épopée:

«Una continua tensione, presso Yudhishtira, tra due ideali: il compimento rigoroso del suo dovere di Ksatriya coronato [...], d’altra parte la rinuncia sotto tutte le forme, alla vittoria, al trono, alla vita pubblica. Più di una volta lo si vede aspirare alla via eremitica, ben prima di aver raggiunto l’età in cui questa è raccomandabile. [..] Non bisogna dimenticare che per concepirlo Dharma si presenta davanti alla madre Kunti assumendo una forma di Yoga, yogamurthidarah: Yudhistira ha lo Yoga nel sangue» (traduzione nostra dall’originale francese)

In un altro passo, Yudhishtira, avanza con il volto coperto, al fine di non incendiare il mondo con il suo “occhio terribile”. Significativa corrispondenza con l’unico occhio della divinità sovrana nel pantheon germanico. Anche Yudhishtira non tocca terra quando viaggia con il suo carro tipico degli arya, così come Sleipnir non tocca terra mentre cavalca i cieli.

Sempre in termini estatici è comunque inquadrabile la succitata forma di magia nordica detta seidr la quale etimologicamente potrebbe essere collegata, nell’alveo delle lingue indoeuropee, al significato di “legare” come l’indiamo setu. Un significato simile per certi versi è riscontrabile nella lingua italiana: dal verbo fasciare non deriva soltanto il sostantivo Fascio, ma anche fascino, fascinazione. Affascinante inoltre il parallelo con il termine Yoga, che a sua volta rimanda al significato di “legare”, “unire”. E d’altro canto Odino è il dio “che lega”, come ci ricorda Dumezil nel suo Gli Dèi dei Germani.

Come ricorda Mircea Eliade, in Immagini e Simboli, riprendendo proprio l’analisi di Dumezil, sia Varuna, che Urano che Odino partecipano alle lotte e agli scontri con la loro arma principale, la magia. Essi sono i “Sovrani terribili” il cui corrispondente nel mondo Latino è il sovrano primevo Romolo «che lega con vincoli onnipotenti». D’altro canto ricordando Plutarco (Romolus) sia Eliade che Dumezil ricordano che davanti al sovrano latino camminavano sempre degli «uomini armati con verghe i quali tenevano a distanza la folla ed erano cinti di corregge al fine di legare immediatamente coloro che egli avesse ordinato di legare».

Evidente parallelo con Odino nella Ynglinga Saga di Snorri Sturluson «Odino poteva rendere i propri nemici ciechi, o presi dal terrore […] i suoi uomini avanzavano senza armatura, erano folli come cani o lupi, mordevano i loro scudi ed erano forti come orsi o tori selvatici, né il fuoco né il ferro potevano ferirli. Essi erano detti i Berserker».

È stata anche proposta una significativa derivazione finnica e quindi sciamanica della pratica della seidr, la quale rimanderebbe al suono del tamburo sciamanico per indurre uno stato di trance, spesso osceno, in grado di rendere possibile una ierofania. Nel Lokasenna, il beffardo e briccone Loki insulta e svergogna Odino proprio per l’oscenità sessuale connessa alla sua pratica del seidr.

Anche Hel, la regina degli inferi dove vanno coloro che non muoiono combattendo, che abbraccerà Balder, non manca di elementi a suo modo erotici e tormenta Balder nelle Gesta Danorum appunto in sonno così come quelle streghe della notte che cavalcano i dormienti durante gli incubi.

Articolo di Andrea Anselmo che ringraziamo per il prezioso contributo

sabato 16 marzo 2019

Considerazioni sulla funzione sovrana, parte III

Estratto dal saggio introduttivo a J. Haudry – “Loki” in corso di pubblicazione per Polemos Forgia Editoriale


In tempi di pace dunque le scorrerie e le discontinuità psicologiche di questi guerrieri erano un elemento pericoloso e si rischiava di divenire dei “proscritti”, magari mandati a vivere nell’entroterra Islandese, luogo noto per le presenze di esseri sovrannaturali e ostili, dove i Vargr, i lupi fuorilegge, venivano appunto esiliati e diventavano coloro che vengono condannati a vagare per il bosco. Così come Kveldulfr, antenato di Egill nella saga islandese a lui dedicata, sul far della notte diventava ombroso - styggr – e si diceva potesse mutare la sua forma. Come se il suo passato di giovane berserker, dal quale evidentemente derivava il suo dono di mutare forma ed essere un guerriero di Odino, avesse un prezzo da pagare: l’instabilità che ancora lo prendeva verso sera. D’altra parte avere una personalità multipla – eigi einhamr, magari connessa ad espressioni del volto conturbanti e tremende, era considerato un plus per certi guerrieri. E questo rimanda ancora alle processioni notturne ed estatiche di figure mascherate in modo terribile, diffuse un po’ in tutta Europa.

Il mutaforma per antonomasia è sempre Odino ovviamente – anche se condivide questa capacità con Loki. Celebre la trasformazione prima in serpente poi in Aquila di Odino al momento del ratto dell’idromele: trasformatosi in serpente per penetrare nel cuore di una montagna e sedurre Gunnlod, figlia del gigante Suttungr, ottenendo tre sorsi di idromele e fuggendo in forma di aquila. Manco a dirlo l’idromele è la bevanda sacra che conferisce ispirazione, ebrezza ed estasi. Nel Rg Veda un’aquila porta dall’alto di una montagna il soma, corrispondente vedico dell’idromele, in occasione dell’uccisione del padre di Indra da parte di Indra stesso.

