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lunedì 13 gennaio 2020

Alvíssmál, strofe 21-24

Si è scelto di tradurre ed analizzare quattro strofe tratte dall’Alvíssmál ( i.e. “Racconto di Alvíss”,
poema della Ljóðaedda che narra di una discussione fra l’Ase Þórr ed il nano Alvíss sulle differenze
di vedute proprie dei nove mondi retti dall’asse cosmico Yggdrasill ) in quanto esse mostrano le
differenze radicali nel modo di intendere da parte degli abitanti di tutti e nove i regni quei fenomeni
naturali che sono propri di quest’ultimi.

Buona lettura:

https://drive.google.com/file/d/16ZmuRKKeovAnNgP1uciECSw-2IMRmPNw/view?fbclid=IwAR2oFatazlPHKHJVeKGbi3h3B0XVdVbelBl914uGdB3HqkQzqhpxI2cYXs8

sabato 11 gennaio 2020

Le vie di Wodanaz 2019, un bilancio

Quando si avvicina il termine di un anno, o subito dopo la sua conclusione, è sempre buona cosa fare il punto della propria situazione, capire se si è migliorati, e quanto, in sapienza, determinazione e volontà di potenza. 

Farlo su questo progetto, dopo averlo fatto sulla mia persona, è venuto naturale. 

L’anno appena passato è stato molto fruttuoso per il progetto Le vie di Wodanaz, sono stati intessuti rapporti con svariate realtà, le comunità locali si sono ampliate e le ritualità celebrate mentre il nostro archivio articoli si è ampliato di altri 141 pezzi, questo grazie soprattutto ai tanti fra voi che hanno deciso di collaborare a questo nostro progetto, inviandoci articoli e contenuti di grande valori. 

Con tutta l’umiltà del caso possiamo dire di essere riusciti, in poco più di un anno e mezzo, a creare qualcosa di realmente nuovo e del quale sentivamo il bisogno, un polo di attrazione per tutti coloro che, giovani e meno giovani, vogliono esprimere il proprio pensiero spirituale liberamente. 


Una voce diversa, un media slegato dalle logiche del mondo moderno, con contenuti semplici, adatti a tutti, che possano risvegliare anche solo un interesse per quella che è il culto degli Dèi eterni e della verità dei primordi.

Per questo ci teniamo molto a pubblicare ogni giorno, a fornire, nei limiti di ciò che ci è possibile, una appuntamento quotidiano teso a qualcosa di più alto della mediocrità dei nostri tempi, per far ricordare, a quei pochi o quei molti che vorranno farlo, che un tempo su questa terra di mezzo vi sono state persone di più alto valore di mercanti e politicanti, e che con l’aiuto degli Dèi e della nostra volontà è ancora possibile ricostruire una società sana. 

Un buon anno a tutti voi lettori, con l’augurio che possiate vivere un nuovo ciclo illuminati dalla fede negli Dèi immortali e dalla luce che mai verrà meno. 


Hailaz Wodanaz! 


Andrea, Marco e tutta la redazione de Le vie di Wodanaz 

mercoledì 8 gennaio 2020

sabato 4 gennaio 2020

I longobardi, storia di un nome

Le antiche saghe ci insegnano che il nome è potere, spesso anche destino, il nome della nobile tribù longobarda non fa eccezione ed è anzi uno dei più nobili esempi di questo antico insegnamento, essendo il nome in questiono non solo assai nobile ma anche il frutta di una investitura divina.

Fu Godan, padre del tutto, a donarci un nuovo nome e, di conseguenza, un Destino.

Gæð a Wyrd swa hio scel, il Fato prosegue secondo la propria volontà, si legge nel Beowulf, poema di estremo valore educativo frutto della cultura anglosassone, assai affine a quella longobarda.

La storiografia della nostra penisola, complice una certa avversione per i popoli germanici, retaggio sociale della politica d’odio portata avanti dai Savoia in chiave anti-asburgica, spesso dimentica, o fa passare in secondo piano, il popolo longobardo. Questi biondi barbari, giganti del Nord, sono generalmente visti come un corpo estraneo, invasori poi scacciati e dimenticati.


Questo, ovviamente, non potrebbe essere più falso, i longobardi si sono insediati in lungo ed in largo per la penisola e moltissimi italiani, specialmente al Nord ed in alcune aree del Centro-Sud, hanno avi longobardi.

Ma la politica, si sa, si nutre di rancori e partigianeria e gloriosa storia del popolo longobardo, compresa quella relativa al suo nome è stata a lungo, se non dimenticata, quantomeno eclissata.


Quanto sappiamo sulle origini mitiche dei longobardi deriva da Paolo Warnefrido e dalla sua Historia Langobardorum, testo scritto quando ormai il dominio longobardo sulla penisola era al tramonto, ridotto ai soli ducati del Sud.

