Conclusioni
Come si può vedere da quanto sinora detto, la montagna per le genti germaniche non rappresenta solamente un qualcosa di negativo, bensì la sua prima accezione, dacché legata all’etimologia, è spiccatamente positiva; alla stregua di una fortezza, la montagna, con le sue altezze, protegge chi vi dimora. L’amore, come pure l’attenzione per la montagna non è esclusiva degli intellettuali romantici: basti pensare alla poetica del già citato Oswald v. Wolkenstein, sudtirolese che visse a cavallo fra il XIV e il XV secolo.
L’amore e l’attenzione nei riguardi della montagna sono indissolubilmente legati all’ambiente in cui un individuo nasce e si forma. Seppure su buona parte delle carte geografiche della prima età moderna non vi fossero riportati nomi per i valici o per i massicci montuosi ivi rappresentati, per le popolazioni che li abitavano essi invece portavano nomi mitici ed evocativi. Si pensi al Falzàrego, il cui toponimo è legato alle vicende dei Fanes: il padre della principessa Dolasilla tradì quest’ultima causandone la morte e guadagnandosi l’appellativo di fàlza régo, ossia Lad. per ‘falso re’. Le carte geografiche, spesso opera dell’intellighenzia urbana, erano inevitabilmente slegate dal panorama montano e dalla prospettiva di coloro che abitavano quei luoghi, acculturati o meno che fossero, e dunque non recavano segno di un mondo così lontano dai canoni di chi le aveva create.
L’ambiente plasma gli individui e questi a esso si rifanno per definire le loro vite, dacché essi ne dipendono. È in questo legame stretto che trova la sua origine una parte dell’essenza degli individui, come pure una parte delle loro coscienze. Con le loro conoscenze, acquisite tramite l’interazione con il territorio, gli individui plasmano quest’ultimo rendendolo fortezza a difesa delle loro vite e dei loro aneliti.
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Note:
Essendo
questa una tesina universitaria svolta per il corso di Storia medievale IV A-B (2021 - 2022) tenuto dal professore U. Longo,
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