Quando Odino, per poter procreare con la figlia del Re dei Ruteni secondo Saxo Grammaticus, si traveste e muta aspetto per riuscire a conquistarla, viene rifiutato diverse volte sinché arriva a travestirsi da donna, da curatrice e riesce a recare violenza alla fanciulla. Vedremo, più avanti parlando del seidr e il carme eddico del Lokasenna d’altro canto non perde l’occasione di farne menzione, che la pratica magica e quella erotica non sono assolutamente sconnesse.

Non stupisce quindi che i guerrieri estatici, berserker o ulfednar che siano, temuti in vita e spesso persino dileggiati per la loro parentela lupesca, come nel caso della saga dei Volsunghi, risultino un elemento pericoloso ed instabile anche nella morte.

I tumuli di personaggi particolari, berserker, maghi e stregoni, accomunati da una vita al limite delle norme della comunità, infestano le loro dimore sepolcrali a meno di essere decapitati o trafitti postmortem. Sono i cosiddetti “Draugr”, dai quali forse Bram Stoker mutuò la figura di Dracula, il vampiro più noto della letteratura contemporanea. Molto più nota risulta l’origine del nome Dracula da Drakon; ma la filiazione nordica pare essere comunque confermata dal drago che Beowulf, Sigfrido e Hadingo affrontano, talvolta proprio in un tumulo come nel caso di Beowulf. Quest’ultimo, guerriero ferino per antonomasia come abbiamo visto, è forse sepolto nel tumulo di Skalunda nel Vastergotland. Vampiro è anche il guerriero cinocefalo Longobardo descritto da Paolo Diacono, forse una eco del guerriero sullo stile di Sigfrido e di Hadingo che sbrana e beve il sangue dei nemici e dei mostri per acquisire ulteriore potere, anche in campo soprannaturale (… e intendere la lingua degli uccelli).

Nella saga di Hervor ad esempio la temibile spada Tyrfing – letteralmente “il dito del dio della spada Tyr”, una spada che provenendo da un antenato sancisce il conferimento del potere al quale si ambisce – viene recuperata dalla figlia di Angantyr dal tumulo funerario, infestato, del padre draugr e possessore della spada al quale la stessa viene strappata. L’ingresso del tumulo in questa saga è detto Helgrind, cancello di Hel, ovvero apertura sul mondo infero. Un nome importante, che probabilmente lascia intendere un significato di discesa agli inferi iniziatica, molto note alla tradizione spirituale più antica.

Otto Hofler, nel suo poco noto studio su Cangrande di Verona e il simbolismo del cane presso i Longobardi collega il rinvenimento della spada di Alboino, sepolto sotto ad una scala del palazzo reale, ad una reminiscenza tipicamente nordica.

Dice infatti Paolo Diacono:

«Ai nostri giorni Giselperto, Duca di Verona, aperto il suo sepolcro, ne sottrasse la spada e quanto trovò dei suoi ornamenti. Per questo - con la vanità che è solita tra gli ignoranti- si vantava d’aver veduto Alboino.» Paolo Diacono, Historia langobardorum, II- 28.

Questa apparizione è a tutti gli effetti tale da richiamare il draugr, il quale abbiamo visto infestare i sepolcri nelle saghe nordiche. La spada, come Tyrfing torna ad essere presso i Longobardi quasi un simbolico lascito dall’eroe capostipite ai suoi discendenti.

Articolo di Andrea Anselmo che ringraziamo per il prezioso contributo

venerdì 15 marzo 2019

Considerazioni sulla funzione sovrana, parte II

Estratto dal saggio introduttivo a J. Haudry – “Loki” in corso di pubblicazione per Polemos Forgia Editoriale


Andando più in profondità è noto che Odino, notoriamente detto anche Wotan – da *wuot colui che possiede estaticamente e infatti definito «id est furor» da Adamo da Brema nel suo Storia degli arcivescovi della chiesa di Amburgo - percorreva i cieli in occasione della temibile e notturna Wilde Jagd, la Caccia selvaggia; così come percorre il cielo in sella a Sleipnir mentre soccorre il succitato Hadingus. Odr è lo stato di intensa esaltazione mistica da cui il nome Odhinn. Il tema del furore che “entusiasma” il guerriero, il bardo, il poeta è centrale in una certa lettura della spiritualità antica. Il furore è un elemento non umano che la divinità dona al pari della saggezza e dell’ispirazione poetica in un tutt’uno di estasi, ispirazione, scatenamento e fusione all’interno di una schiera. Come nota Quirino Principe, in una sua conferenza, l’entusiasmo guerriero è formato infatti da “en” e “theos”, rimanda quindi alla possessione da parte del demone del coraggio, quindi da Odino stesso in ambito germanico, che rigenera attraverso il sacrificio e l’incontro con la morte, come se la stessa attività guerriera fosse un’esperienza iniziatica e di deificazione.

