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giovedì 24 ottobre 2019

Una difesa pagana del feudalesimo

Ovvero del perché condannare questo sistema di governo, che ancora tanto doveva alla Tradizione, solo perché cristianizzato sia non solo sbagliato ma anche controproducente. 

Esso rappresenta un ottimo esempio di società tradizionale indoeuropea e ben si presta ad una strutturazione in linea con i principi della fede eterna. 

Nato dall’incontro fra le strutture romane ed il tribalismo germanico, ma espletatosi nella sua forma migliore solo a partire dal X secolo grazie all’operato di Enrico I l’Uccellatore, esso rappresenta un sistema sano, castale e strutturato su basi saldamente tradizionali. 

La cristianizzazione dello stesso, ascrivibile ai tempi, ne ha a lungo nascosto i pregi ed esaltato i difetti, ciò non di meno rimane un sistema al quale prestare attenzione per la sua capacità di condensare in un’unica forma struttura centrale ed autonomia locale.


La sua struttura aristocratica e guerriera rappresenta ancora oggi di questi tempi oscuri un esempio luminoso dal quale è possibile trarre esempio per realizzare una società realmente eterna, al servizio del nostro popolo e degli Dèi immortali. 

lunedì 14 ottobre 2019

Riti arcaici e cristianizzazione, Sant’Antonio del porcello

Per chi studia seriamente le vie antiche una delle fonti primarie, oltre alle fonti scritte, è rappresentata dai numerosi lasciti arcaici nelle ritualità popolari. 


Durante il medioevo vero e proprio la forza della Chiesa stava nelle città e solo superficialmente nelle campagne, i cui abitanti era noto seguissero una fede a metà fra i culti antichi e la nuova religione, fu solo con il seicento, e spesso solo superficialmente, che questi riti vennero cristianizzati. 


Un esempio prezioso è rappresentato dalla festa popolare di Sant’Antonio del porcello, che si festeggia a cavallo fra la ricorrenza romana dedicata a Prometeo (che porta il fuoco agli uomini) e le festività legate al Ing/Freyr germanico, che aveva nel maiale uno dei suoi simboli. 

L’aneddoto del santo che ruba il fuoco al diavolo è una palese cristianizzazione di radici ben più antiche. 

Del resto questa festa piacque sempre poco al clero, almeno dalle mie parti, che arrivò a vietare ogni genere di falò notturno per tentare di arginare la cosa. 

Fallendo miseramente, aggiungo, essendo il rito ancora molto sentito e praticato ancora oggi. 

Ed è anche qui che occorre ripartire, è bene conoscere i miti ma non bisogna mai dimenticare che la nostra fede non è fatta di tomi o libercoli, è fede viva, vibrante e tesa agli Dèi quanto radicata nell’anima più profonda del nostro sangue e, di conseguenza, del nostro popolo! 

giovedì 10 ottobre 2019

Contro Cesare Beccaria ed il pensiero illuminista: alle origini del pensiero unico e della decadenza

«Alcuni avanzi di leggi di un antico popolo conquistatore fatte compilare da un principe che dodici secoli fa regnava in Costantinopoli, frammischiate poscia co' riti longobardi, ed involte in farraginosi volumi di privati ed oscuri interpreti, formano quella tradizione di opinioni che da una gran parte dell'Europa ha tuttavia il nome di leggi; ed è cosa funesta quanto comune al dì d'oggi che una opinione di Carpzovio, un uso antico accennato da Claro, un tormento con iraconda compiacenza suggerito da Farinaccio sieno le leggi a cui con sicurezza obbediscono coloro che tremando dovrebbero reggere le vite e le fortune degli uomini. Queste leggi, che sono uno scolo de' secoli i piú barbari, sono esaminate in questo libro per quella parte che risguarda il sistema criminale, e i disordini di quelle si osa esporli a' direttori della pubblica felicità con uno stile che allontana il volgo non illuminato ed impaziente. Quella ingenua indagazione della verità, quella indipendenza delle opinioni volgari con cui è scritta quest'opera è un effetto del dolce e illuminato governo sotto cui vive l'autore. I grandi monarchi, i benefattori della umanità che ci reggono, amano le verità esposte dall'oscuro filosofo con un non fanatico vigore, detestato solamente da chi si avventa alla forza o alla industria, respinto dalla ragione; e i disordini presenti da chi ben n'esamina tutte le circostanze sono la satira e il rimprovero delle passate età, non già di questo secolo e de' suoi legislatori.»


Queste righe, che altro non sono che l’introduzione del celeberrimo “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, sembrano scritte ieri ed appaiono più attuali che mai.


Sono passati più di dieci anni da quando, adolescente, lessi per la prima volta questo libro di Beccaria, anche se si tratta in realtà di un trattatello, di veloce lettura, nel quale l’autore, fervido seguace illuminista, sciorina quella che è la sua visione del mondo in fatto di leggi, pene e delitti. Ricordo che al tempo, avevo forse diciassette anni, rimasi stupito da come un simile testo, che mi pareva assai semplicistico nelle soluzioni e scialbo nella forma, avesse ottenuto un successo tale in Europa da divenire la base del moderno sistema ma la cosa, come spesso accade con le letture adolescenziali, finì lì e il libercolo rimase per anni dimenticato fino a quando, complice una discussione virtuali con un tizio che idolatra il suo autore (in maniera non dissimile dal fantozziano “è un santo! Un apostolo!”) non mi sono deciso a riprenderlo in mano per una lettura più matura e ragionata. Quello che ho trovato, lo ammetto, ha spazzato via ogni mio dubbio: il Beccaria piace ai post moderni perché egli stesso era, per i suoi tempi, uno di loro.


