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mercoledì 4 marzo 2020

Filosofia e contemporaneità - Parte I

La filosofia, nella contemporaneità, viene il più delle volte intesa come un discorso intorno ad un determinato campo dello scibile umano; in questo senso, diventare un filosofo consiste nell’imparare un linguaggio, una modalità di discorso inserendocisi attivamente e innovandola, a volte radicalmente, o introducendovi una rivoluzione linguistica nella materia di riferimento, oppure mantenendo forme tradizionali sforzandosi d'interpretare i problemi del mondo mediante esse. La filosofia, in questo senso, assume caratteri positivi; nessun filosofo, infatti, a meno di fondare una nuova branca del pensiero o un nuovo discorso su un nuovo oggetto, può fare a meno di inserirsi in un discorso prestabilito, imparandone i termini, la storia dello sviluppo ed esercitando tale stile di linguaggio reinterpretando antichi problemi o affrontandone di nuovi. Egli utilizzerà gli attrezzi dei suoi predecessori ma, una volta terminata la sua opera filosofica, non lascerà il mondo così come lo ha trovato bensì con un’innovazione possibilmente positiva.

La filosofia dunque pare avvicinarsi alla scienza in questo senso, in quanto mezzo di accumulazione di sapere, dove le componenti più lontane col tempo perdono la loro utilità e vengono per questo abbandonate come semplici pezzi da museo divenendo oggetto di studio disinteressato ed inutile, insomma ozioso. La filosofia appare come una scienza del fronte, come una scienza che ha sempre qualcosa di nuovo da dire e che erige immense cattedrali di pensiero sempre pronte a scoprire la propria mancanza di fondamenta e quindi ad essere distrutte o dimenticate in rovina.
Ecco che la filosofia si smembra: uno studioso di Ontologia ha spesso un bagaglio linguistico che si discosta da uno studioso di Etica, il quale a sua volta ha poco da spartire con un epistemologo. Queste branche sembrano poi essere non autosufficienti, tanto che i filosofi che ne fanno parte devono affiancarsi perentoriamente ad altre figure laterali quali neuroscienziati, sociologi, antropologi, biologi. La filosofia, dunque, se intesa come “discorso intorno al reale”, perde la propria identità in quanto superata ed eguagliata da altre figure; essa allora diviene “discorso sulla scienza” o “discorso sul discorso”. Ecco che la filosofia, come nel medioevo cristiano era ancella della teologia, diviene ora ancella della scienza, della giurisprudenza, delle arti; la filosofia non ha la forza di trovare un ambito veramente proprio, una propria identità che sia veramente distaccata ed unica.
Forse, la filosofia dovrebbe coraggiosamente ammettere la propria inattualità, la sua provenienza da un mondo altro rispetto a quello che viviamo; è questo un mondo così remoto che talvolta, se comparato all'odierno, può generare vergogna e repulsione in quegli individui che basano il loro essere su un metro di giudizio contemporaneo ma che certamente prendeva sul serio la bellezza e le passioni molto più di quanto ora si faccia comunemente.
La filosofia, agli occhi di Platone, non era affatto in primo luogo un discorso sulle cose; piuttosto era il discorso sulle cose che sosteneva la filosofia come suo strumento. La filosofia, come traspare dall'etimologia, era innanzitutto una passione, una forma di amore che aveva come oggetto la conoscenza; tale amore, tuttavia, non era affatto una componente metaforica.
Facendo riferimento alla terminologia platonica nel Simposio, la Sophia - che è conoscenza profonda delle cose - era desiderata con una voluttà non contaminata dall’amore Pandemio o Volgare, tipico di quelli che "badan più al corpo che all’anima", bensì  purificata dall'inseguire l’Afrodite più alta, ossia Urania. Il logos, dunque, non si fondava affatto su di sé ma trovava la propria origine nella necessità di soddisfare la più alta fra le passioni umane e, come viene ricordato nel Fedro, richiedeva il superamento del discorso stesso per penetrare nella sfera dei misteri, della follia. Checché ne dica Nietzsche, Platone non era affatto un individuo che odiava il mondo e la vita, anzi aveva fatto dell’amore e della bellezza i propri interessi più alti, tanto da dedicarvi la sua vita e le sue opere più alte: il Simposio ed il Fedro.

Francesco Savini, in collaborazione con le vie di Wodanaz

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