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lunedì 27 luglio 2020

Cannibalismo mesoamericano

Nel panorama mesoamericano, anche il fenomeno del cannibalismo era presente, diverse sono le testimonianze e descrizioni che sono giunte fino a noi, come quelle di Bernardino De Sahagún, le quali lasciano pochi dubbi:

Dopo aver strappato il loro cuore e versato il loro sangue in una ciotola di zucca, data al guerriero che catturó l'uomo sacrificato, fecero rotolare il corpo giù per i gradini della piramide. Questo si fermó in una piccola piazza sottostante. Lì alcuni vecchi, che chiamarono Quaquacuiltin, lo afferrarono e lo portarono nel loro tempio tribale, dove lo smembrarono e se lo divisero per mangiarlo.

De Sahagún fa ripetutamente gli stessi punti:

Dopo averli uccisi e strappato i loro cuori, li portarono via delicatamente, facendoli rotolare giù per i gradini. Quando raggiunsero il fondo, le teste furono tagliate e fu inserito un palo attraverso di esse, i corpi furono portati nelle case che chiamavano calpulli , dove vennero smembrati per essere mangiati
"... e hanno strappato i loro cuori e hanno colpito le loro teste. E più tardi hanno diviso tutto il corpo tra loro e lo hanno mangiato..."

Diego Durán ci dà una descrizione simile:

Una volta che il cuore fu strappato via, fu offerto al sole e il sangue fu spruzzato verso la divinità solare. Imitando la discesa del sole a ovest, il cadavere fu fatto precipitare lungo i gradini della piramide. Dopo il sacrificio i guerrieri celebrarono una grande festa con molte danze, cerimonie e atti di cannibalismo.

Pedro Bondanini, in collaborazione con le vie di Wodanaz

P.S. L'autore del post ha una pagina FB (https://www.facebook.com/PBblackeagle87/), vi consiglio vivamente di visitarla.

lunedì 6 luglio 2020

Fors Fortuna - parte II

LA FESTA
Il 24 Giugno i plebei celebravano in onore della dea Fortuna una grande festa, molto sentita nelle campagne, con la quale si chiedeva a Fors-Fortuna abbondanza nei raccolti.
Il fatto che questa festività venisse svolta nel giorno del solstizio d'Estate, che è seconda porta dell'anno, non è certo una casualità ché di lì a poco in tutta la penisola italica si sarebbe conclusa la raccolta del grano, dono divino; era questo un momento importante che richiedeva una grande festa dopo i faticosi lavori agricoli.

La sera del 23 Giugno venivano accesi dei grandi falò, attornò ai quali si beveva e ballava tutta la notte indossando ghirlande di fiori e lasciandosi andare, inebriati dalla musica e dal vino. Nei pressi dei falò si usava dare fuoco ad una ruota posta su di un palo e sulla base del punto in cui la ruota cadeva se ne traevano auspici; anche in epoca medievale la simbologia della ruota rimase legata alla concezione che le genti avevano della Fors-Fortuna, una ruota della Fortuna che rappresenterebbe non tanto una sorta di roulette quanto bensì la ruota del karman.


Nonostante i divieti teodosiani seguiti all'editto del 380 che rese il cristianesimo unica religio licita nell'impero, il culto di Fortuna continuò ad essere praticato sia dalla plebe che dal resto della cittadinanza.
La festività di Fors-Fortuna così come anche le ritualità connesse al solstizio, di centrale importanza per tutte le genti europee, erano dure a morire e per questa ragione vennero riconfigurate dall'intellighenzia cristiana nella notte di San Giovanni Battista che appunto intercorre fra il 23 ed il 24 Giugno e che è altrimenti nota come notte delle streghe, spesso identificabili con coloro che ancora seguivano le antiche ritualità.
Durante tutto il Medioevo ed oltre, si continuò a celebrare la festa del solstizio in chiave pagana, con grandi falò e danze, soprattutto nelle campagne dove in quei giorni era uso raccogliere erbe e frutti per farne liquori o infusi, come le noci per il nocino.

miniatura rinascimentale di Fortuna

La dea Fortuna continua tutt'ora a rivestire primaria importanza e non è un caso che proprio sul suo santuario di Præneste venne costruita la reggia dei Colonna.


Gianluca Vannucci, in collaborazione con le vie di Wodanaz


P.S. L'autore di questo articolo ha anch'egli un suo blog di cui il link ora segue: https://ilfuocoeterno.blogspot.com/ 

domenica 5 luglio 2020

Fors Fortuna - parte I

Il 24 Giugno, nel giorno dell'antico Solstizio d'estate, si celebravano grandiose festività nella città di Roma come pure nel resto della penisola italica. Erano queste delle festività rituali che coinvolgevano particolarmente la plebe agreste e riguardavano la dea Fortuna nella sua dimensione di Fors-Fortuna, ossia di dea della sorte (i.e. fors, fortis latino per "caso, sorte").