Si narra che un tempo la tribù  degli Winnili (che significa “cani vittoriosi” o “cani furiosi”), una parte di essa, intraprese una migrazione in armi dalle terre avite di Scania, non sappiamo con esattezza la motivazione di ciò, anche se è lecito ipotizzare che alla base vi fossero problematiche alimentari dovuti ad una crescita della popolazione. Essi, secondo l’uso germanico, si scelsero due capi, due fratelli di nome Ibor e Aio, che spiccavano fra i loro pari per forza, gagliardia e possanza e che godevano della guida di Gambara, loro madre, donna di grande saggezza, vicina agli Dèi per pratiche e sapienza.


Giunti sul continente, nella regione che aveva allora il nome di Scoringa, vennero in contatto con la tribù dei Vandali, più numerosa, comandata da Ambri e Assi, condottieri di fama che già avevano conquistato sul campo numerose vittorie. Questo popolo, imbaldanzito dalle numerose vittorie , domandò quindi ai Winnili, che già da alcuni anni abitavano quelle terre, il pagamento di un tributo.

 

Ben consci che ciò avrebbe significato fare atto di sottomissione, ammettendo la propria incapacità di difendere la propria gente, Ibor e Aio, ben consigliati dalla propria madre, decisero che era meglio difendere con le armi la propria libertà che piegarsi all’infamia pagando un tributo ad uno straniero.

Godan, padre del tutto, interpellato dai contendenti, asserì che avrebbe dato la vittoria al primo popolo che avesse visto, al sorgere del sole, sul campo di battaglia.

Gambara si rivolse quindi a Frea, signora degli Dèi e moglie di Godan, domandando la vittoria per il suo popolo e questa, nella sua grazia, diede alla sacerdotessa un saggio consiglio, di portare sul campo di battaglia, oltre agli uomini, anche le donne della tribù, e che queste portassero i capelli sciolti davanti al viso.

Così fecero e il giorno successivo, al sorgere del sole, Godan vide sul campo di battaglia lo schieramento degli Winnili e domando alla moglie chi fossero quei “longibardi” e questa gli rispose di dare la vittoria a coloro ai quali aveva appena fatto dono di un nome.

Fu così che la tribù ricevette un nuovo nome e, insieme a questo, un destino di vittoria e lotta che l’avrebbe portata, dopo secoli di conquiste e migrazioni, a stabilirsi nella nostra penisola adempiendo al proprio Wyrd.

 

 

venerdì 3 gennaio 2020

Medioevo “Pagano”

La civiltà cristiana fu tanto più forte tanto più riuscì ad assorbire le energie dei culti precedenti, tanto è che man mano che più questi si allontanavano più ella divenne asfittica e formale. 

I nobili franconi appena convertiti erano formidabili, e tali rimasero per buona parte del medioevo quando ancora le cultualità arcane erano forti nelle campagne (come testimonia, fra gli altri, Rodolfo il Glabro), secoli dopo, quando della fede antica non rimaneva che qualche traccia dispersa per campi e boschi, erano ridotti a poco più che larve, svuotati di ogni forza. 

La prima crociata, l’unica realmente e completamente vittoriosa, fu l’opera di cavalieri normanni di freschissima, e talora dubbia, conversione, la civiltà cortese mantenne a lungo tratti legati al passato “pagano” e non è un caso che le sua più alte espressioni, la poesia cortese ed il poema cavalleresco, portassero tracce, quando non direttamente temi, dell’antica fede. 

Non solo per campi e boschi, quindi, lontano dalla civiltà, sopravvisse la fede eterna, e non solo fra il popolo essa si mantenne salda e sicura tramite il folklore e le tradizioni, ma anche attraverso rielaborazione aristocratiche, spesso solo superficialmente cristianizzate. 


È cosa nota il furto di simboli a danno del culto eterno effettuato dal cristianesimo quando, nel primo medioevo, dovette trasformare la propria natura di religione per reietti e schiavi in una forma che risultasse accettabile anche per classi sociali e umane più elevate. 

La tradizione germanica e quella romana vennero spogliate di ritualità, nomi e simboli a vantaggio della nuova dottrina orientale che poté così ammantarsi di un’aurea comprensibile e familiare ai popoli europei.

Pensiamo al pontifex maximus romano, capo del collegio sacerdotale, la cui funzione (e il cui stesso nome) venne inglobata dalla monolatria straniera, o all’ideale eroico germanico che venne anch’esso adattato alla novella religione e che tanta importanza ha avuto nella creazione delle figura e dell’immaginario cavalleresco, punto di unione fra germanicità, romanità e influssi steppici.

In conclusione: il medioevo è da considerarsi un’epoca esclusivamente cristiana? La risposta è: assolutamente no!

Innanzitutto perché il cristianesimo si è diffuso molto lentamente, finendo con il diffondersi in alcune zone d’Europa solo con la fine del medioevo, per buona parte della sua durata vi furono zone, seppur via via ridotte, in cui il culto pubblico dedicato agli Dèi eterni ancora prosperava, in secondo luogo perché anche nei luoghi occupati dalla monolatria ma mancarono coloro che, fra foreste e boschi, portarono avanti la fiamma eterna. 

Per riprendersi ogni cosa occorre, prima di tutto, riacquistare possesso del proprio passato.

Hailaz Wodanaz!