 Vi è nei suoi scritti tutto, tutto il condensato del pensiero unico odierno: “barbarie medievale” opposta al “dolce e illuminato governo moderno”, lecchinaggio dei potenti di turno e disprezzo per le antiche leggi. 

Tutto è qui, già esposto, senza orpelli, fin dalle prime righe, oltre due secoli e mezzo fa.


E ancora: 


«I giudici non hanno ricevuto le leggi dagli antichi nostri padri come una tradizione domestica ed un testamento che non lasciasse ai posteri che la cura d'ubbidire, ma le ricevono dalla vivente società, o dal sovrano rappresentatore di essa, come legittimo depositario dell'attuale risultato della volontà di tutti; le ricevono non come obbligazioni d'un antico giuramento, nullo, perché legava volontà non esistenti, iniquo, perché riduceva gli uomini dallo stato di società allo stato di mandria, ma come effetti di un tacito o espresso giuramento, che le volontà riunite dei viventi sudditi hanno fatto al sovrano, come vincoli necessari per frenare e reggere l'intestino fermento degl'interessi particolari.»



In questo spezzone, preso dal quarto capitolo del libello qui preso in esame, traspare ancora l’odio feroce dell’autore verso le antiche leggi, definite nulle ed inique, alle quali oppone “la volontà dei viventi”, in maniera non dissimile da come i sessantottini volevano il “tutto e subito” ed i post moderni invocano il “qui ed ora” per ogni loro capriccio.

 

Vi è poi la stigmatizzazione dei secoli immediatamente precedenti e l’esaltazione della mollezza, prodromi ad ogni culto della debolezza, il tutto in salsa vagamente cristianeggiante:


 

“Questa è la cagione, per cui veggiamo sminuita in Europa l'atrocità de' delitti che facevano gemere gli antichi nostri padri, i quali diventavano a vicenda tiranni e schiavi. Chi conosce la storia di due o tre secoli fa, e la nostra, potrà vedere come dal seno del lusso e della mollezza nacquero le piú dolci virtú, l'umanità, la beneficenza, la tolleranza degli errori umani. Vedrà quali furono gli effetti di quella che chiamasi a torto antica semplicità e buona fede: l'umanità gemente sotto l'implacabile superstizione, l'avarizia, l'ambizione di pochi tinger di sangue umano gli scrigni dell'oro e i troni dei re, gli occulti tradimenti, le pubbliche stragi, ogni nobile tiranno della plebe, i ministri della verità evangelica lordando di sangue le mani che ogni giorno toccavano il Dio di mansuetudine, non sono l'opera di questo secolo illuminato, che alcuni chiamano corrotto.”

Si passa poi ad attaccare l’onore, parola incomprensibile per l’autore (e, aggiungo, a chiunque non abbia una mentalità realmente sana e tradizionale):


“V'è una contradizione rimarcabile fralle leggi civili, gelose custodi piú d'ogni altra cosa del corpo e dei beni di ciascun cittadino, e le leggi di ciò che chiamasi onore, che vi preferisce l'opinione. Questa parola onore è una di quelle che ha servito di base a lunghi e brillanti ragionamenti, senza attaccarvi veruna idea fissa e stabile.”



Si susseguono poi svariati capitoli più cavillosi e di scarso interesse per questa analisi se per alcuni indizi posti di tanto in tanto in questo marasma giuridico: vengono infatti duramente attaccati i duelli, la proprietà privata (definita come un “terribile, e forse non necessario diritto”) per arrivare infine ad un classico della post modernità, l’odio verso l’istituzione della famiglia e verso la figura del padre, espresso in maniera talmente moderna da parer scritto ieri l’altro su un qualunque giornale progressista:


“Queste funeste ed autorizzate ingiustizie furono approvate dagli uomini anche piú illuminati, ed esercitate dalle repubbliche piú libere, per aver considerato piuttosto la società come un'unione di famiglie che come un'unione di uomini. Vi siano cento mila uomini, o sia ventimila famiglie, ciascuna delle quali è composta di cinque persone, compresovi il capo che la rappresenta: se l'associazione è fatta per le famiglie, vi saranno ventimila uomini e ottanta mila schiavi; se l'associazione è di uomini, vi saranno cento mila cittadini e nessuno schiavo. Nel primo caso vi sarà una repubblica, e ventimila piccole monarchie che la compongono; nel secondo lo spirito repubblicano non solo spirerà nelle piazze e nelle adunanze della nazione, ma anche nelle domestiche mura, dove sta gran parte della felicità o della miseria degli uomini.”


martedì 8 ottobre 2019

Gli Anelli del Potere - parte VI

Uno studio sull’opera di J.R.R. Tolkien, sull’Edda antica e sulle saghe germaniche
di Fabrizio Bandini

