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sabato 20 gennaio 2024

Tribù d’Eurasia, gli Equi

Storia: 


Popolo italico di probabile ceppo osco-umbro, stanziato a cavallo fra il Lazio orientale e l’Abruzzo, il loro territorio si poneva quindi a cavallo fra i domini dei Latini ad ovest, i domini dei Marsi ad Est, i vasti domini dei Sabini a Nord ed i domini degli Ernici a Sud. 

Le loro origini genetiche sono da ricercarsi, come per tutti i popoli italici, nell’etnogenesi che i nuovi conquistatori indoeuropei (WSH) giunti durante l’età del bronzo ebbero con i nativi Early European Farmers (EEF).

Dalle fonti in nostro possesso possiamo descriverli come un popolo ancora fieramente tribale, orgoglioso e volitivo, dedito alla razzia e alla guerra. 

Nonostante possedessero dei villaggi fortificati non è da escludere che avessero mantenuto tratti particolarmente arcaici come il semi nomadismo della classe pastorale-guerriera, come taluni passi farebbero intendere. 

Certamente sappiamo che erano decisamente meno urbanizzati dei propri vicini, per quanto già costruissero opere difensive in pietra, se questo fosse per via della propria posizione collinare e isolata o per via di una particolare indole non ci è dato ovviamente saperlo. 


Vengono citati da Tito Livio fra i primi e più ostinati nemici di Roma, talvolta in alleanzadella quale subirono successivamente l’espansione 

Sconfitti più volte dagli eserciti di Roma subirono nel 303 ante era volgare la fondazione di una colonia latina nel proprio territorio, Alba Fucens, cittadella che gli Equi, nonostante l’evidente inferiorità numerica e materiale, provarono senza successo ad assediare.

Sconfitti in campo aperto da Gaio Giunio Bubulco Bruto, che per questa vittoria ottenne in Roma un trionfo, vennero definitivamente sottomessi all’autorità romana pur potendo conservare una limitata forma di libertà locale, continuando a vivere nei propri villaggi e secondo i propri usi seppur venendo con il tempo assorbiti dai più numerosi e avanzati vicini. 


Tradizione: 


La Tradizione degli Equi si inserisce nel solco di quella dei popoli osco-umbri al cui ceppo apparteneva (e sulla quale faremo articoli appositi, intesi a rappresentare la tradizione nel suo complesso e i suoi legami con i riti tradizionali arcaici degli altri popoli celto-italici), la particolarità più importante di cui abbiamo notizia riguarda il collegio sacerdotale romano dei Feziali, un corpo sacro dedicato alle pratiche rituali necessarie affinché la guerra dichiarata fosse giusta davanti agli occhi degli detti, ovvero conforme allo Ius, a riprova dell’importanza, in special modo nella Roma arcaica, tribale e monarchica, della Tradizione e del sacro culto divino. 


Per chi volesse approfondire questo collegio sacerdotale vi lasciamo il link di un blog amico che tratta più specificatamente le tradizioni italica: 


https://ilfuocoeterno.blogspot.com/2020/03/la-guerra-ius-ta-i-fetiales.html?m=1 






giovedì 18 gennaio 2024

Tribù d’Eurasia, un’introduzione

Un saluto a tutti voi che seguite questo progetto, come penso abbiate notato l’attività della pagina, e del sito ad essa collegato, è andato scemando negli ultimi anni, complice la creazione di comunità locali di rito e alcuni problemi di natura personale che ci hanno spinto a mettere momentaneamente in pausa l’attività divulgativa per prediligere altre attività. 

Il progetto Le vie di Wodanaz però non si è certo interrotto e tornerà ora alle origini e agli obbiettivi per cui è nato: divulgare, nella maniera più semplice e diretta possibile, informazioni sugli Dèi immortali e sulle tribù che hanno popolato e ancora popolano la nostra bella Terra di Mezzo. 

Il titolo originale doveva essere Tribù d’Europa ma ho deciso di trasformarlo in Tribù d’Eurasia per poter ampliare l’area e le tribù di cui andremo a trattare.

Parleremo di tribù piuttosto note e relativamente conosciute come i Cenomani, i Veneti, gli Angli, i Piceni e i Longobardi così come di tribù meno note come i Khanty degli Urali o i Teleuti siberiani fino ad arrivare agli Evenchi e a tanti altri. 

