Seppur ciò avrebbe fatto storcere il naso ad un misogino come Nietzsche, Platone nelle sue opere fece dire a Socrate che tutto ciò che questi aveva imparato sull’amore lo aveva fatto, ebbene sì, da una donna, Diotima; ella, infatti, come si racconta nel Simposio, lo aveva iniziato ai misteri dell'amore, insegnandogli tutto quello che conosceva su questa passione dell’anima.
"Dirò invece il discorso che su Amore udii una volta da una donna di Mantinea, Diotima, la quale era sapiente in questa e in molte altre cose […] fu lei che mi insegnò le cose d’amore"
La filosofia stessa, infatti, per Platone era una passione alta; essa non è altro che la forma più alta dell’amore. Il filosofo, dunque, diviene l'amante perfetto, a metà strada tra l'ignoranza e l'oggetto del suo desiderio amoroso, la sapienza. È la filosofia platonica che, sulla scorta del pensiero pitagorico, definisce l’atto del filosofare come una vera e propria passione dell’anima, volta ad elevare lo sguardo dell’individuo sul mondo e a farglielo amare con una passione sempre più perfetta ed esente dai vizi.
Il filosofare, dunque, non è semplicemente uno speculare razionale ma una passione che deve essere esercitata trovando le giuste modalità di sfogo ed espressione; ecco che qualsiasi pretesa di una filosofia "lucida", disinteressata e quindi razionalistica, per come la si intende oggi, diviene di fatto impossibile.
La filosofia ci precede come un demone e non spinge il filosofo a possedere la verità, a renderla un oggetto arrivando a trasformarla, a ridurla ad una cifra volgendola ai propri fini ma bensì a parteciparvi; essa è una necessità impellente, e non un discorso asettico e spassionato. Sono i discorsi, piuttosto, ad emergere necessariamente dal coltivare questa passione che, come dice Socrate nel Simposio, fa partorire nel bello; i discorsi, dunque, non sono che frammenti della bellezza assoluta che il filosofo desidera contemplare nella verità e che così viene comunicata, seppur parzialmente, agli altri. La verità, secondo il filosofo, non si possiede ma piuttosto si contempla secondo le proprie possibilità, si ama facendo in modo che essa, a sua volta, ricambi il nostro sentire permettendoci di osservarla nuda da ogni apparenza illusoria.
Cartesio, con la sua quantificazione della realtà, invece ha compiuto un atto non di amore ma bensì di stupro nei confronti della verità, stupro che poi si è concretizzato in quella scienza moderna ansiosa di strappare ogni segreto al mondo; sembra quasi che il rapporto fra mondo - conoscibile - e scienza - strumento della conoscenza - sia quello tra una preda ed un predatore e non certo quello tra due amanti.
L’uomo è diventato più importante dell’oggetto del suo desiderio che un tempo era amato e venerato quasi fosse una divinità; egli si adopera ad accrescere a dismisura i propri anni di vita ed il proprio dominio sugli esseri viventi e sugli elementi, figure che perdono la loro dimensione metafisico-divina, foriera di amore e rispetto, divenendo succubi alle arti dell'uomo.
Nell’uomo moderno, la natura è trasfigurata in quella “puttana bagascia” che Giordano Bruno intravedeva nella visione del mondo dei protestanti.
Invece per il filosofo, ovvero per l’amante dell’amore più alto possibile, la natura rimane misteriosa ma questo non significa che non vada indagata; essa va però avvicinata secondo le sue regole, con amore.
Sarà proprio grazie all’intensificarsi dell’amore, che si rende sempre più puro ed esente dalle voglie dell’ego, che essa si svelerà completamente all’osservatore, ossia quando questo comprenderà che, in realtà, erano sempre stati una cosa sola.
Francesco Savini, in collaborazione con le vie di Wodanaz