Tolkien ebbe a smentire ovviamente la filiazione dei suoi anelli dall’opera di Richard Wagner, ma non smentì mai – e non poteva farlo – l’ispirazione che ebbe dall’Edda antica e dalle saghe nordiche, tanto che di Andvaranautr ne cantò egli stesso – come abbiamo sottolineato – nel suo poema Völsungakviða en nýja.
In ogni caso solamente dai canti eddici e dalle saghe più antiche si ricava ancora il pieno accesso a quel mondo della tradizione germanica, pagana, indoeuropea, in cui le azioni e le avventure di Æsir, Vanir, Elfi, Valchirie, Giganti, Nani e Uomini, si sommano alla riflessione sull’eterno scontro fra ordine e caos, sul potere della magia e dell’oro, sui Fati delle Potenze e degli Uomini.
La nostra ammirazione va comunque a J. R. R. Tolkien che, in pieno ventesimo secolo dell’era corrente, è riuscito a fondare una nuova mitologia (opera davvero titanica), riprendendo molti temi e molti simboli dalle antiche tradizioni pagane europee e soprattutto da quella germanica.
Egli, cristiano, si situa nel mezzo della letteratura europea novecentesca come un gigante, come un novello Snorri, che recupera la tradizione pagana antica e la riporta alla luce nelle sue opere (28).
La sua è una mitologia “inventata ma vera” (29) poiché si abbevera alle fonti dell’antica mitologia e dell’antica tradizione del nostro continente.
Quella tradizione che è fondante, che mai passa e che tornerà.
“Finnask æsir                “Si ritrovano gli Æsir
á Iðavelli                        
in Iðavǫllr,
ok of moldþinur              
e del serpente intorno al mondo
mátkan dæma,                
possente, ragionano,
[ok minnask þar             
[e rammentano là
á megindóma]                
le grandi imprese,]
ok á Fimbultýs                
e di Fimbultýr
fornar rúnar”.                
le antiche rune” (30).

Note:
28. Cfr. T. Shippey, The road to Middle-Earth, ed. cit. p. 391
29. G. De Turris, Il caso Tolkien, in La compagnia l’anello il potere, Il Cerchio, Rimini 2002, p. 20
30. Vǫluspá, 60


Immagini:
1. Copertina di The Lord of the Rings di J. R. Tolkien
2. Copertina di The Silmarillion di J. R. Tolkien
3. Oden som vandringsman (1886), Georg von Rosen
4. Sigurd killing Fafnir the dragon, Hylestad Stave Church (XII° secolo)
5. Brünnhilde (1910), Arthur Rackham
6. Siegfried meets Gutrune, (1910), Arthur Rackham



Bibliografia:
AA.VV., La compagnia l’anello il potere, Il Cerchio, Rimini 2002

Chiesa Isnardi G., I Miti Nordici, Euroclub 1996
Dizionario dell’universo di J. J. R. Tolkien, a cura della Società Tolkeniana Italiana, Bompiani, Milano 2016
Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli, Garzanti 2004
Lun L., Mitologia nordica, Settimo Sigillo, Roma 1987
Noel R.S., La mitologia di Tolkien, Rusconi, Milano 1984
Shippey T., The road to Middle-Earth, Harper Collins, London 2005
Shippey T., Vita e morte dei grandi vichinghi, Odoya, Bologna 2018
Sturluson S., Edda, TEA, Milano 1997
Tolkien J.J.R., Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano 2003
Tolkien J.J.R., Il Silmarillion, Bompiani, Milano 2013
Tolkien J.J.R., La leggenda di Sigurd & Gudrun, Bompiani, Milano 2009
Völsunga saga, a cura di R.G. Finch, Nelson, London 1965
Völuspá, a cura di M. Polia, Il Cerchio 1983


Sitografia:
https://bifrost.it/GERMANI/Fonti/Eddapoetica-1.Voluspa.html


Fabrizio Bandini, nato a Città di Castello (PG) il 9.11.1971, scrittore, poeta e saggista, si è laureato in Filosofia a Perugia, dove attualmente risiede.
Ha pubblicato varie opere di narrativa, poesia e saggistica, fra cui "Haiku" (Midgard Editrice, 2017), “I boschi sacri e l’albero cosmico. Uno studio sulla Tradizione Germanica e Nordica” (Hyperborea blog, 2018), "Saghe del tempo antico” (Midgard Editrice, 2019).


http://www.midgard.it/haiku.htm
https://hyperboreablog.blogspot.com/2018/09/i-boschi-sacri-e-lalbero-cosmico.html
http://www.midgard.it/saghe_deltempo_antico.htm
https://www.facebook.com/fab.bandini

Copyright © Fabrizio Bandini

Gli Anelli del Potere - parte V

Uno studio sull’opera di J.R.R. Tolkien, sull’Edda antica e sulle saghe germaniche
di Fabrizio Bandini