Cercheremo di dare un’introduzione storica e spirituale, e cercheremo di farlo nella maniera che ci è propria, concisa e diretta. 


Perché? 


Perché il mondo in cui viviamo è sempre più caotico, imprevedibile e perso nei meandri del Kali Yuga, perché le macro realtà statuali, prese da competizioni esterne, prestano davvero poco attenzione alla preservazione delle tribù e delle realtà locali, perché nell’epoca dell’iperconnessione e del tentativo, ma tanto forte e pervasivo, di uniformare e appiattire ogni cosa saper guardare alla diversità e alle peculiarità spirituali di ogni gente è forse la più grande delle rivolte possibili. 


Perché nessuna tribù venga dimenticata. 


Che gli Dèi vi guidino,


A presto 

venerdì 8 aprile 2022

Inno a Woden

O dio della guerra, questa preghiera ascolta!
Per il fulgore della spada al ciel rivolta;
per lo splendore del tempio tuo romito,
ricolmo di rune di un poema avito;
per le valchirie che pio timore incutono
su quel campo rosso che vagando scrutano
scegliendo fra i tanti guerrieri caduti
quelli che nelle tue sale saran ricevuti,
nella Valhǫll dove gli alti spiriti restano
e a banchettare ogni dì s’apprestano;
là dove bevono le infinite schiere
da teschi di eroi il sacro idromele.

O dio della guerra, ascolta questa preghiera!
Portaci con te a banchettar sino a sera!


Salvaci, o dio, dalla lenta malattia
e dall’orrore di una tremenda apatia -
nell’impeto della febbre e del suo ardore,
è fra i lai d’una vecchiaia senza onore
che esala l’anziano il suo ultimo respiro.
Lasciaci allora cadere con un sospiro!
Lasciaci ancora levare in alto lo scudo!
Lasciaci cadere nel suo rifulgere cupo!
Della Britannia fra le nevi marceremo.
Là vittoria o morte noi conosceremo!
Heja! I condottieri sui carri già montano.
Guardateli, le bionde chiome acconciano!

Tremendi, i loro sguardi lanciano strali!
Corrono i nostri nemici, volan sull’ali!


O Woden, che resti nel tuo regno attento,
da lassù della morte tu odi il lamento.
Accogli ora nella tua ombrosa sala
chi per la patria il suo respiro esala.
O teoria d’eroi, degna di pii saluti,
liberai con Woden nei calici dei caduti,
leverai in alto con il tuo divino pari
di evanescenti lance infiniti mari.
Persino in Hel fisso riecheggerà
quel vostro passo che mai fine avrà
e i vostri scudi, a decine di migliaia,
getteran raggi sulla splendente ghiaia.


Heja! Già s’odono i gridi di battaglia -
forte, il suono dei ferri m’attanaglia!
Ancor più forte dell’infrangersi dei ghiacciai
rimbomba ora il clangore degli acciai!
Ancor più forte dello stormir nella piana
dei pini sferzati dalla tremenda fiumana!
Nel cavalcare su questo rosso campo,
nello scegliere fra chi non ebbe scampo,
osservatele volare, le alte sorelle leste -
forte batte il mio cuore nella veste!
È ora di spronare lo stanco destriero
laggiù dove lo scontro si fa più severo.

Esultante, o Woden, presto da te giungerò,
le sale della tua reggia allora visiterò;
se invece fra i caduti vivo io resterò,
il canto della vittoria allora intonerò.


William Lisle Bowles (24 settembre 1762 - 7 aprile 1860), Hymn to Woden
Traduzione dall’inglese di Le vie di Wodanaz, 8 aprile 2022

lunedì 24 gennaio 2022

Die Bergfestung - Completo

Condividiamo con i nostri lettori l'articolo completo "Die Bergfestung". Per accedervi basta cliccare sul seguente link

https://drive.google.com/file/d/1Kk0KGsctH5cF6iuJ7V0OgMaEmzmC50Gs/view?usp=drivesdk 

