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https://drive.google.com/file/d/1Kk0KGsctH5cF6iuJ7V0OgMaEmzmC50Gs/view?usp=drivesdk
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Come si può vedere da quanto sinora detto, la montagna per le genti germaniche non rappresenta solamente un qualcosa di negativo, bensì la sua prima accezione, dacché legata all’etimologia, è spiccatamente positiva; alla stregua di una fortezza, la montagna, con le sue altezze, protegge chi vi dimora. L’amore, come pure l’attenzione per la montagna non è esclusiva degli intellettuali romantici: basti pensare alla poetica del già citato Oswald v. Wolkenstein, sudtirolese che visse a cavallo fra il XIV e il XV secolo.
L’amore e l’attenzione nei riguardi della montagna sono indissolubilmente legati all’ambiente in cui un individuo nasce e si forma. Seppure su buona parte delle carte geografiche della prima età moderna non vi fossero riportati nomi per i valici o per i massicci montuosi ivi rappresentati, per le popolazioni che li abitavano essi invece portavano nomi mitici ed evocativi. Si pensi al Falzàrego, il cui toponimo è legato alle vicende dei Fanes: il padre della principessa Dolasilla tradì quest’ultima causandone la morte e guadagnandosi l’appellativo di fàlza régo, ossia Lad. per ‘falso re’. Le carte geografiche, spesso opera dell’intellighenzia urbana, erano inevitabilmente slegate dal panorama montano e dalla prospettiva di coloro che abitavano quei luoghi, acculturati o meno che fossero, e dunque non recavano segno di un mondo così lontano dai canoni di chi le aveva create.
L’ambiente plasma gli individui e questi a esso si rifanno per definire le loro vite, dacché essi ne dipendono. È in questo legame stretto che trova la sua origine una parte dell’essenza degli individui, come pure una parte delle loro coscienze. Con le loro conoscenze, acquisite tramite l’interazione con il territorio, gli individui plasmano quest’ultimo rendendolo fortezza a difesa delle loro vite e dei loro aneliti.
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Gebrüder Grimm, Deutsche Sagen: Band 1, Berlin, Nicolaischen Buchhandlung, 1816.
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Weiß, W., Wolf, N., Klein, K.K., Salmen, W., Die Lieder Oswalds von Wolkenstein, Tübingen, Max Niemeyer Verlag Tübingen, 1987.
Wessel, W., Loreley. Liedersammlung für gemütliche Kreise, Minden in Westfalen, J.C.C. Bruns` Verlag, 1897.
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Wolff, K.F., I monti pallidi, Milano, Mursia, 2019.
Uno dei principali Minnesänger operanti sulle Dolomiti fu Oswald v. Wolkenstein [17]. Con buone probabilità nato a Burg Schöneck, nei pressi di Pfalzen in Val Pusteria (BZ), Oswald v. Wolkenstein visse per buona parte della sua vita a Burg Hauenstein, immerso nei boschi ai piedi dello Sciliër.
La poetica dei suoi Lieder subì l’influsso di quei luoghi, divenendone manifestazione letteraria. Esempio principe di quanto sinora detto è il Lied pastorale, noto con il titolo di Ain Jetterin, di cui ora segue la prima strofa [18] con relativa traduzione e analisi filologico-grammaticale:
Il Leitmotiv delle ripide altezze e delle vorticose guglie montane, che più in là nei secoli diverrà uno dei temi centrali dell’universo romantico, appare qui in tutta la sua forza. La montagna è sì lo sfondo bucolico del componimento ma viene anche apostrofata come ‘aguzza’ e ‘aspra’, è insomma una fortificazione perfetta, uno scrigno dove poter celare sé stessi e i propri desideri più reconditi.
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[17] Oswald v. Wolkenstein (nato nel 1377 c.ca, forse a Burg Schöneck nella Val Pusteria, morì il 2 Agosto del 1445, Merano). Compositore, poeta e diplomatico.
[18] W. Weiß, N. Wolf, K.K. Klein, W. Salmen, Die Lieder Oswalds von Wolkenstein, Tübingen, Max Niemeyer Verlag Tübingen, 1987, p. 214.
Sempre in Wolff la montagna assume un’accezione particolare, quella di giardino fiorito. Nella leggenda delle rose si narra di come il re dei nani, Laurino, fu sconfitto da Teodorico da Verona in seguito al rapimento della principessa Similda.
