Cerca nel blog

giovedì 29 aprile 2021

Il carme di Ildebrando, l’ipotesi longobarda

Di questo celeberrimo poema è stato scritto moltissimo, meraviglioso esempio di letteratura germanica esso rappresenta mirabilmente uno dei topoi più ricorrenti nelle saghe germaniche ed indoeuropee: l’incontro fra un padre e un figlio che, a causa di un Fato ineluttabile e dei propri doveri tribali di stirpe, sono costretti a combattere fra loro.

L’ambientazione è quella della conquista della nostra penisola da parte di Teodorico, che sarà successivamente ricordato come “il grande”, quello stesso Flāvius Theoderīcus la cui importanza nella storia Patria non è seconda a nessuno dei grandi eroi di cui il nostro passato è costellato e a cui è da attribuirsi la fondazione del Regnum Italiae in forma geograficamente simile a quanto è oggi inteso.

 

Non è dato sapere quale battaglia, fra le molte combattute fra Teodorico ed Odoacre, faccia da sfondo a questo duello, per quanto alcuni indizio, come il fatto che i contendenti si trovino a piedi a fronteggiarsi fra le fanterie (è lo stesso Hildebrand a ricordare quale sia sempre stato il suo ruolo in battaglia “Vagai, per estati e inverni, sessanta, lontano dalla patria; e sempre fui assegnato tra le schiere dei lancieri”) fa propendere per la battaglia di Verona lungo il fiume Adige o per quella di Pizzighettone, nel cremonese, lungo il fiume Adda, sono infatti queste quelle ad aver coinvolto più duramente la fanteria.

Ma quali sono le origini di questo poema? Quale popolo lo ha composto?

L’argomento ha interessato, e continua ad interessare, diversi studiosi, la lingua è sicuramente germanica, e rientra nell’alveo continentale e/o anglosassone ma l’attribuzione è tuttora assai discussa pur essendovi almeno quattro filoni principali per la stessa: quello anglosassone, ormai poco supportato in quanto non presenta altri indizi se non una certa affinità stilistica e lessicale, quello basso-tedesco, quello gotico, anch’esso considerato desueto ed infine quello longobardo bavarese, sul quale verte questo articolo.

I legami fra il Regnum teodoriciano e quello Longobardo sono infatti fittissimi, specialmente in quella che un tempo era detta Langobardia Maior, e ben anteriori alla conquista longobarda della penisola e alla conseguente collaborazione militare e politica.

Oltre ai contatti dovuti alla comune presenza in area danubiana durante il V secolo ve ne sono altri, attestati, di natura genealogica e matrimoniale.
Alboino, il conquistatore d’Italia e primo Re dei longobardi della nostra penisola discendeva infatti per parte materna da Amalaberga, sorella di Teodorico e non è certo un caso che, giunto in Italia, questi si sia stanziato in Verona nel palazzo del proprio celebre parente.

La distanza fra la caduta del regno Goto (553 era comune) e quella della conquista longobarda (568) è infatti minima ed i nuovi dominatori inglobarono fra le proprie schiere non solo i goti già presenti sul suolo italiano ma anche la memoria del loro illustre predecessore e dell’epoca aurea ad esso legata.

L’inserimento del grande Re, e delle sue gesta, fra le canzoni eroiche dovette quindi risultare naturale al fine di garantire, per legami di stirpe, maggior legittimità alla recente conquista.

Il contesto storico culturale, oltre ad indizi linguistici quali il “-brant” presente nei nomi dei due protagonisti e riferibile specificatamente all'antroponimia longobarda e bavarese, è quindi decisamente favorevole e rende questa tesi assai rappresentata oltre che ovviamente affascinante per chi, come me, ha fatto dell’amore per le proprie origini uno dei punti cardine della sua esistenza.

Vi lascio con gli splendidi versi finali del poema, presi dalla traduzione curata dal sito Bifrost (e che potete trovare a questo indirizzo: https://bifrost.it/GERMANI/Fonti/Sapienzatedesca-Hildebrand.html)

 

“Allora scagliarono dapprima

le lance di frassino,

raffiche aguzze

si conficcarono negli scudi.

Poi avanzarono insieme,

spaccarono i ripari decorati,

percossero con violenza

i bianchi scudi,

e le tavole di tiglio

andarono in pezzi

colpite dalle armi…”

sabato 24 aprile 2021

Speranza

Qualche tempo fa, un utente commentò così sotto un post della nostra pagina Facebook:

è proprio dalla lotta contro gli dei che nasce la speranza

Il post era il seguente:
 

La domanda che in me sorse spontanea nel leggere quel commento fu questa:
Quanto senso ha l’asserire che la speranza nasca e che essa nasca proprio dalla lotta contro gli Dèi?
Orsù, scopriamolo assieme.