Le schiere ferali dell’Oskorei che per la tradizione scandinava – ed europea in generale - attraversano il cielo nel periodo di Jul sono possedute da tale entusiastico ardore estatico. Così come i loro corrispondenti umani, legati in confraternite guerriere e iniziatiche come le Mannerbunde dei Berserker (pelle di orso) e degli Ulfednar (pelle di lupo). Evidente il parallelo con i Luperci della tradizione latina.

Come vedremo, per una sorta di coincidenza degli opposti, questi guerrieri estatici possono rappresentare sia una risorsa che una calamità per la comunità alla quale appartengono.

«Vedo nella scoperta di quelle particolarissime forme eroiche e demoniche del culto della morte proprie alle società di uomini (Mannerbunde) un punto centrale della vita germanica, una fonte religiosa, una forza etica e storico politica di immensa potenza.
Qui trovo sia già da evitare un malinteso: la parola “Estasi” lascia forse inizialmente pensare agli uomini moderni a qualcosa di volgarmente inebriante, una qualche soluzione che obbliga a ricadere nel rabbioso degradare nel caotico. Questo punto è attualmente di una incalcolabile importanza; rilevo come le tradizioni germaniche della masnada “Selvaggia” o “Wotanica” e il suo capo siano di una essenza completamente differente rispetto al concetto di estasi come degradazione: questo tipo di culti non aumentano un piacere passeggero.
Questi culti sono mezzi per aumentare non l’essenza caotica, ma l’Ordine; non la frenesia anarchica ma l’impegno; non la degradazione sociale ma piuttosto la costruzione del collante della società con gli antenati.» (Otto Hofler, Kultische Geheimbünde der Germanen, traduzione nostra)

Ad esempio, presso la fortezza di Jomsborg, presso Wollin alla foce dell’Oder, una mannerbunde di vichinghi seguiva una regola di ferrea disciplina.

Dalla mannerbunde di Jomsborg erano escluse le donne e solo uomini in età adulta vi potevano accedere. Legati tra di loro da vincoli di lealtà e votati alla rappresaglia e alla vendetta, dividevano il bottino tra loro costituendo un esempio di forte disciplina guerriera, come riportato dalla Saga dei Vichinghi di Jomsborg.

«Se la città natia intorpidisce in una lunga pace o nell'ozio la maggioranza degli adolescenti nobili va verso quelle nazioni che stanno facendo la guerra, poiché odiando la quiete, essi sono convinti di coprirsi di gloria fra i pericoli e di conservare un grande seguito soltanto in una vita forte e nella guerra» Tacito – De Germania (trad. F.T. Marinetti)

Al tempo stesso, tali Mannerbunde dei Berserker e degli Ulfednar, guerrieri sacri di Odino e figure ricorrenti nelle saghe, erano posti ai limiti della società, così come le oscene processioni degli adepti di Dioniso e delle Menadi.

«I suoi uomini andavano senza corazza, selvaggi come cani e lupi. Mordevano gli scudi ed erano possenti come orsi e tori. Facevano eccidio di uomini e ferro e acciaio nulla potevano contro di loro. Ciò era detto furore di berserker» (Snorri Sturluson, Ynglinga saga)

Le consorterie di berserker e ulfednar si distinguono spesso dal loro latrare durante i banchetti, oppure formano compagnie di sette, nove o dodici guerrieri con nomi simili, ad esempio riferentesi a Bjorn, l’orso. Si veda in tal senso le note avventure contro i Berserker compiute dall’eroe Starcaterus.

«I Longobardi fingono adunque d’aver nei loro alloggiamenti certi cinocefali, cioè uomini colla testa di cane, e fanno correre la voce tra i nemici, essere costoro nella guerra pertinacissimi, e talmente sitibondi di umano sangue, che se non poteano giungere l’inimico, col proprio si dissetavano.» (Paolo Diacono, Storia dei Longobardi)

Forse una lontana eco di queste schiere terrificanti si trova persino nella vicenda dell’eroe danese Amleto che mette in scena in una battaglia narrata nelle Gesta danorum un esercito tremendo composto da morti sostenuti artificialmente, per mettere paura ai nemici e far sembrare ampissime le sue truppe.

Le schiere di guerrieri estatici vestiti di pelli di animale erano considerati comunque un pericolo oltre che una risorsa, soprattutto nei tempi di pace. Avere un Berserker tra i propri antenati – come nel caso dell’ero islandese Egill - portava con se predisposizioni e retaggi oscuri, inquietanti e spesso di autentica instabilità. Come nel caso dei dodici figli di Vestmaro, nel quinto libro del già citato Gesta Danorum di Saxo Grammaticus, i quali essendo dei berserker in tempo di pace, sfogano il loro “temperamento focoso” in pratiche “oscene” e “degeneri”, violentando ogni donna che capitava loro a tiro, facendo dimenticare l’amore a favore “dell’amplesso violento” ma non solo, si esercitavano anche nell’appendere con funi le loro povere vittime per torturarle. Istituirono addirittura una sorta di ius primae noctis per il quale ogni vergine finiva per essere loro vittima.