Die Bergfestung - parte VIII

Conclusioni

     Come si può vedere da quanto sinora detto, la montagna per le genti germaniche non rappresenta solamente un qualcosa di negativo, bensì la sua prima accezione, dacché legata all’etimologia, è spiccatamente positiva; alla stregua di una fortezza, la montagna, con le sue altezze, protegge chi vi dimora. L’amore, come pure l’attenzione per la montagna non è esclusiva degli intellettuali romantici: basti pensare alla poetica del già citato Oswald v. Wolkenstein, sudtirolese che visse a cavallo fra il XIV e il XV secolo.
     L’amore e l’attenzione nei riguardi della montagna sono indissolubilmente legati all’ambiente in cui un individuo nasce e si forma. Seppure su buona parte delle carte geografiche della prima età moderna non vi fossero riportati nomi per i valici o per i massicci montuosi ivi rappresentati, per le popolazioni che li abitavano essi invece portavano nomi mitici ed evocativi. Si pensi al Falzàrego, il cui toponimo è legato alle vicende dei Fanes: il padre della principessa Dolasilla tradì quest’ultima causandone la morte e guadagnandosi l’appellativo di fàlza régo, ossia Lad. per ‘falso re’. Le carte geografiche, spesso opera dell’intellighenzia urbana, erano inevitabilmente slegate dal panorama montano e dalla prospettiva di coloro che abitavano quei luoghi, acculturati o meno che fossero, e dunque non recavano segno di un mondo così lontano dai canoni di chi le aveva create.
     L’ambiente plasma gli individui e questi a esso si rifanno per definire le loro vite, dacché essi ne dipendono. È in questo legame stretto che trova la sua origine una parte dell’essenza degli individui, come pure una parte delle loro coscienze. Con le loro conoscenze, acquisite tramite l’interazione con il territorio, gli individui plasmano quest’ultimo rendendolo fortezza a difesa delle loro vite e dei loro aneliti.

 

 

Bibliografia


Böhme, F.M., Volksthümliche Lieder der Deutschen im 18. und 19. Jahrhundert, Leipzig, Breitkopf und Härtel, 1895.

Frevert, U., Gefühle in der Geschichte, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2021.

Geoffrey 2005
Geoffrey, S., Tantric revisionings: new understandings of Tibetan Buddhism and Indian religion, Dehli, Motilal Banarsidass PH, 2005.

Göcker, T., Des Knaben Liederschatz- Eine Sammlung geistlicher und weltlicher Volkslieder, Bielefeld-Leipzig, Velhagen & Klasing,  1887.

Gregory 1904
Gregory, A., Yeats, W.B. (a cura di), Gods and Fighting Men: The story of the Tuatha de Danaan and of the Fianna of Ireland, arranged and put into English by Lady Gregory, London, Albemarle Street, John Murray, 1904.

Grimm 1816
Gebrüder Grimm, Deutsche Sagen: Band 1, Berlin, Nicolaischen Buchhandlung, 1816.

Jirásek 1963
Jirásek, A., Pargeter, E. (a cura di), Legends of Old Bohemia, London, Paul Hamlyn, 1963.

Kindl, U., Kritische Lektüre der Dolomitensagen von Karl Felix Wolff: Band 1 & 2, San Martin de Tor, Istitut Ladin Micura de Rü, 1983.

Kroonen 2013
Kroonen, G., Etymological Dictionary of Proto-Germanic, Leiden-Boston, Brill, 2013.

Palmieri, G., Palmieri, M., I Regni perduti dei monti pallidi, Verona, Cierre, 1996.

Palmieri, G., GiulianoPalmieri.it. «I Regni perduti dei Monti Pallidi» [In rete] http://www.giulianopalmieri.it/html/regniperduti.htm (14 Dicembre 2021).

Rückert, F., Kranz der Zeit: Band 2, Stuttgart-Tübingen, J.S. Gotta’schen Buchhandlung, 1817.

Silcher, F., Erk, F., Allgemeine Deutsches Commersbuch, Lahr-Leipzig, M. Schauenburg & C. - B.F. Schulze, 1859.

Weiß, W., Wolf, N., Klein, K.K., Salmen, W., Die Lieder Oswalds von Wolkenstein, Tübingen, Max Niemeyer Verlag Tübingen, 1987.

Wessel, W., Loreley. Liedersammlung für gemütliche Kreise, Minden in Westfalen, J.C.C. Bruns` Verlag, 1897.

Wolff, K.F., Leggende delle Dolomiti. Il Regno dei Fanes, Milano, Mursia, 2017.

Wolff, K.F., I monti pallidi, Milano, Mursia, 2019.