LA DEA

Fortuna è un'antichissima dea italica, spesso raffigurata con una cornucopia ed il timone.
Cicerone testimonia di come questa, nel grande tempio presso Præneste (i.e. oggi Palestrina, RM) a lei dedicato, fosse raffigurata nell'atto di allattare Iuppiter e Iuno ancora bambini (cfr. Marco Tullio Cicerone, De Divinatione, XLI 85-86). Facente parte di un vasto complesso (i.e. il santuario della Fortuna Primigenia della fine del secolo II a.e.c.), il tempio della dea Fortuna presso Præneste era posto nei pressi di un santuario precedente, più antico, dove vi era un oracolo e vi si praticava il culto di Giove bambino; una sacerdotessa e un bambino estraevano rune da una scatola ed a seconda di queste si potevano trarre vaticini e carpire i mutamenti del Fato.

Statua romana di Fortuna

Fortuna Primigenia, madre di Giove e sovrana dei mutamenti del Fatum che se opportunamente adorata concede regalità, come anche la possibilità di dominare le correnti date dal mutare del Fato senza rimanerne schiacciati.

Moltissimi uomini importanti di Roma le furono devoti; fra questi vi erano il Divo Iulio e lo stesso Servio Tullio, il quale si dice le abbia dedicato ben ventisei templi.
Spesso nei suoi santuari faceva coppia con le divinità più importanti, basti pensare come a Præneste, presso i Latini, fosse venerata assieme a Iuppiter mentre come presso i Galli fosse venerata con Lúg (i.e. dio della luce della mitologia celtica); talvolta faceva coppia con Vulcano o con Vertumno, antichissimo dio oracolare etrusco-latino anch'esso presiedente ai mutamenti del Fato.

Gianluca Vannucci, in collaborazione con le vie di Wodanaz


P.S. L'autore di questo articolo ha anch'egli un suo blog di cui il link ora segue: https://ilfuocoeterno.blogspot.com/ 

giovedì 2 luglio 2020

Le vie di Wodanaz due anni dopo, un bilancio


“Phol e Wōtan

cavalcavano verso il bosco.

Allora al puledro di Balder

si distorse un piede.

Allora gli parlò Sinhtgunt,

e Sunna sua sorella.

Allora gli parlò Frīja,

e Volla sua sorella.

Allora gli parlò Wōtan,

come lui sapeva ben fare

per strappi alle ossa,

per strappi sanguinanti,

per strappi di membra:

 

“Osso a osso,

sangue a sangue,

membro a membro,

così tornino uniti”.

(Secondo incantesimo di Merseburgo)

 

Due anni, due anni ed una manciata di mesi, tanto è passato da quando il progetto “Le vie di Wodanaz” si è affacciato nello spesso caotico ambiente della via antica nel nostro paese, in origine come semplice blog di informazione semplice e diretta sugli Dèi e sui nostri antenati ma con già in essere l’ambizione, e soprattutto la volontà, di evolversi in qualcosa di più e di agire concretamente per riportare il culto eterno alla gloria che merita. 
Il blog ha continuato la sua opera arrivando a contare, ad oggi, quasi quattrocento articoli degli argomenti più disparati ed in continuo aumento, esso rappresenta ad un tempo la voce pubblica e l’archivio delle nostre comunità, in special modo di quella attiva nel cremonese che ad oggi conta nove membri e che rappresenta, senza ombra di dubbio alcuno, il risultato migliore che questo progetto ha dato finora. Il fatto che degli uomini liberi decidano in piena Età del Lupo di formare una comunità, di creare legami saldi in un mondo che fa dell’essere liquido, indefinito, la propria essenza non è cosa da poco.


L’individualismo è senza ombra di dubbio un segno dei tempi e l’incapacità di relazionarsi all’interno di ambiti complessi non ne è che la naturale conseguenza, ed esso colpisce duro anche in un ambito, quello sacrale, che al contrario necessiterebbe di fratellanze salde e devote, in gradi di custodire la scintilla del fuoco dei primordi e di formare uomini sani ed in gradi di affrontare il collasso di questa era quando sarà il momento, realtà claniche proiettate in un’ottica tribale che non siano legate a semplici contingenze momentanee ma che possano sfidare il tempo trasmettendo fede e valori ai propri discendenti, unica speranza in questa era crepuscolare.

Eppure pochi, drammaticamente pochi anche fra coloro che si dichiarano tradizionalisti, hanno davvero la volontà, o la capacità, di agire in questo senso. Perché? Ego? Incapacità di trovare altri uomini validi? Boiate, e mi scuserete il francesismo. Boiate. 
Serve volontà, capacità di mettersi al servizio di una causa più alta, di tendere davvero a qualcosa di più, occorre saper dosare modestia e carisma, saper imparare dai propri pari e insegnare loro al contempo, senza queste cose non vi sarà mai quel senso di fratellanza necessario a forgiare un clan, che è qualcosa di molto più alto e sacro che una semplice “compagnia” poiché non si condividono solo esperienze ma anche e soprattutto la devozione ad una causa, la causa divina, sacrale via al quale ogni uomo degno dovrebbe votarsi.

Chi vi scrive svolge una funzione sacerdotale, all’interno del clan, e condivide il ruolo di guida dello stesso, eppure non mi vergogno ad ammettere che per ogni cosa che ho insegnato ai miei ne ho imparate molte altre da ognuno di loro, piccole e grandi, sacre e profane ma tutte ugualmente importanti nel rendermi, giorno dopo giorno, ciò che devo essere.
Formate delle comunità, abbandonate pigrizie e inutili riserve, celebrate gli Dèi e tutto quando vi è ancora di sano a questo mondo e l’ora di Balder giungerà.



Hailaz Wodanaz!