Articolo di Andrea Anselmo che ringraziamo per il prezioso contributo

mercoledì 13 marzo 2019

Considerazioni sulla funzione sovrana, parte I

Estratto dal saggio introduttivo a J. Haudry – “Loki” in corso di pubblicazione per Polemos Forgia Editoriale


Riteniamo utile proporre alcune considerazioni sulla funzione regale nel mondo indoeuropeo e nel contesto della sua ideologia tripartita.
Il termine Rex romano ad esempio, come vorrebbe E. Benveniste, deriverebbe da un comune termine indoeuropeo (Rig, da cui Vercingetorix, Raja sanscrito, Rex latino, forse Reik gotico aggiunge chi scrive) il quale farebbe riferimento alla funzione primordiale del sovrano di tracciare una linea retta, stabilendo così un confine sacro, un limite ed una regola. Stabilirebbe in altre parole un ordine sacro; ordine il quale, in sanscrito rta, si collega semanticamente anche al rito.
Ma cos’è dunque tale rito? Per Mircea Eliade il rito è un nuovo inizio che invera nuovamente l’origine nella storia, permettendo dunque quell’irruzione del sacro nella vicenda terrestre. L’origine corrisponde cosmologicamente ad un sacrificio primordiale, ad una messa a morte, che non crea ex nihilo ma che plasma una realtà preesistente. Lo squartamento del macrantropo primordiale, Ymir per i popoli germanico scandinavi, Purusha per gli inni vedici, è la scaturigine del cosmo ordinato. Così nel mondo latino al tracciare il solco da parte del Rex Romolo corrisponde successivamente l’uccisione di Remo, il quale non è in grado di rispettare l’ordine e la sacralità al contrario del fratello.
La ritualità sacrificale nella spiritualità indoeuropea è da leggersi in un contesto attitudinale nel quale l’incontro tra l’uomo e la divinità poteva risultare letale per gli incauti, in quanto l’elemento divino poteva anche avere dell’accecante, del terrificante, oppure era portatore di nefasti presagi.

Si rinvengono diverse tracce di terrore sacro nella mitologia nordica, tanto che Odino, la principale tra le divinità sovrane, portava sì saggezza e ispirazione poetica ma anche morte, sortilegi, inganni ed in ogni caso non era una presenza consolatoria.
«Odino è per Saxo Grammaticus come per Snorri il padre di ogni conoscenza intellettuale e linguistica. L'esempio stesso delle potenzialità della mente umana. Ma la conoscenza che viene da lui è moralmente dubbia e pragmaticamente doppia: procura vantaggi immediati ma è diretta comunque alla violenza e alla morte.» Ludovica Koch – Introduzione a Gesta dei Re e degli eroi danesi, Sassone Grammatico, a cura di Ludovica Koch, I Millenni Einaudi, 1993
«Se appena potrò contemplare l’orrendo marito di Frigg» dice infatti un eroe prima di morire in battaglia proprio nel Gesta Danorum di Saxo Grammaticus.
Odino infatti è una divinità psicopompa e anche per questo iniziatica. È Odino che, come noto, sceglie i caduti in battaglia, talvolta intervenendo lui stesso nella battaglia stessa, spesso in modo imprevedibile, tradendo i propri eroi per poi portarli nel mitico Walhalla.

Tale prospettiva oltremondana per le fonti nordiche non risulta inoltre particolarmente consolatoria e “paradisiaca”. Il noto Walhalla, dove confluiscono i guerrieri morti in battaglia e prescelti da Odino è solo una dimora di passaggio: qui i guerrieri continuano a combattere e mangiare, ma non per puro diletto: piuttosto in vista della battaglia finale sul campo di Wigrid, dove si annienteranno contro le schiere elementari e infere dei giganti e dei figli di Loki. Annientamento del Ragnarok al quale seguirà un nuovo inizio.
Risulta esemplare in questo caso la vicenda di Hadingus, eroe delle Gesta Danorum e dal quale Dumezil partirà per il suo saggio La saga di Hadingus. Dal mito al romanzo, Ed. Mediterranee.
Quest’ultimo vive una esistenza scandita da due fasi: quella all’insegna degli dei Vani che si conclude con un momento di crisi; la seconda che trae inizio dall’incontro con Odino: da questo momento la sua vita è all’insegna del sacrificio, così come recita la profezia che Odino stesso gli rivolge (Gesta Danorum, I, VI, 8):

«Affronta con tutte le forze un leone furioso, consueto a fare a pezzi i cadaveri dei prigionieri, e confronta la forza dei tuoi muscoli contro i suoi artigli feroci, snuda la spada a frugargli le fibre del cuore. Poi subito accosta la bocca a succhiargli il sangue fumante e a sbranarlo a morsi.»

La vita di Hadingus dall’incontro con Odino in poi è costituita dunque da prove iniziatiche che quasi annientano l’iniziando; assicurandogli però come ricompensa una nuova forza sia fisica che spirituale.

Lo sbranamento rituale che conferisce poteri iniziatici è comunque molto noto in un’altra saga, tra le tante che si potrebbero citare: ovvero nel caso dell’uccisione del Drago Fafnir e da parte di Sigurd. Il sangue e il cuore di Fafnir donano infatti la capacità di comprendere il linguaggio degli uccelli, così come riportato nella Saga dei Volsunghi, capitolo XIX-XX. Sempre in un passo delle Gesta Danorum ci si abbevera ad esempio del sangue di un orso abbattuto che ne conferisce la forza vitale ad un guerriero ancora non esperto. 