Il regno del re dei nani, sito sulla montagna e delimitato da un sottile filo di seta, era nascosto fra infinite rose; fu lì che il re Laurino nascose per sette anni la principessa Similda. Fu Teodorico da Verona, accompagnato da Vítege e da altri guerrieri, a scovare la principessa prigioniera proprio grazie allo splendore delle rose fiorite che segnalò loro l’ingresso al regno di Laurino. Il nano, adirato, maledisse il suo roseto, tramutandolo in pietra, e «[...] fece un incantesimo, affinché le rose non si potessero più vedere né di giorno né di notte. Ma nel suo sortilegio il re nano aveva dimenticato il tramonto, che non è giorno e non è notte: così ancora oggi, dopo il tramonto, si vedono le rose rosse del giardino incantato» [13].
Questa leggenda eponima, a essa si deve il nome del massiccio del Rosengarten [14] come pure quello del fenomeno dolomitico dell’enrosadöra [15], fa del giardino montano un luogo manifesto che inganna però l’occhio dell’osservatore casuale, nascondendogli cose e persone, un rifugio a cielo aperto che cresce sulla fortezza.
Ulteriore fatto degno di menzione è la presenza di una cintura che dona a re Laurino «[...] la forza di dodici uomini» [16]. Elemento comune sia alla traditio germanico-scandinàva, basti pensare alla cintura dell’ase Þórr, sia a quella germanico-continentale, vedasi la cintura che Siegfried deve togliere a Brünhild nel Nibelungenlied, la cintura che dona forza e potenza è un ulteriore punto di raccordo fra il mondo ladino e quello germanico.
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[13] K.F. Wolff, I monti pallidi, Milano, Mursia, 2019, p. 24.
[14] G per ‘roseto’.
[15] Lad. per ‘arrossarsi, assumere una sfumatura rossastra’; equivalente del G Alpenglühen.
[16] Ibidem, p. 21.
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[6] U. Frevert, Gefühle in der Geschichte, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2021, p. 180.
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Un esempio legato al concetto di Bergfestung, di Fortezza-Montagna e in parte riferibile alla corrente del tardo romanticismo tedesco, è quel componimento poetico scritto dal filologo Friedrich Rückert (1788-1866) pubblicato nel 1817 con il titolo di Barbarossa e contenuto nel secondo volume della raccolta di Lieder nota come Kranz der Zeit [3].
Nel suddetto Lied, Rückert presenta al lettore un Friedrich I v. Hohenstaufen non più semplice imperatore mortale dell’Heiliges Römisches Reich ma un Friedrich I v. Hohenstaufen che è custode immortale della dignità imperiale: sovrano che dorme di un sonno eterno, è lì che attende senza sosta di poter tornare dal mondo altro e ctònio del ventre della Montagna al mondo dei vivi e di poter ivi restaurare lo splendore del Reich di cui è diretta incarnazione ed emanazione. Segue ora l’originale in lingua tedesca, seguito dalla sua traduzione:
- Barbarossa -
Der alte Barbarossa,
der Kaiser Friedrich,
im unterird’schen Schlosse
hält er verzaubert sich.
Er ist niemals gestorben,
er lebt darin noch jetzt;
er hat im Schloß verborgen
zum Schlaf sich hingesetzt.
Er hat hinabgenommen
des Reiches Herrlichkeit,
und wird einst wiederkommen,
mit hir, zu seiner Zeit.
Der Stuhl ist elfenbeinern,
darauf der Kaiser sitzt;
der Tisch ist marmelsteinern,
worauf sein Haupt er stützt.
Sein Bart ist nicht von Flachse,
er ist von Feuersglut,
ist durch den Tisch gewachsen,
worauf sein Kinn ausruht.
Er nickt, als wie im Traume,
sein Aug’ halboffen zwinkt;
und je nach langem Raume
er einem Knaben winkt.
Er spricht im Schlaf zum Knaben:
«Geh hin vors Schloß, o Zwerg,
und sieh, ob noch die Raben
herfliegen um den Berg.
Und wenn die alten Raben
noch fliegen immerdar,
so muss ich auch noch schlafen
verzaubert hundert Jahr»
- Barbarossa -
Il vecchio Barbarossa,
l’imperatore Federico,
in una rocca, sotto terra,
incantato lì sta.
