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giovedì 2 luglio 2020

Le vie di Wodanaz due anni dopo, un bilancio


“Phol e Wōtan

cavalcavano verso il bosco.

Allora al puledro di Balder

si distorse un piede.

Allora gli parlò Sinhtgunt,

e Sunna sua sorella.

Allora gli parlò Frīja,

e Volla sua sorella.

Allora gli parlò Wōtan,

come lui sapeva ben fare

per strappi alle ossa,

per strappi sanguinanti,

per strappi di membra:

 

“Osso a osso,

sangue a sangue,

membro a membro,

così tornino uniti”.

(Secondo incantesimo di Merseburgo)

 

Due anni, due anni ed una manciata di mesi, tanto è passato da quando il progetto “Le vie di Wodanaz” si è affacciato nello spesso caotico ambiente della via antica nel nostro paese, in origine come semplice blog di informazione semplice e diretta sugli Dèi e sui nostri antenati ma con già in essere l’ambizione, e soprattutto la volontà, di evolversi in qualcosa di più e di agire concretamente per riportare il culto eterno alla gloria che merita. 
Il blog ha continuato la sua opera arrivando a contare, ad oggi, quasi quattrocento articoli degli argomenti più disparati ed in continuo aumento, esso rappresenta ad un tempo la voce pubblica e l’archivio delle nostre comunità, in special modo di quella attiva nel cremonese che ad oggi conta nove membri e che rappresenta, senza ombra di dubbio alcuno, il risultato migliore che questo progetto ha dato finora. Il fatto che degli uomini liberi decidano in piena Età del Lupo di formare una comunità, di creare legami saldi in un mondo che fa dell’essere liquido, indefinito, la propria essenza non è cosa da poco.


L’individualismo è senza ombra di dubbio un segno dei tempi e l’incapacità di relazionarsi all’interno di ambiti complessi non ne è che la naturale conseguenza, ed esso colpisce duro anche in un ambito, quello sacrale, che al contrario necessiterebbe di fratellanze salde e devote, in gradi di custodire la scintilla del fuoco dei primordi e di formare uomini sani ed in gradi di affrontare il collasso di questa era quando sarà il momento, realtà claniche proiettate in un’ottica tribale che non siano legate a semplici contingenze momentanee ma che possano sfidare il tempo trasmettendo fede e valori ai propri discendenti, unica speranza in questa era crepuscolare.

Eppure pochi, drammaticamente pochi anche fra coloro che si dichiarano tradizionalisti, hanno davvero la volontà, o la capacità, di agire in questo senso. Perché? Ego? Incapacità di trovare altri uomini validi? Boiate, e mi scuserete il francesismo. Boiate. 
Serve volontà, capacità di mettersi al servizio di una causa più alta, di tendere davvero a qualcosa di più, occorre saper dosare modestia e carisma, saper imparare dai propri pari e insegnare loro al contempo, senza queste cose non vi sarà mai quel senso di fratellanza necessario a forgiare un clan, che è qualcosa di molto più alto e sacro che una semplice “compagnia” poiché non si condividono solo esperienze ma anche e soprattutto la devozione ad una causa, la causa divina, sacrale via al quale ogni uomo degno dovrebbe votarsi.

Chi vi scrive svolge una funzione sacerdotale, all’interno del clan, e condivide il ruolo di guida dello stesso, eppure non mi vergogno ad ammettere che per ogni cosa che ho insegnato ai miei ne ho imparate molte altre da ognuno di loro, piccole e grandi, sacre e profane ma tutte ugualmente importanti nel rendermi, giorno dopo giorno, ciò che devo essere.
Formate delle comunità, abbandonate pigrizie e inutili riserve, celebrate gli Dèi e tutto quando vi è ancora di sano a questo mondo e l’ora di Balder giungerà.



Hailaz Wodanaz!

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