Articolo di Andrea Anselmo che ringraziamo per il prezioso contributo

lunedì 11 marzo 2019

Celebrare e vivere

La celebrazione degli Dèi e dei misteri arcaici come fulcro dell’esistenza

Essere uomini e donne completi non è, di questi tempi, cosa comune.

Tutti noi ci dividiamo fra la miriade di impegni che la vita dei nostri tempi richiede, lavoriamo, studiamo, ricopriamo un ruolo sociale.
Il vivere, tuttavia, non ci deve essere da ostacolo nella nostra fede, anzi!
Noi non siamo monolatri che disprezzano questo mondo, questo dono che è la terra di mezzo nella quale ci è stato concesso di vivere, amare e lottare.
No! Non sarà da noi che sentirete parole di sdegno per le cose terrene. Noi ci prefiggiamo di essere ciò che siamo e di onorare gli Dèi vivendo appieno nel nostro Wyrd e secondo lo stesso.
Agli Dèi immortali, ai nostri patroni, dedichiamo ogni nostra azione degna, dalla più piccola alla più notevole.
Non basta celebrare, che pur è utile a rinsaldare la fede e a meglio sentire e comprendere gli immortali, occorre anche e soprattutto vivere questa ogni giorno.

venerdì 8 marzo 2019

Le vie di Wodanaz, speciale la fede dei primordi

Buongiorno a tutti voi che seguite il nostro progetto, vi presentiamo il nostro nuovo pdf stampabile, che abbiamo strutturato in maniera che possa essere letto agevolmente anche da dispositivi mobili.
Buona lettura, e buona condivisione!

Uomini liberi e capi

“Fu allora ai Geati tutti assieme
liberata una panca nella sala della birra,
là andarono a sedere gli animosi
fieri della loro forza; serviva un seguace
che in mano reggeva una coppa decorata,
versava la bevanda lucente; il poeta a tratti cantava
chiaro in Heorot; c’era gioia d’uomini,
compagnia non piccola di Danesi e Weder.”

(Beowulf 491-498)

Cos’è la nobiltà? Al di là di vetuste visione di chincaglierie araldiche e merletti essa è, in prima luogo, la capacità di saper guidare e istruire gli uomini.
Nobile è il condottiero, colui che guida, prima fra i pari, la propria schiera in battaglia.
Questa figura, diffusa in tutto il mondo, è infatti connaturata alla natura umana, in essa i valorosi trovano riconoscimento e da questo traggono forza e compagni, sono quest’ultimi, infatti, la grande forza di ogni condottiero ed è in lui che gli uomini liberi riconoscono la figura del capo, non per imposizione ma per libera scelta dato che è prerogativa dei liberi seguire i più valorosi (su questo discorso rimando all’articolo scritto sempre dal sottoscritto e pubblicato qui:

http://www.leviediwodanaz.com/2018/07/luomo-libero-segue-il-valoroso.html?m=1 )

Ma chi vuole comandare deve prima imparare a rispettare i propri pari, deve saper bere con loro e condividere storie davanti al focolare.
Saper ben parlare, saper ben narrare è un dono del padre del tutto, egli, terribile vate, dona a coloro che reputa degni la capacità di infiammare gli animi delle schiere perché possano così meglio servire la causa divina.

“Avanzò Wealhtheow,
regina di Hrothgar, memore delle usanze,
salutò adorna d’oro i guerrieri nella sala
e poi la nobile donna porse la coppa
per primo al custode dei Danesi dell’Est,
gli chiese d’esser felice nel bere la birra,
caro ai suoi uomini”

(Beowulf, 612-617)

Occorre essere saldi, in questi tempi, e preparati a ciò che verrà, quando la civitas arriverà al crollo e sarà nuovamente tempo di lupi, asce e spade prima che il mondo crolli.

lunedì 4 marzo 2019

I boschi sacri e l'albero cosmico- quinta parte

Stessa cosa accade ad altri popoli germanici del Nord Europa nei secoli successivi.
I nuovi re cristiani di Norvegia, Harald II° (961-970 ca.) e Olaf I° Tryggvason (995-1000) attuano una campagna violenta di cristianizzazione forzata, distruggendo i templi e i luoghi di culto pagani (29).
Sotto il regno di Tryggvason numerosi sapienti e fedeli dell’antica fede, che rifiutano il battesimo e la conversione, sono torturati e uccisi nei modi più crudeli (30).
La cristianizzazione ufficiale della Norvegia arriva a compimento nei decenni immediatamente successivi.
L’Islanda resiste sino all’anno 1000, quando si converte al cristianesimo, con una decisione del suo þing, e proibisce il culto pubblico della vecchia fede.
Tiene duro ancora la Svezia, che però cade poco dopo.
Nel 1087 il re cristiano Ingold I° conquista Gamla Uppsala, sconfiggendo e uccidendo il re pagano Sven il Sacrificatore.
Si ritiene che in quello stesso anno il re cristiano abbia fatto distruggere anche l’antico tempio pagano e fatto abbattere gli alberi sacri.
Cadeva così l’ultimo celebre baluardo dell’antica religione (31).
Le leggi cristiane proibiscono ovunque il culto pubblico della vecchia fede, compresi boschi, alberi, pietre e fonti sacre.
Chi vuole restare legato alla Tradizione degli antenati deve farlo di nascosto, pena severe condanne, sino alla morte.
Gli antichi Dèi dei Germani e delle genti scandinave sono fatti passare dalle nuove autorità cristiane come demoni, in una spietata opera di demonizzazione, come era già accaduto per gli Dèi di altri popoli Indoeuropei.
Nuove feste cristiane sono apposte sopra a quelle pagane: il Natale sopra a Yule (in norreno Jól), Pasqua sopra ad Ostara, e così via (32).
Ma i simboli della vecchia religione non sono del tutto dimenticati, sono solo stati occultati.
La resistenza dei popoli europei, la loro fedeltà all’antica Tradizione dei padri, obbliga le autorità cristiane ad un’opera di assimilazione e di sincretismo, oltre che di condanna e di demonizzazione.
L’albero di Yule diventa l’albero di Natale, il ceppo di Yule diventa il ceppo di Natale, la lepre di Ostara diventa il coniglio di Pasqua, e così via (33).
Anche i boschi sacri e l’albero cosmico della vecchia fede e della Tradizione arcaica non sono stati dimenticati.
Sono ancora qui, fra di noi.