A parer mio la speranza non nasce, la speranza la si possiede e basta. Anzi, il termine "speranza" presenta un'accezione vaga; è meglio utilizzare il termine "sentimento" dove con "sentimento" si va a definire quella pulsione irresistibile che ci spinge addentro il nostro futuro.
La speranza come viene oggi intesa è menzognera. Il sogno, di questi tempi spesso erroneamente legato al concetto contemporaneo di speranza, diviene ragione di vita e motore delle proprie aspettative e delle proprie azioni. Un tempo il sogno era inteso come esperienza rivelatrice del proprio fato e non come rifugio dalla realtà circostante. La realtà, fosse essa futura o passata, diveniva componente primaria del sogno, ne diveniva oggetto e al tempo stesso soggetto. Il reale e il metafisico erano fusi assieme indissolubilmente nella dimensione onirica del sogno tanto da rendere il confine fra i due indistinguibile.
Il sogno nella società moderna è legato invece al fantastico e all’immaginazione. Il sogno diviene dunque un qualcosa che non è né reale, né metafisico ma puro e semplice canovaccio su cui scrivere un finale alternativo, un esercizio narrativo nato da quella insoddisfazione per il proprio presente che spesso attanaglia l’uomo contemporaneo. Nascono così differenti desideri, differenti aspirazioni che distolgono l’individuo da quel sentire, da quella pulsione irresistibile che ogni individuo dovrebbe seguire.
Nel corso della vita, numerose volte ci siamo sentiti dire frasi all’apparenza fra loro differenti ma in realtà afferenti al tipo standard del «come fai a essere così sicuro del tuo essere?». In un mondo in cui tutto è incentrato sulla relatività del reale e sull’inesistenza del metafisico e dunque sul rigetto del concetto di “unica verità perseguibile ma spesso inconoscibile in quanto posta al di là di ciò che è tangibile”, l’innumerevole schiera di sensazioni e di desideri fa nascere nell’individuo il germe dell’insoddisfazione portandolo sempre più verso l’incertezza. Il “sentimento” di cui si era accennato in apertura viene così dai più confuso con la sensazione, una pulsione più bassa che esige e richiede soddisfazione.
Numerosi membri dell'intellighenzia contemporanea sono poi soliti ripetere che «gli archetipi decadono perché non più utili». Nulla di più sbagliato. Gli archetipi, ossia i valori fondanti di un popolo, vengono meno proprio perché la maggioranza di quel determinato popolo, con il progredire della tecnica e con il sorgere di comodità artificiali, rinuncia al suo essere, divenuto troppo scomodo da portare avanti se posto a confronto con il nuovo stile di vita che gli viene offerto. Gli archetipi vengono dai più abbandonati proprio per soddisfare quelle sensazioni, quelle bramosie passeggere che attanagliano l'uomo contemporaneo. Gli archetipi però restano immutati, sono gli uomini invece a cadere.
Ecco che il tendere verso il proprio fato, ossia il manifestare la propria volontà di potenza a scapito delle sensazioni, è un qualcosa che non ha più posto in un simile schema di pensiero dove la realtà fisica viene mutata in legge assoluta e dove la sua componente metafisica diviene mera superstizione da rimuovere allo scopo di poter meglio soddisfare quelle sensazioni che ci appaiono così reali e tangibili. Le sensazioni restano però semplice proiezione nel reale della propria insoddisfazione, ossia manifestazione delle proprie speranze dettate da un bisogno passeggero, individuale ed effimero, in quanto risultato del modus vivendi dell’individuo che lo prova.
Il Fato a cui sia gli Dèi che gli uomini sono soggetti è invece universale e ineluttabile in quanto fondamento di quel ciclo di eterni ritorni che è proprio del nostro mondo.
In questo ciclo, in questo moto di rivoluzione bisogna “sperare” e confidare.

martedì 6 aprile 2021

Re Penda, completo

Riproponiamo oggi, completo ed in forma di pdf, uno dei primi articoli comparsi su questo blog quasi tre anni fa e dedicata alla figura di Re Penda, campione della fede eterna ed eroe immortale.

https://drive.google.com/file/d/1rEfDyFdfp9XridbTTfDE4JZb-6vLIkCF/view?usp=sharing