Andvaranautr, l’anello del nano Andvari, è l’altro anello celebre delle saghe germaniche.
Se ne parla diffusamente in alcuni canti dell’Edda poetica, nello Skáldskaparmál dell’Edda di Snorri e nella Völsunga saga.
Nel canto eddico del Reginsmál si racconta: “Era in quel tempo giunto da Hjalprekr Reginn, figlio di Hreidhmarr. Di ogni uomo era il più abile, di statura nano. Era sapiente astioso ed esperto di incantesimi. Reginn allevò Sigurdhr, gli fece da maestro e lo amò davvero molto. Raccontò a Sigurdhr dei suoi antenati e dei loro fatti: come Odino e Hoenir e Loki fossero giunti ad Andvarafors, cascate in cui abbondavano i pesci. Andvari era un nome di un nano: da gran tempo stava nelle cascate in forma di luccio ed in quel luogo si procurava cibo. < Nostro fratello si chiamava Otr, > disse Reginn, < e spesso si spostava nelle cascate in forma di lontra. Aveva catturato un salmone e, seduto sulla riva del fiume, lo mangiava, tenendo gli occhi chiusi. Con una pietra Loki lo colpì a morte. Gli Asi si ritennero molto felici e tolsero la pelle alla lontra. Insieme, alla sera, presero alloggio presso Hreidhmarr e mostrarono la loro preda. Allora li facemmo prigionieri e imponemmo come riscatto che riempissero la pelle di lontra di oro e la coprissero, all’esterno, con oro rosso. A questo punto gli Asi mandarono Loki a procurare l’oro. Egli si recò da Ran e prese la sua rete; poi andò ad Andvarafors e gettò la rete davanti al luccio, che vi saltò dentro. >” (20).
Loki a questo punto intima ad Andvari di consegnarli tutto il suo oro, pena la morte, e quello alla fine cede.
Il canto eddico continua così: “Loki vide tutto l’oro che Andvari possedeva. Ma quando ebbe consegnato l’oro, quest’ultimo trattenne un anello; Loki però glielo tolse” (21).
Prima di sparire dalla scena il nano irato profetizza che quell’oro “sarà causa di morte per due fratelli e di diverbio per otto sovrani” (22).
L’anello è naturalmente Andvaranautr, l’anello magico del nano Andvari, e il Reginsmál precisa che è in grado di creare magicamente altro oro.
Il potere nefasto dell’anello e dell’oro di Andvari colpirà mano a mano tutti i suoi possessori, facendo strage di nani, valchirie, re ed eroi.
Hreidhmarr morrà per mano del figlio Fafnir, trasformatosi poi in drago, a sua volta ucciso da Sigurðr come si racconta nel Fáfnismál – e perirà anche Reginn per mano di Sigurðr – che coinvolgerà suo malgrado nella strage anche la valchiria Sigrdrífa (Brynhild), Gudhrun, Gunnar, Hogni e Attila – come si racconta nei canti eddici successivi – (23).
L’oro, nascosto da Gunnar e Hogni nel fiume Reno, non sarà più ritrovato e sparirà così dalla storia degli Uomini.
Scontro fra Fafnir e Sigurðr

Nell’Edda di Snorri, e precisamente nello Skáldskaparmál, la vicenda è ricordata in modo similare, con poche differenze.
Ne riporto qui una parte: “Allora Odino mandò Loki in Svartálfaheimr ed egli giunse dal nano che si chiamava Andvari; quello stava nell’acqua (in aspetto di) pesce. Loki lo catturò e come riscatto (per aver salva) la vita gli impose tutto l’oro che aveva nella sua (dimora di) pietra. E quando giunsero nella (dimora di) pietra, il nano tirò fuori tutto l’oro che aveva ed era una ricchezza immensa. Allora il nano si fece scivolare sotto la mano un piccolo anello d’oro; Loki lo vide e gli ordinò di consegnare l’anello. Il nano lo pregò di non togliergli l’anello e affermò di poter far ricrescere la propria ricchezza dall’anello se lo teneva. Loki disse che egli non avrebbe dovuto avere (neppure) un soldo, gli prese l’anello e uscì. Ma il nano dichiarò che quell’anello sarebbe stato (causa di) morte per chiunque lo possedesse” (24).
Il potere corruttore e distruttivo dell’anello di Andvari ricorda molto da vicino i poteri nefasti degli anelli maledetti di Sauron sui Nani e sugli Uomini, rosi dalla sete dell’oro i primi e trasformati in spettri i secondi.
Anche la Völsunga saga riporta i fatti in modo simile e le parole finali di Andvari fanno capire che sia l’anello magico che tutto il resto dell’oro diverranno fonte di oscurità e perdizione (25).
Tolkien riprende la vicenda dell’anello e dell’oro di Andvari nelle stanze della prima parte, Andvara-Gull, del suo poema Völsungakviða en nýja, che come abbiamo detto prima è un omaggio appassionato alla saga dei Volsunghi e un tentativo di andare a colmare la disastrosa perdita del canto centrale della leggenda di Sigurðr (26).
Appare evidente quindi che Andvaranautr è stato modello per gli anelli tolkeniani.
Non entreremo qui nella vexata quaestio dei passaggi successivi dell’anello di Andvari, che sono riportati in diversa maniera dai canti eddici e dalla Völsunga saga, e totalmente omessi nel Nibelungenlied e nella Þiðrekssaga, che sono canti più tardi e fanno sparire del tutto l’anello (27).
La tragica saga dei Volsunghi, di Sigurðr, di Brynhild, e dell’anello è così archetipale che sarà di ispirazione per numerosi artisti, ancor prima di Tolkien, fra cui Wagner, con il suo celebre Der Ring des Nibelungen, L’Anello del NibelungoNaturalmente la sensibilità dei vari autori sarà diversa nell’approcciarsi all’originale saga germanica e la loro ripresa di essa più o meno fedele.