Note:

29. S. Sturluson, Heimskringla: le saghe dei re di Norvegia, Edizioni dell’Orso, Vol. I° 2013, Vol. II° 2014, Vol. III° 2015, Vol. IV° 2017, Historia Norvegiae, Vocifuoriscena 2017, P. Jones N. Pennick, Storia dei Pagani, Odoya 2009, G. Chiesa Isnardi, Storia e cultura della Scandinavia, Bompiani 2015

30. Ibid.

31. Ibid.

32. P. Jones. N. Pennick, Storia dei Pagani, ed. cit. e N. Pennick, Pagan magic of the Northern Tradition, Destiny Books 2015

33. Ibid.

- Articolo di Fabrizio Bandini, che ringraziamo sentitamente per averci permesso di pubblicarlo

domenica 3 marzo 2019

I boschi sacri e l'albero cosmico- quarta parte

Albero cosmico e Pilastro del mondo presso i Sassoni è invece il sacro albero Irminsul; Rodolfo di Fulda descrive Irminsul come “universalis columna, quasi sustinens omnia”, ovvero come axis mundi, come pilastro universale (23).
La somiglianza con il Frassino cosmico Yggdrasill è evidente.
Il nome Irminsul (“Grande pilastro, “Grande albero”, “Possente albero”, “Albero dell’ispirazione”) d’altronde deriva evidentemente dal dio sassone Irmin (“Grande”, “Possente”, “Ispirato”, in norreno Jörmunr, "Grande"), che sembra essere un altro dei nomi di Óðinn / Wotan.
L’albero cosmico lo troviamo anche fra i Longobardi, che nel 569, guidati dal loro re Alboin (italianizzato in Alboino), invadono e ripopolano un’Italia devastata dalla peste e dalla guerra gotica-bizantina (24).
Quel valoroso popolo germanico, benché ufficialmente cristiano ariano al momento dell’invasione dell’Italia, conservava in realtà fortissime sacche di paganesimo al suo interno e tali resistenze pagane dureranno ancora per svariato tempo.
Lo stanno lì a dimostrare il culto della sacra arbor di Benevento, molto probabilmente legato a Wotan (25) e il rosone dell’abbazia di Pomposa, di origine longobarda, su cui campeggia un possente Irminsul (26).
L’apporto longobardo, fra l’altro, assieme a quello dei Visigoti, degli Eruli, degli Ostrogoti e di altre stirpi germaniche, porta una terza componente etnica fondamentale per il popolo italiano, quella dei popoli germanici, oltre a quelle precedenti dei popoli italici e dei popoli celtici.
Ma la nuova religione cristiana avanza.
La religione arcaica dei Germani vacilla e arretra, come già era accaduto alle religioni sorelle degli altri popoli Indoeuropei: Greci, Romani, Celti, e così via.
I boschi sacri, i grandi alberi sacri, i templi, vengono distrutti dai re e dai missionari cristiani in tutta Europa.
È un’intera Tradizione che scompare, è un’intera religione che si eclissa, sotto i colpi delle spade e fra i bagliori dei roghi.
Carlo Magno fa abbattere nel 772 il grande albero sacro Irminsul, distruggendo il santuario dei Sassoni, nella sua campagna contro quel fiero popolo pagano, che resiste valorosamente alla cristianizzazione.
I Sassoni ancora non si piegano e combattono con tutte le loro forze, ma alla fine vengono sconfitti, con sanguinose stragi, come quella terribile di Verden del 782, in cui 4.500 nobili sassoni sono giustiziati per la loro fedeltà all’antica religione.
“La Capitulatio de partibus Saxoniæ è il documento finale, terribile, di questa conversione forzata, che fu in parte anche un genocidio” scrive Franco Cardini, commentando inorridito gli eventi (27).
Dello stesso periodo sono anche le leggi del re longobardo cattolico Liutprando (712-744), che condanna e reprime il paganesimo del suo popolo, ancora non convertito del tutto, con la massima durezza (28).

