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lunedì 22 giugno 2020

Ketillsaga - parte I

Un rumore cupo di lance e scudi mi risveglia da un sonno agitato; il pallido sole di fine inverno filtra dall’apertura del tetto della vecchia aula.
Styrkar, figlio di Knut, un mio vecchio compagno di tante campagne entra dalla porta principale con passo trafelato.

“Ancora sulla paglia vecchio bastardo? Se non la smetti di bere così tanto farai la fine delle vacche e ci morirai in quel pagliericcio pulcioso” si avvicina tendendo una mano per poi sollevarmi.
“È tornato Ingemar assieme con i dodici uomini che avevi mandato in esplorazione. Stanno arrivando, tre navi”

Tre navi, almeno novanta uomini. Alti Dèi, proteggetemi.

“Sono arrivati tutti?”
“Trentasette uomini in tutto ed una decina di donne in grado di tenere in mano le armi. Possiamo resistere”

Lo spero, vecchio mio, lo spero.

Kettil Hakonson, quel vecchio porco, non ha mai rinunciato all’idea di mettere le mani sulla mia terra ed ora, grazie al denaro del Cristo bianco, ha una possibilità.
Il pazzo blasfemo ha venduto la sua terra a dei monaci, nere formiche che amano il denaro quanto odiano tutto ciò che è bello e nobile, e con quel denaro ha raccattato l’oste che ora scaglia contro di me.
Passo davanti all’idolo di legno del padre del tutto; fu Halfdan, padre di mio nonno, a farlo scolpire.
Halfdan, il nome che la mia famiglia da sempre affida al primogenito.
Halfdan, il nome di mio padre.
Halfdan, il mio nome.

Esco all’aperto e salgo sulla palizzata.
Guardo la mia terra, quella che la mia famiglia si tramanda da generazioni, quella nella quale sono nati e hanno vissuto per poi morirvi tutti coloro che mi hanno preceduto. I miei uomini mi guardano, si aspettano qualcosa da me. Vedo fra loro quattro dei miei figli più giovani, oltre al mio primogenito. Gli altri, i figli di mezzo, sono partiti da anni in cerca di fortuna.

“Kettil Hakonson. Tutti voi conoscete questo nome. Kettil il pazzo, Kettil il porco ha radunato un’oste e sta veleggiando verso di noi con la feccia di questo mondo ad accompagnarlo. Vuole la nostra terra, vuole tutto ciò che abbiamo di più caro per spartirselo con la marmaglia al suo servizio.”

Mi interrompo un istante per osservare i volti dei più giovani, un paio sembrano ansiosi, nessuno è spaventato; nemmeno le ragazze che pure sanno il triste destino che le attende in caso di sconfitta.

Possiamo resistere, dobbiamo resistere.
Quarantasette contro un centinaio, uomini liberi contro mercenari. Non sarà semplice.

“Non serve che vi ripeta quale destino attenderà alle nostre famiglie in caso di sconfitta. Schiavitù, disonore, morte. Ma non accadrà, non finché i nostri cuori saranno saldi e i nostri scudi integri.
Invocate Óðinn.
Invocate Þórr.
Invocate tutti i benedetti.
Solo a loro dobbiamo la nostra libertà e solo loro ce la possono garantire!”.

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