'Brünnhilde' di Arthur Rackham
illustrazione per il 'Die Walküre' di Wagner

'Siegfried incontra Gutrune' di Arthur Rackham
illustrazione per il 'Götterdämmerung' di Wagner

Note:
20. Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli, Garzanti, Milano 2015, p. 197 s.
21. Ibid., p. 198
22. Ibid., p. 198
23. Cfr. Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli, ed. cit.
24. S. Sturluson, Edda, ed. cit., p. 138
25. Cfr. Völsunga saga, a cura di R. G. Finch, Nelson, London 1965, p. 26
26. Cfr. J. R. Tolkien, La leggenda di Sigurd & Gudrun, ed. cit., p. 91 s.
27. Cfr. T. Shippey, Vita e morte dei grandi vichinghi, Odoya, Bologna 2018, p. 87 s.

Fabrizio Bandini, nato a Città di Castello (PG) il 9.11.1971, scrittore, poeta e saggista, si è laureato in Filosofia a Perugia, dove attualmente risiede.
Ha pubblicato varie opere di narrativa, poesia e saggistica, fra cui "Haiku" (Midgard Editrice, 2017), “I boschi sacri e l’albero cosmico. Uno studio sulla Tradizione Germanica e Nordica” (Hyperborea blog, 2018), "Saghe del tempo antico” (Midgard Editrice, 2019).


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Gli Anelli del Potere - parte IV

Uno studio sull’opera di J.R.R. Tolkien, sull’Edda antica e sulle saghe germaniche
di Fabrizio Bandini

Ma quali sono quindi gli anelli archetipali della tradizione germanica a cui Tolkien si è rifatto?
Sicuramente Draupnir, l’anello di Óðinn, e Andvaranautr, l’anello del nano Andvari.
Draupnir fu creato dai Nani assieme ad altri oggetti preziosi, tutti doni per gli Aesir.
Nello Skáldskaparmál è scritto: “Dopo di ciò Loki andò da quei nani che sono detti figli di Ivaldi , ed essi fecero la chioma e la (nave) Skíðblaðnir e la lancia che possedette Odino e che si chiama Gungnir. Poi Loki scommise la testa con il nano che si chiama Brokkr, che suo fratello Eitri (non) avrebbe saputo fare tre oggetti buoni come questi. E quando essi andarono all’officina, Eitri mise nella fucina una pelle di maiale e chiese a Brokkr di fare vento… finché il fabbro tolse dalla fucina (quello che ci aveva messo) ed era un verro e le setole erano d’oro. Subito dopo egli mise dell’oro nella fucina e chiese di far vento e di non smettere di soffiare finché non fosse tornato; e andò via. Ma allora venne la mosca e si posò sul collo di quello e lo punse due volte più forte. Ma egli fece vento finché il fabbro tolse dalla fucina l’anello d’oro che si chiama Draupnir…” (14).
I doni, fra cui l’anello, vengono portati poi agli Aesir, in Asgard: “E quando lui e Loki recarono gli oggetti preziosi, gli Asi si sedettero sui seggi del giudizio e doveva valere il pronunciamento che avessero espresso Odino, Thor e Freyr. Loki diede a Odino la lancia Gungnir, a Thor la chioma che doveva avere Sif e a Freyr (la nave) Skíðblaðnir e illustrò (le qualità) di tutti gli oggetti preziosi: la lancia non si sarebbe mai fermata (una volta scagliata), la chioma avrebbe attecchito sulla pelle non appena posta sulla chioma di Sif, e Skíðblaðnir avrebbe avuto vento favorevole non appena la vela fosse issata nell’aria dovunque si dovesse andare, ma volendo si poteva piegare come una stoffa e tenerla nella borsa. Poi Bokkr presentò i suoi oggetti preziosi. Egli diede l’anello a Odino e disse che ogni nove notti ne sarebbero sgocciolati otto anelli di pari peso…” (15).
Le proprietà magiche di Draupnir sono rivelate chiaramente in questo passo.
Il nove fra l’altro è numero sacro nella tradizione germanica e nordica, numero “in cui si esprime la compiutezza di un ciclo e il dominio su di esso poiché è il prodotto delle tre dimensioni dello spazio (inferi, terra, cielo) per le tre dimensioni del tempo (passato, presente, futuro)” (16).
Di Draupnir è anche detto nel Gylfaginning che Óðinn durante il funerale di suo figlio Baldr pose l’anello sulla pira (17) e che gli fu rimandato poi indietro dal figlio da Helheimr: “Allora Hermóðr si alzò e Baldr lo condusse fuori dalla sala e prese l’anello Draupnir e lo mandò a Odino per ricordo…” (18).
Nello Skírnismál il fedele servitore di Freyr, Skírnir per l’appunto, tenta di convincere la bella gigantessa Gerðr di corrispondere all’amore del Dio promettendogli addirittura lo stesso anello Draupnir (19).
Dell’anello di Óðinn non si fa cenno altrove nei testi eddici che sono sopravvissuti all’avvento del cristianesimo, ma la sua potente forza e la sua sottile suggestione ci arriva anche da questi pochi accenni. Inutile ribadire quanto Tolkien amava e conosceva a menadito questi passi eddici.