Note:

23. bifrost.it/GERMANI/2.Cosmogonia/06-Yggdrasill.html

24. bighipert.blogspot.com/2013/07/la-peste-di-giustiniano-nella-historia.html e Procopio, La guerra gotica, Garzanti (2005)

25. S. Gasparri, La cultura tradizionale dei Longobardi, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (2009)

26. bighipert.blogspot.com/2014/04/irminsul-il-pilastro-del-mondo.html

27. F. Cardini, Radici della stregoneria, Il Cerchio (2000), p. 118 s.

28. S. Gasparri, La cultura tradizionale dei Longobardi, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (2009)

- Articolo di Fabrizio Bandini, che ringraziamo sentitamente per averci permesso di pubblicarlo

sabato 2 marzo 2019

I boschi sacri e l'albero cosmico- terza parte

L’albero cosmico è anche luogo iniziatico sommo, tanto che il possente Óðinn, dio supremo degli Æsir e signore della magia, vi restò appeso nove notti e nove giorni per apprendere la conoscenza arcana e misteriosa delle rune.
Come è scritto nelle celebri stanze dell’Hávamál:

“Lo so io, fui appeso
al tronco sferzato dal vento
per nove intere notti,
ferito di lancia
e consegnato a Óðinn,
io stesso a me stesso,
su quell'albero
che nessuno sa
dove dalle radici s'innalzi.

Con pane non mi saziarono
Né con corni (mi dissetarono).
Guardai in basso,
feci salire le rune,
chiamandole lo feci,
e caddi di là” (18).

Il nome stesso di Yggdrasill rimanda al sacrificio di Óðinn, in quanto significa letteralmente il destriero di Yggr, ovvero il destriero del Terribile (un altro degli innumerevoli nomi di Óðinn), che sta per kenning, per metafora, di forca, patibolo.
Per questo Óðinn è chiamato anche Hangatýr, dio degli impiccati, dal sacrificio a lui caro.
Legata agli alberi, al Frassino (Askr) e all’Olmo (Embla) è anche la creazione dell’uomo e della donna da parte degli Dèi, come narra la Voluspá:

“Finalmente tre vennero
da quella stirpe,
potenti e belli,
æsir, a casa.
Trovarono in terra,
senza forze,
Askr ed Embla,
privi di destino.

Non possedevano respiro
né avevano anima,
non calore vitale, non gesti
né colorito.
Il respiro dette Óðinn,
l'anima dette Hønir,
il calore vitale dette Lóðurr
e il colorito” (19).

E il Gylfaginning:
“Mentre i figli di Borr andavano lungo la riva del mare trovarono due alberi, li raccolsero e li mutarono in uomini. Il primo diede loro respiro e vita, il secondo ragione e movimento, il terzo aspetto, parola, udito e vista. Gli diedero poi vesti e nomi. Il maschio si chiamò Askr, la femmina Embla e nacque allora l'umanità, a cui fu data dimora entro Miðgarðr” (20).

La Quercia invece è particolarmente sacra al dio Þórr.
Scrive Chiesa Isnardi a proposito: “Il rapporto fra questo albero e il dio Thor è testimoniato per i Germani da Willibald, il quale nella sua Vita S. Bonifacii riferisce di grandi alberi di quercia – fatti abbattere dal missionario perché oggetto di culto pagano – che s’innalzavano in una regione centrale della Germania. Questi alberi vengono da lui definiti secondo ‹‹l’antica espressione pagana›› (prisco Paganorum vocabulo), robur Jovis, cioè ‹‹quercia di Giove›› (il quale corrisponde a Thor nella interpretatio romana). Nella colonia vichinga irlandese dove Thor era particolarmente venerato, è ricordata l’esistenza di un bosco di querce a lui sacro (Coill Tomair)” (21).
Il Tasso ha una grande valenza magica, tanto che per alcuni assume addirittura la funzione di albero cosmico al posto del Frassino (22).
Non entreremo qui nella vexata quaestio.

Note:

18. Hávamál, 138-139

19. Voluspá, 17-18

20. Gylfaginning, 9

21. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 537

22. M. Polia, Le rune e i simboli, Il Cerchio 1983, G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, E. Thorsson, Futhark, Weiser Books 1984, E. Thorsson, Runelore, Weiser Books 1987.

- Articolo di Fabrizio Bandini, che ringraziamo sentitamente per averci permesso di pubblicarlo

venerdì 1 marzo 2019

I boschi sacri e l'albero cosmico- seconda parte

Nel bosco si va anche a trovare la bacchetta magica, come narra lo Skírnismál:

“Al bosco sono andato
nell’umida foresta,
la magica verga a prendere;
la magica verga ho preso” (9).

Come sottolinea la Chiesa Isnardi il bosco è nella Tradizione Nordica (parte integrante di quella Germanica) anche “spazio protetto dove appartarsi per un periodo di rigenerazione in attesa di entrare in un nuovo ciclo di vita” (10).

Nel Gylfaginning si racconta come durante il Ragnarök:

“Nel bosco detto di Hoddimímir, due persone si nasconderanno dalla fiamma di Surtr. Così si chiameranno: Líf e Leifþrasir. Essi avranno la rugiada del mattino come cibo e da loro verrà una progenie così grande che popolerà tutto il mondo” (11).

