Cerca nel blog

sabato 13 marzo 2021

Il segreto del Bosco Vecchio - parte I

Il segreto del Bosco Vecchio è uno dei brevi romanzi scritti nel secolo scorso dall’autore Dino Buzzati e pubblicato per la prima volta a Milano nel 1935.
Opera incentrata su un Leitmotiv che ha dell’ancestrale, quello del metafisico nella natura, Il segreto del Bosco Vecchio si apre seguendo lo svolgersi delle vicende del colonnello Sebastiano Procolo il quale, alla morte di suo zio Antonio Morro, aveva da questi ereditato vari ettari di terreno boschivo da adibire a taglio siti nei pressi di Valle di Fondo assieme al cosiddetto Bosco Vecchio.
 

Fin dai secoli scorsi, tutti si erano accorti che il Bosco Vecchio era diverso dagli altri. Magari non lo si confessava, ma questo era un convincimento comune. Che cosa ci fosse di diverso nessuno però lo sapeva dire.
Fu solo all’inizio del secolo scorso che la realtà venne chiaramente scoperta. Cosa ci fosse di speciale nel Bosco Vecchio lo capì benissimo l’abate don Marco Marioni durante un viaggio in quella vallata. Il fatto non gli parve gran che strano e breve è il cenno da lui fatto nelle «Note geologiche e naturalistiche di un sacerdote pellegrino» pubblicate nel 1836 a Verona.
Sono notizie succinte ma molto chiare:
“Piacquemi, in quel di Fondo, pascere la mia vista di una mirabile visione; visitai una ricca foresta, che quegli alpigiani denominano Bosco Vecchio, singolare per l’altezza dei fusti, superanti di gran lunga il campanile di San Calimero. Come io ebbi a notare, quelle piante sono la dimora dei genî, quali trovansi anche in boschi di altre regioni. Gli abitanti, a cui chiesi notizia, pareano ignari. Credo che in ogni tronco sia un genio, che di raro ne sorte in forma di animale o di uomo. Sono esseri semplici e benigni, incapaci di insidiare l’uomo. Estendersi tale foresta per jugeri...”
[...] Solo i bimbi, ancor liberi da pregiudizi, si accorgevano che la foresta era popolata di genî; e ne parlavano spesso, benché ne avessero una conoscenza molto sommaria. Con l’andar degli anni però anch’essi cambiavano d’avviso, lasciandosi imbevere dai genitori di stolte fole.

- D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio, Oscar Mondadori, Cles (TN) 2010, pp. 18-20.
 

Il resto dei possedimenti del Morro vennero da questi lasciati in eredità al nipote Benvenuto Procolo, orfano di padre e di madre. Per questa ragione, il giovane inizialmente attirò involontariamente su di sé le ire del colonnello, intenzionato a possedere la totalità dei boschi appartenuti al defunto Antonio Morro allo scopo di poterne sfruttare il legname come fonte di reddito. Incurante di come la vita dei genî del Bosco Vecchio fosse legata a quella dell’albero che abitano, il colonnello Procolo iniziò ad operare tagli indiscriminati e più di una volta cercò di liberarsi del nipote tanto da spingere gli animali della foresta a processarlo e la propria ombra ad abbandonarlo [1].

 

Note:

[1]     D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio, cit., pp. 120, 121:

«Colonnello!» disse l’ombra «io ti ho seguito fin da quando eri bambino, non ti ho mai lasciato neppure quando dormivi, ho fatto con te lunghe marce, ho cavalcato vicino a te al galoppo. Anche quando tu non ci pensavi nemmeno, io ti accompagnavo fedelmente. Mi alzavo se tu volevi alzarti, ho fatto sempre il tuo desiderio, e dimmi se mi sono mai lamentata. Un giorno poi tu hai lasciato la divisa; e mi dispiaceva, sai, di non portar più quella sciabola che dondolava attaccata al mio fianco... Eppure ho obbedito in silenzio. Ti ricordi, Procolo, non è vero?»
«Sarà anche» fece il colonnello «ma cosa vuol dire tutto questo? Dove vuoi andare a finire?»
«Hai ragione» sussurrò l’ombra «è meglio parlare chiaro: volevo dirti che ti devo lasciare.»
«Lasciarmi? Cosa hai detto?»
«Ti devo lasciare» ripeté l’ombra «devo andarmene via, perché ti sei disonorato.»
[...]
«Tornerò alla vecchia caserma, lo sai?» proseguì l’ombra dopo qualche istante di silenzio. «Ritroverò il nostro antico reggimento, sembrano tempi tanto lontani. Dovrò rintanarmi in un angolo buio, e andrò in giro soltanto di notte perché nessuno mi veda. Sì, avrei vergogna che mi domandassero: “Ombra, ohi, ombra, dov’è il tuo padrone? dov’è rimasto il signor colonnello?”. Il signor colonnello è finito, dovrei rispondere, ecco quello che dovrei rispondere, la sua sciabola l’ha mangiata la ruggine e di lui è meglio tacere.»

Nessun commento:

Posta un commento