'Wotan' di Georg von Rosen
Note:
14. S. Sturluson, Edda, TEA, Milano 1997, p. 136
15. Ibid., p. 136 s.
16. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, Euroclub, Milano 1996, p. 505 s.
17. S. Sturluson, Edda, ed. cit., p. 102
18. Ibid., p. 103
19. Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli, Garzanti, Milano 2015, p. 76 s.


Fabrizio Bandini, nato a Città di Castello (PG) il 9.11.1971, scrittore, poeta e saggista, si è laureato in Filosofia a Perugia, dove attualmente risiede.
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http://www.midgard.it/haiku.htm
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sabato 5 ottobre 2019

Gli Anelli del Potere - parte III

Uno studio sull’opera di J.R.R. Tolkien, sull’Edda antica e sulle saghe germaniche
di Fabrizio Bandini


Il possesso degli anelli diviene quindi fondamentale per decidere le sorti della guerra e del mondo intero.
“Da quel momento, la guerra tra Sauron e gli Elfi non cessò più, e l’Eregion fu devastato, Celebrimbor ucciso e le porte di Moria chiuse. A quel tempo, Elrond Mezzelfo fondò la roccaforte e rifugio d’Imladris, che gli uomini chiamavano Gran Burrone; ed essa resistette a lungo. Sauron riuscì però a radunare nelle proprie mani tutti i restanti Anelli del Potere e li distribuì agli altri popoli della Terra di Mezzo nella speranza di ridurre al proprio dominio tutti coloro che desideravano poteri segreti trascendenti quanto confaceva alla loro stirpe. Sette anelli egli diede ai Nani; ma agli Uomini ne diede nove, giacché gli Uomini si erano dimostrati, in questa e in altre occasioni, i più pronti a cedere alla sua volontà. E tutti gli anelli che dominò, Sauron li pervertì, e ciò fece con grande facilità poiché aveva avuto parte nella loro fabbricazione, ed essi erano maledetti e alla fine tradirono tutti coloro che li usarono” (9).
Il racconto prosegue narrando gli effetti degli anelli sui Nani.
“In verità, i Nani si rivelarono tenaci e difficili da domare; essi mal sopportano il dominio di altri e i pensieri dei loro cuori sono difficili da sondare, né possono essere trasformati in ombre. I Nani si servirono dei propri anelli soltanto per accumulare ricchezze: ma nei loro cuori si accesero l’ira e una incontrollabile brama per l’oro, da cui poi derivò sufficiente male a vantaggio di Sauron. Si dice che la base di ognuno dei Sette Tesori degli antichi Re dei Nani fosse un anello d’oro; ma tutti che i cumuli di ricchezze furono saccheggiati molto tempo fa e i Draghi li divorarono, e alcuni dei sette anelli vennero consumati dal fuoco mentre altri li ricuperò Sauron” (10).
Nel Signore degli Anelli è specificato, per bocca di Gandalf: “Dei Sette toccati ai Re dei Nani, tre li ha ripresi e gli altri sono stati annientati dai Draghi” (11).
Il Silmarillion prosegue poi con la descrizione degli effetti dei Nove Anelli sugli Uomini.
“Coloro che adoperarono i Nove Anelli divennero potenti in vita, e furono gli antichi re, stregoni e guerrieri. Conquistarono gloria e grandi ricchezze, ma tutto questo poi si volse a loro disgrazia. Ottennero, così sembrò, una vita senza fine, ma la vita divenne per loro insostenibile. Potevano aggirarsi, se lo volevano, invisibili agli occhi di tutti in questo mondo sotto il sole e potevano vedere cose di mondi invisibili agli uomini mortali; ma troppo spesso vedevano solamente i fantasmi e le illusioni di Sauron. E divennero per sempre invisibili salvo a colui che portava l’Anello Dominante ed entrarono nel mondo delle ombre. Essi erano i Nazgûl, gli Spettri dell’Anello, i più terribili servi del Nemico; la tenebra li accompagnava ed essi urlavano con la voce della morte” (12).
Il loro capo era il Re Stregone di Angmar (13).
Come termina l’epopea lo sappiamo alla fine di The Lord of the Rings, con l’Unico Anello distrutto nelle viscere del Monte Fato, dove era stato forgiato da Sauron.


Copertina de 'Il Silmarillion'
che ritrae la caduta di Gondolin
realizzata dall'illustratore
John Howe
Note:
9. J.J.R. Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani, Milano 2013, p. 511
10. Ibid., p. 511
11. J.J.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, ed. cit., p. 84
12. J.J.R. Tolkien, Il Silmarillion, ed. cit., p. 512
13. Cfr. Dizionario dell’universo di J. J. R. Tolkien, a cura della Società Tolkeniana Italiana, Bompiani, Milano 2016, p. 278 s.