Note:
Essendo questa una tesina universitaria svolta per il corso di Storia medievale IV A-B (2021 - 2022) tenuto dal professore U. Longo, ne sono vietati l'utilizzo e la condivisione da parte di terzi non affiliati a questo sito



Die Bergfestung - parte VII

Capitolo IV - La montagna e i Minnesänger

     Uno dei principali Minnesänger operanti sulle Dolomiti fu Oswald v. Wolkenstein [17]. Con buone probabilità nato a Burg Schöneck, nei pressi di Pfalzen in Val Pusteria (BZ), Oswald v. Wolkenstein visse per buona parte della sua vita a Burg Hauenstein, immerso nei boschi ai piedi dello Sciliër.
     La poetica dei suoi Lieder subì l’influsso di quei luoghi, divenendone manifestazione letteraria. Esempio principe di quanto sinora detto è il Lied pastorale, noto con il titolo di Ain Jetterin, di cui ora segue la prima strofa [18] con relativa traduzione e analisi filologico-grammaticale:


 

 

 

 

 

 

 

 

     Il Leitmotiv delle ripide altezze e delle vorticose guglie montane, che più in là nei secoli diverrà uno dei temi centrali dell’universo romantico, appare qui in tutta la sua forza. La montagna è sì lo sfondo bucolico del componimento ma viene anche apostrofata come ‘aguzza’ e ‘aspra’, è insomma una fortificazione perfetta, uno scrigno dove poter celare sé stessi e i propri desideri più reconditi.

 

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[17] Oswald v. Wolkenstein (nato nel 1377 c.ca, forse a Burg Schöneck nella Val Pusteria, morì il 2 Agosto del 1445, Merano). Compositore, poeta e diplomatico.

[18] W. Weiß, N. Wolf, K.K. Klein, W. Salmen, Die Lieder Oswalds von Wolkenstein, Tübingen, Max Niemeyer Verlag Tübingen, 1987, p. 214.

Note:
Essendo questa una tesina universitaria svolta per il corso di Storia medievale IV A-B (2021 - 2022) tenuto dal professore U. Longo, ne sono vietati l'utilizzo e la condivisione da parte di terzi non affiliati a questo sito

Die Bergfestung - parte VI

Capitolo III - La montagna e il giardino

     Sempre in Wolff la montagna assume un’accezione particolare, quella di giardino fiorito. Nella leggenda delle rose si narra di come il re dei nani, Laurino, fu sconfitto da Teodorico da Verona in seguito al rapimento della principessa Similda.
     Il regno del re dei nani, sito sulla montagna e delimitato da un sottile filo di seta, era nascosto fra infinite rose; fu lì che il re Laurino nascose per sette anni la principessa Similda. Fu Teodorico da Verona, accompagnato da Vítege e da altri guerrieri, a scovare la principessa prigioniera proprio grazie allo splendore delle rose fiorite che segnalò loro l’ingresso al regno di Laurino. Il nano, adirato, maledisse il suo roseto, tramutandolo in pietra, e «[...] fece un incantesimo, affinché le rose non si potessero più vedere né di giorno né di notte. Ma nel suo sortilegio il re nano aveva dimenticato il tramonto, che non è giorno e non è notte: così ancora oggi, dopo il tramonto, si vedono le rose rosse del giardino incantato» [13].
     Questa leggenda eponima, a essa si deve il nome del massiccio del Rosengarten [14] come pure quello del fenomeno dolomitico dell’enrosadöra [15], fa del giardino montano un luogo manifesto che inganna però l’occhio dell’osservatore casuale, nascondendogli cose e persone, un rifugio a cielo aperto che cresce sulla fortezza.

     Ulteriore fatto degno di menzione è la presenza di una cintura che dona a re Laurino «[...] la forza di dodici uomini» [16]. Elemento comune sia alla traditio germanico-scandinàva, basti pensare alla cintura dell’ase Þórr, sia a quella germanico-continentale, vedasi la cintura che Siegfried deve togliere a Brünhild nel Nibelungenlied, la cintura che dona forza e potenza è un ulteriore punto di raccordo fra il mondo ladino e quello germanico.

 

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[13] K.F. Wolff, I monti pallidi, Milano, Mursia, 2019, p. 24.

[14] G per ‘roseto’.

[15] Lad. per ‘arrossarsi, assumere una sfumatura rossastra’; equivalente del G Alpenglühen.

[16] Ibidem, p. 21.

Note:
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