Finita l’orrenda distruzione del Ragnarök (il Fato delle Potenze, ovvero il Fato degli Dèi), chiuso il ciclo, comincerà quindi una nuova Età dell’oro, e le stirpi nordiche risorgeranno da quel bosco sacro.
È da ricordare inoltre, come bosco sommamente sacro nella Tradizione Nordica, Glasir, lo splendente, “del quale si dice che sta in Ásgarðr davanti alle porte della Valhalla e ha foglie di oro rosso” (12).

Fra i molti alberi del bosco alcuni sono particolarmente importanti, come il Frassino, la Quercia, il Tasso, l’Olmo, il Melo, il Noce, il Nocciolo e il Vischio.
Il Frassino è il più eccelso di tutti nella Tradizione Nordica, in quanto è l’Albero Cosmico, Yggdrasil.
Nella Voluspá è scritto infatti:

“So che un frassino s'erge
chiamato Yggdrasill,
alto albero asperso
di bianca argilla.
Di là viene la rugiada
che cade nella valle,
si erge sempre verde
su Urðarbrunnr” (13).

E ancora:

“Ricordo i giganti
nati in principio,
quelli che un tempo
mi generarono.
Nove mondi ricordo
nove sostegni
e l'albero misuratore, eccelso,
che penetra la terra” (14).

E ancora:

“Da quel luogo vengono fanciulle
di molta saggezza,
tre, da quelle acque
che sotto l'albero si stendono.
Ha nome Urðr la prima,
Verðandi l'altra
(sopra una tavola incidono rune),
Skuld quella ch'è terza.
Queste decidono la legge,
queste scelgono la vita
per i viventi nati,
le sorti degli uomini” (15).

Così appare il frassino cosmico Yggdrasill nelle tre stanze della Voluspá citate, immenso ed eccelso albero, axis mundi, che sostiene tutti i nove mondi.
Qui siamo nel cuore della Tradizione Nordica.
Intorno ad Yggdrasill ruota l'intero Cosmo, con i suoi nove mondi:

Ásaheimr (il mondo degli Æsir, chiamato anche Ásgarðr, dal nome della rocca degli Æsir)
Álfheimr (il mondo degli Álfar)
Miðgarðr (il mondo degli uomini)
Jotunheimr (il mondo degli Jotnar)
Vanaheimr (il mondo dei Vanir)
Niflheimr (il mondo del ghiaccio e della nebbia)
Múspellsheimr (il mondo del fuoco)
Svartálfaheimr (il mondo dei Døkkálfar e dei Dvergar)
Helheimr (il mondo dei morti)

Ad una delle sue radici sorge la fonte di Urðarbrunnr, luogo eccezionalmente sacro, in cui vivono le tre Norne, Urðr, Verðandi e Skuld, le Signore del Fato, che decidono i destini degli uomini.
Essa è la prima delle tre radici del frassino cosmico.
Nel Gylfaginning è scritto:

“Quindi parlò Gangleri: “Dove si trova la residenza principale o il luogo più sacro degli dèi? ”
Rispose Hár: “Si trova presso il frassino Yggdrasill. Là gli dèi devono tenere il loro consiglio ogni giorno”.
Quindi parlò Gangleri: “Cosa c'è da dire di questo luogo?”
Allora disse Jafnhár: “Il frassino è di tutti gli alberi il più imponente e il migliore; i suoi rami si estendono su tutto il mondo e sovrastano il cielo.
Tre radici sostengono l'albero e si protendono per vasti spazi: una va fra gli Æsir; un'altra fra i Hrímþursar, là dove un tempo c'era il Ginnungagap.
La terza si stende sopra Niflheimr; sotto questa radice si trova Hvergelmir e Níðhoggr la rosicchia dal basso.
Sotto la radice che si dirige verso i Hrímþursar c'è Mímisbrunnr, ove sono conservate saggezza e intelligenza.
Si chiama Mímir colui che possiede la fonte: egli è pieno di sapienza, poiché beve alla sorgente con il corno Gjallarhorn.
Là andò Allfoðr e chiese di bere dalla fonte, ma non gli fu concesso prima di aver lasciato in pegno un suo occhio” (16).

Il frassino cosmico Yggdrasil sta quindi al centro dell’universo e lo sostiene, partecipando di tutti gli stati dell’essere: il Cielo, la Terra e gli Inferi, ovvero i tre mondi in cui suddiviso il Cosmo nella Tradizione Nordica, Germanica, e più in generale Indoeuropea.
Chiesa Isnardi scrive a proposito: “L’albero cosmico riassume in sé i concetti di potenza, di sapienza divina e di sacralità: le sue origini sono misteriose, poiché nessun uomo sa da quali radici cresca. La sua possanza è la forza vitale del cosmo: quando esso vacillerà, si avrà indizio sicuro dell’imminente fine del mondo. Simbolo dei tre stati spaziali dell’essere (inferi, terra, cielo) e della loro interrelazione, l’albero cosmico assomma in sé anche i tre momenti fondamentali del tempo: passato, presente, futuro” (17).

Note:

9. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 483

10. Skírnismál, 32,

11. Gylfaginning, 53

12. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 483

13. Voluspá, 19

14. Voluspá, 2

15. Voluspá, 20

16. Gylfaginning, 15

17. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 533

- Articolo di Fabrizio Bandini, che ringraziamo sentitamente per averci permesso di pubblicarlo