Fabrizio Bandini, nato a Città di Castello (PG) il 9.11.1971, scrittore, poeta e saggista, si è laureato in Filosofia a Perugia, dove attualmente risiede.
Ha pubblicato varie opere di narrativa, poesia e saggistica, fra cui "Haiku" (Midgard Editrice, 2017), “I boschi sacri e l’albero cosmico. Uno studio sulla Tradizione Germanica e Nordica” (Hyperborea blog, 2018), "Saghe del tempo antico” (Midgard Editrice, 2019).


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Copyright © Fabrizio Bandini

Gli Anelli del Potere - parte II

Uno studio sull’opera di J.R.R. Tolkien, sull’Edda antica e sulle saghe germaniche
di Fabrizio Bandini


È ora quindi di approfondire la genesi degli Anelli del Potere nelle opere tolkeniane e di descrivere in quale modo derivino dalla tradizione germanica e nordica.
Nello scritto Degli Anelli del Potere e della Terza Era, inserito nel Silmarillion dopo il Quenta Silmarillion (ovvero il Silmarillion vero e proprio) e dopo l’Akallabêth, Tolkien racconta la genesi degli anelli nella Seconda Era della sua mitologia.
Dopo la sconfitta di Morgoth, il Signore Oscuro, il suo luogotenente Sauron si era nascosto per lungo tempo.
Poi era riapparso come Annatar, il Signore dei Doni, in modo da ingannare gli Elfi e gli Uomini, e riprendere così i suoi oscuri piani di dominio del mondo.
Gli Elfi dell’Eregion si fecero ingannare dalla sua “figura bella e sapiente” (7).
“Prestarono dunque ascolto a Sauron e da lui appresero molte cose giacché grande era la sua conoscenza. In quei giorni gli artigiani di Ost-in-Edhil superarono qualsiasi altra opera avessero fatto prima; e venne loro l’idea di fabbricare degli Anelli del Potere. Era però Sauron a guidarne le fatiche, consapevole di tutto ciò che essi facevano; egli desiderava infatti irretire gli Elfi per tenerli sotto il proprio controllo.
Ora gli Elfi fabbricarono molti anelli; ma in segreto Sauron costruì un Unico Anello con cui dominare tutti gli altri, il potere dei quali era legato a quello con soggezione assoluta e destinato a durare solo quanto sarebbe durato il suo. Buonaparte della forza e della volontà di Sauron fluì in quell’Unico Anello; il potere degli anelli elfici era infatti assai grande e così l’anello che avrebbe dovuto governarli doveva avere una potenza superiore; e Sauron lo forgiò nella Montagna di Fuoco della Terra d’Ombra. E, quando aveva l’Unico Anello su di sé, poteva percepire tutto ciò che si faceva per mezzo degli anelli minori, e così era in grado di vedere e di governare gli stessi pensieri di coloro che li portavano.
Ma gli Elfi non erano così facili da ingannare. Non appena Sauron s’infilò al dito l’Unico Anello, essi furono consapevoli di lui; e lo riconobbero, e compresero che avrebbe voluto essere il padrone loro e di tutto quanto essi avevano forgiato. Così, adirati e spaventati, si sfilarono gli anelli. Sauron, però accortosi di essere stato smascherato e di non essere riuscito ad ingannare gli Elfi, montò in collera; e si scagliò contro di loro in guerra aperta, esigendo che tutti gli anelli gli fossero consegnati, dal momento che i fabbri elfici non sarebbero riusciti a fabbricarli senza la sua sapienza e senza il suo consiglio. Ma gli Elfi fuggirono lontano da lui e salvarono tre dei propri anelli, che portarono via e che nascosero.
Erano questi i Tre che erano stati fabbricati per ultimi e che possedevano i poteri maggiori. Narya, Nenya e Vilya: così furono chiamati; ossia gli Anelli del Fuoco, dell’Acqua e dell’Aria, ornati di un rubino, di un adamante e di uno zaffiro; e fra tutti gli anelli elfici Sauron bramò di impadronirsi soprattutto di questi, giacché chi ne fosse stato in possesso avrebbe potuto tenere lontano le ingiurie del tempo e procrastinare la stanchezza del mondo. Tuttavia Sauron non riuscì a scoprirli poiché essi si furono messi nelle mani dei Sapienti, che li nascosero e che mai più li adoperarono apertamente finché Sauron ebbe l’Anello Dominante. I Tre rimasero quindi incontaminati: erano stati forgiati infatti dal solo Celebrimbor e mai la mano di Sauron li aveva toccati, eppure erano anch’essi soggetti all’Unico” (8).
Il pezzo riportato racconta in maniera esauriente la genesi degli Anelli del Potere e le loro virtù magiche.

Note:
7. J.J.R. Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani, Milano 2013, p. 508
8. Ibid., p. 509

Fabrizio Bandini, nato a Città di Castello (PG) il 9.11.1971, scrittore, poeta e saggista, si è laureato in Filosofia a Perugia, dove attualmente risiede.
Ha pubblicato varie opere di narrativa, poesia e saggistica, fra cui "Haiku" (Midgard Editrice, 2017), “I boschi sacri e l’albero cosmico. Uno studio sulla Tradizione Germanica e Nordica” (Hyperborea blog, 2018), "Saghe del tempo antico” (Midgard Editrice, 2019).