Egli non è affatto morto,
tutt’oggi vive ancora là;
nascosto, in quella rocca,
lì siede a riposar.
Con sé, laggiù portò
lo splendore dell’impero;
torneranno entrambi assieme,
quando il loro tempo verrà.
Lo scranno su cui egli siede
è fatto di bianco avorio;
la tavolata su cui riposa il suo capo
è fatta di petroso marmo.
La sua barba non è certo di lino
ma di rosse braci è intrecciata,
crebbe lungo quella tavolata
su cui il suo mento egli posò.
Annuisce, quasi come in un sogno,
con il suo occhio socchiuso fa cenni;
così, attraverso quel lungo salone,
chiama a sé un fanciulletto.
Seppur dormiente, così gli parla:
«Corri, o nano, fuori da questa rocca
e guarda se per caso i corvi volino
ancora sulla cima della montagna.
Se quegli antichi corvi
ancora stan lì a volare,
allora, incantato, dovrò dormire
per altri cent’anni ancora»
Nel 1824, il compositore Joseph Gersbach (1787-1830) musicò il Lied di Rückert. Sul finire della prima metà del secolo XIX venne improntata una seconda edizione musicale in forma di corale laico a due voci del suddetto componimento; autore della melodia che da lì in poi rimarrà indissolubilmente legata al Lied di Rückert fu il compositore tedesco Friedrich Silcher (1789-1860). Ne segue la prima versione pubblicata nei primi del 1859 da Silcher con il titolo dell’originale, Barbarossa [4]:
Spartito riconvertito dall’autore tramite software di scrittura musicale Finale 2011® |
Sia il Lied di Rückert che le sue due edizioni musicali diedero preziosa linfa vitale a quell’anelito di unità che caratterizzava il panorama politico-culturale dei vari stati tedeschi. Con la capitolazione della seconda Francia napoleonica e la conseguente proclamazione a Versailles, il 18 Gennaio 1871, del Deutsches Kaiserreich con a capo Wilhelm F.L. I der Große, si raggiunse il coronamento del sogno dell’unificazione tedesca, unificazione che venne portata a compimento sotto la guida prussiana del trio ‘Otto E.L. v. Bismarck-Schönhausen, Helmuth K.B. v. Moltke, Albrecht T.E. v. Roon’. In seguito a questa vittoria, il testo del Barbarossa-Lied di Rückert venne ampliato con svariate aggiunte volte a commemorare la rinascita dell’Impero [5].
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[3] F. Rückert, Kranz der Zeit: Band 2, Stuttgart-Tübingen, J.S. Gotta’schen Buchhandlung, 1817, pp. 270, 271.
[4] F. Silcher, F. Erk, Allgemeine Deutsches Commersbuch, Lahr-Leipzig, M. Schauenburg & C. - B.F. Schulze, 1859, pp. 292-294.
La montagna fu sempre e solo caratterizzata negativamente nell’immaginario pre-romantico?
Se così non fosse, è possibile fornire un esempio a sostegno di ciò?
Quanto è importante il contesto ambientale nello sviluppo dell’immaginario pre-romantico riguardante la montagna?
Sono queste le tre domande cui intende rispondere questa tesina, concentrandosi, come si evince dal sottotitolo, sul mondo germanico e sull’idea di montagna come fortezza - in G sost. F. Bergfestung, composto del sost. M. Berg ‘montagna’ e del sost. F. Festung ‘fortezza’.
Verranno trattate fonti del periodo romantico tedesco, fonti novecentesche contenenti leggende d’areale dolomitico e fonti d’epoca medievale d’areale sudtirolese.
Segue ora una legenda delle abbreviazioni usate.
