Il successo di quest’opera così come pure di tutti gli altri scritti del Buzzati non fu certo immediato:
Buzzati scrive le sue opere di maggior successo nel periodo in cui si esplica con maggior entusiasmo l’attività dell’avanguardia conosciuta come Gruppo 63. Ispirandosi alle avanguardie di inizio secolo, il Gruppo 63 si richiamava alle idee del marxismo e allo strutturalismo. Fu dunque inevitabile che Buzzati finisse sotto gli strali dei suoi esponenti.
Lo scrittore risultava essere stato iscritto al Partito Fascista, come molti intellettuali della sua generazione, ma a differenza di altri non aveva mai fatto pubblica abiura di quella sua appartenenza. Inoltre, era indubbio il fascino che provava per il mito, declinato in diverse forme: la guerra (specialmente quella navale), la montagna, il soprannaturale, le grandi personalità del suo tempo.
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E questa è la ragione per cui i romanzi antimodernisti scritti da autori classificati di sinistra (come Bianciardi e Mastronardi) sono stati osannati, mentre intorno a Buzzati si è creata una vera e propria coltre. Ancora oggi, si può leggere online l’intervento redatto da Marcello Carlino nel 1988, in cui afferma: «Un amore esprime appieno i cedimenti dello scrittore ai miti e alle mode e insomma al mercato della letteratura: correva l’anno 1963, quando, mentre pullulavano i primi best sellers, veniva allo scoperto la feroce contestazione della neoavanguardia. […] L’intreccio è ancora di quelli ben oliati e a forte tenuta ed esibisce, con uno strisciante e remunerativo moralismo, tutti gli ingredienti di una narrativa di consumo: una storia d’amore spesso pruriginosa e piccante, un personaggio femminile – Laide – che è l’erotica Lolita di turno, gelosie sempre gradite al lettore e una montante febbre di vita che brucia e ringiovanisce l’architetto Dorigo» (M. Carlino, Buzzati Traverso, Dino, in Dizionario Bibliografico degli Italiani, vol. 34, Istituto Treccani, Roma 1988) All’autore viene successivamente rimproverato: «La caduta del fascismo, la sconfitta militare e la Resistenza provocarono un acuto senso di disagio nel Buzzati. L’Italia toccava il fondo della crisi; venivano spazzati di colpo e cadevano come un castello di carte le idealità e i miti, quello militare soprattutto, che tanto avevano fatto breccia nel narratore» (M. Carlino, Buzzati Traverso, Dino, in Dizionario Bibliografico degli Italiani, cit.).
Il valore antimodernista, ancorché sottotraccia, viene passato sotto silenzio. [...]
- E. Rulli, Bietti, «Dino Buzzati, l’antimodernista. Nostro fantastico quotidiano n. 13/2018» [In rete] http:// www.bietti.it/riviste/dino-buzzati-nostro-fantastico-quotidiano/dino-buzzati-lantimodernista/ (12 Marzo 2021).
Da Il segreto del Bosco Vecchio il regista Ermanno Olmi trasse la sceneggiatura dell’omonimo film, realizzato molti anni dopo la morte dell’autore del racconto. Lo sceneggiato dell’Olmi si distacca in molti punti da quanto tracciato da Dino Buzzati nella sua opera e, secondo mia personale considerazione, avrebbe non poco deluso quest’ultimo se questi avesse potuto guardarlo.
I meriti della fattuale, seppur distorta, bellezza del film non sono certo d’attribuire al suddetto regista bensì all’opera stessa del Buzzati e alla recitazione di Paolo Villaggio nel ruolo del colonnello Procolo. Il segreto del Bosco Vecchio viene ridotto nello sceneggiato di Ermanno Olmi a banale operetta sugli errori dei grandi che dimenticano l’essenza della fanciullezza e, come è consuetudine del suddetto regista, a satira sprezzante di tutto ciò che afferisce all’ambito militare.
Ecco che, nella scena rappresentante la cerimonia del passaggio di consegne al nuovo colonnello del comando del reggimento, si può vedere un Paolo Villaggio pulirsi il volto con la bandiera nell’atto di salutare la stessa [3], oppure, nella marcia d’addio del reggimento al morente colonnello Procolo, uomini curvi e mesti dai movimenti impacciati. Infine manca del tutto la parte in cui Benvenuto accompagna il morente vento Matteo verso il suo ultimo viaggio.
Note:
[3] Cosa che mai il colonnello Procolo avrebbe fatto. Buzzati descrive così l’avvenimento:
Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poiché difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore, in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò d’interpretare come segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza.
- D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio, cit., pp. 3, 4.