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Gli Anelli del Potere - parte I

Uno studio sull’opera di J.R.R. Tolkien, sull’Edda antica e sulle saghe germaniche
di Fabrizio Bandini


"Tre anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende,
Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra,
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende.
Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli,
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende."(1)

Così compaiono gli Anelli del Potere all’inizio di The Lord of the Rings, il Signore degli Anelli.
Tre anelli per gli Elfi, sette per i Nani, nove per gli uomini e uno, l’Unico, per Sauron, il Maia volto all’oscurità.
Dai nomi di queste stirpi (Elfi, Nani) e dall’accenno agli Anelli del Potere si riconosce subito un ambiente familiare, che appartiene ad una ben precisa tradizione, quella germanica.
Tolkien, d’altronde, eccellente filologo e per lunghi anni professore di anglosassone ad Oxford, era un appassionato dell’antica mitologia nordica e dell’epica germanica.
Nel saggio Sulla fiaba (1947), parlando dei libri che aveva letto nell’infanzia, egli scrive: “Avevo ben poco desiderio di trovare tesori sepolti o di combattere pirati, e L’isola del tesoro mi lasciò freddo. I pellerossa erano meglio: in queste tipo di storie c’erano archi e frecce (...) e lingue strane, e sguardi fugaci su un tipo di vita arcaico, e, soprattutto, le foreste. Ma la terra di Merlino e di Artù era meglio, e meglio di tutto il Nord senza nome di Sigurd e dei Volsunghi e il principe di tutti i draghi. Quelle terre erano eminentemente desiderabili” (2).
Tanta era la passione per le antiche saghe nordiche e per i poemi germanici che Tolkien vi attinse a piene mani per la creazione delle sue opere, della sua nuova mitologia (3).
La mitologia tolkeniana ovviamente fonda le sue basi anche su altre tradizioni, come quella celtica e quella cristiana, essendo lo stesso autore di fede cattolica, ma la fortissima influenza della tradizione germanica è innegabile da chiunque.
Lo Hobbit, il Signore degli anelli, il Silmarillion, sono pieni infatti di simboli, miti e nomi, che vengono diretti dagli antichi poemi sapienziali germanici e dalle antiche saghe nordiche.
I nomi dei Nani dello Hobbit è noto che sono ripresi dal famoso Dvergatal, l’elenco dei Nani nel poema eddico della V
ǫluspá e lo stesso Gandalf è ripreso da questo elenco (4).
I draghi dello Hobbit e del Silmarillion si assomigliano in maniera impressionante ai draghi delle saghe germaniche, sono astuti e crudeli come loro, come il drago del Beowulf e Fafnir, il drago del ciclo volsungo e nibelungico (5).
Sulla differenza fra draghi alati, che volano nell’aria (drakes, dragons) e draghi serpentiformi, che strisciano sulla terra (lindworms, worms) in questo scritto non entreremo, ma è sicuramente un tema interessante da approfondire in altra sede.
Il nome stesso della Terra di MezzoMiddle Earth, lo spazio in cui si muovono i protagonisti delle saghe tolkeniane, deriva dalla mitologia germanica, essendo uno dei nove mondi descritti dalla sapienza nordica: Miðgarðr in norreno (il cosiddetto Recinto di Mezzo, ovvero la Terra di Mezzo), Midjungards in gotico, Middangeard in antico inglese, Middelered e Meddelearth in inglese medievale (6).
E si potrebbe andare avanti così a lungo.
Tanta era la sua ammirazione per le antiche saghe germaniche che Tolkien si adoperò per riscrivere una nuova versione della leggenda di Sigurd, Brynhild e Gudrun, in due poemi, la Völsungakviða en nýja e la Guðrúnarkviða en nýja, con l’intento, fra l’altro, di andare a colmare la terribile perdita nel Codex Regius (il manoscritto dell’Edda poetica) della parte centrale della storia.
Poemi pubblicati da pochi anni anche in Italia, con il titolo di La leggenda di Sigurd e Gudrun (2009).
Un anello del potere naturalmente compare in questi poemi tolkeniani, che riprendono in maniera così intensa l’Edda antica e le saghe germaniche, e ne parleremo più avanti.


Note:
1. J.J.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano 2003, p. 23
2. Cfr. Prefazione di C. Tolkien, in J. J. R. Tolkien, La leggenda di Sigurd & Gudrun, Bompiani, Milano 2009, p, 7
3. Cfr. R. S. Noel, La mitologia di Tolkien, Rusconi, Milano 1984; T. Shippey, The road to Middle-Earth, Harper Collins, London 2005
4. Vǫluspá, 10-16
5. R. S. Noel, La mitologia di Tolkien, ed. cit. p. 164 s.
6. Ibid., p. 50 s.

Fabrizio Bandini, nato a Città di Castello (PG) il 9.11.1971, scrittore, poeta e saggista, si è laureato in Filosofia a Perugia, dove attualmente risiede.
Ha pubblicato varie opere di narrativa, poesia e saggistica, fra cui "Haiku" (Midgard Editrice, 2017), “I boschi sacri e l’albero cosmico. Uno studio sulla Tradizione Germanica e Nordica” (Hyperborea blog, 2018), "Saghe del tempo antico” (Midgard Editrice, 2019).


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martedì 1 ottobre 2019