- Abbreviazioni delle lingue:
Arm. ⟹ ‘armeno’
Av. ⟹ ‘avestico’
Du. ⟹ ‘olandese’
E ⟹ ‘inglese’
Far. ⟹ ‘faroese, feringio’
G ⟹ ‘tedesco’
Go. ⟹ ‘gotico’
Hitt. ⟹ ‘ittita’
IE ⟹ ‘indoeuropeo’
Lad. ⟹ ‘ladino’
Lith. ⟹ ‘lituano’
MHG ⟹ ‘medio alto tedesco’
OCS ⟹ ‘slavo ecclesiastico antico’
OE ⟹ ‘anglosassone’
OFri. ⟹ ‘antico frisone’
OHG ⟹ ‘alto antico tedesco’
OIr. ⟹ ‘antico irlandese, goídelc’
ON ⟹ ‘antico nordico’
OS ⟹ ‘antico sassone’
PIE ⟹ ‘proto-indoeuropeo’
Skt. ⟹ ‘sanscrito’
- Abbreviazioni linguistiche:
s.v. ⟹ ‘verbo forte’
‘id.’ ⟹ ‘significato identico al precedente’
Il sostantivo tedesco Berg m. ‘montagna’ presenta un evidente legame etimologico con il sostantivo tedesco Burg f. ‘castello, fortezza, roccaforte’ dovuto alla comune ascendenza di cui Guus Kroonen, linguista e filologo danese, rende conto in tre voci del suo dizionario etimologico della lingua proto-germanica [1], più precisamente *berga-, *bergan- e *burg-. Segue ora la traduzione delle suddette operata dall’autore di questo scritto.
cfr. Kroonen 2013, p. 60:
*berga- m./n. 'montagna' - ON bjarg, berg n. 'id.', OE beorg m. 'id.', E barrow, OFri. berch m. 'id.', OS berg m. 'id.', Du. berg c. 'id.', OHG berg, berag m. 'id.', G Berg m. 'id.' ⇒ *bherǵh-o- (IE) - OIr. bri f. 'collina, piana' < *bhrǵh-eh2-; Arm. barjr agg. 'elevato', Hitt. parku- agg. 'id.' < *bhrǵh-u-; Skt. bṛhánt-, Av. bǝrǝz(ant)- agg. 'elevato' < *bhrǵh-ent-.
Anche cfr. Go. bairgahei f. 'area montagnosa' < *berg-ah-īn-.
*bergan- s.v. 'tenere (al sicuro)' - Go. bairgan s.v. 'preservare, proteggere, tenere', ON bjarga w.v. 'salvare, aiutare', OE beorgan s.v. 'salvare', Du. bergen s.v. 'nascondere; salvare/recuperare', OHG bergan s.v. 'proteggere, nascondere', G bergen s.v. '(con)tenere, recuperare, salvare/recuperare' ⇒ *bhérgh-e- (EUR) - OCS brěšti (brěgǫ) '(pre)occuparsi' < *bhérgh-e-; Lith. bìrginti 'salvare' < *bhrgh-néh2-; OIr. commairge f. 'protezione, sicurezza' < *ḱom-bhorgh-ieh2-.
Dato l’evidente legame etimologico con *berga- 'montagna', è possibile ricostruire il significato originario del verbo come 'posizionare in alto', da cui 'tenere al sicuro', cfr. *burgjan- e *burg-. Eppure quanto sinora detto sembrerebbe improbabile, dato che le velari a-palatalizzate del OCS brěšti (brěgǫ) '(pre)occuparsi' e del Lith. bìrginti rimandano alla radice *bhergh- 'tenere al sicuro' che differisce dalla radice PIE *bherǵh- 'elevato'. Il legame con le forme balto-slave può quindi essere mantenuto solo presumendo che quest’ultime siano dei prestiti dal germanico.
cfr. Kroonen 2013, p. 85:
*burg- f. 'luogo fortificato, cittadina' - Go. baurgs f. 'id.', ON borg f. 'cittadina; cittadella; collinetta', Far. borg f. 'castello; cittadina', OE burg f. 'città', E borough, OFri. burch, burich m. 'castello; città', OS burg f. 'id.', OHG burg f. 'id.', MHG burc f. 'id.' ⇒ *bhr(ǵ)h- (IE).
Nominalwurzel [2] imparentata sia con *berga- 'montagna' < *bherǵh-o- che con *bergan 'tenere al sicuro' < *bhérgh-e-; le sue proprietà formali e semantiche rendono plausibili entrambe le etimologie.
È dunque manifesto come i tre termini proto-germanici *berga- 'montagna', *bergan- 'tenere (al sicuro)', *burg- 'luogo fortificato, cittadina' e i loro discendenti siano fusi fra loro in un’unione linguistica che è sopravvivenza del rapporto felice delle popolazioni germaniche con la montagna, elemento naturale che ai loro occhi incarnava l’idea di protezione e sicurezza.
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