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mercoledì 24 giugno 2020

Ketillsaga - parte III

Passano alcuni minuti. Lo sciabordio delle onde e le imprecazioni nemiche nello scaricare armi e attrezzature sono l’unico rumore udibile. I miei stanno in un silenzio risoluto, al riparo della palizzata. Vecchi e bambini continuano ad accumulare pietre e sassi, guardati con simpatia dai miei uomini. Sono un distrazione più che benvenuta prima di una battaglia e del resto una sasso fa sempre male, chiunque sia a lanciarlo. Faranno la loro parte.

Non mi aspetto che il nemico voglia parlamentare, non vi sono ancora tante ore di luce da rendere consigliabile perdere del tempo, e dubito seriamente che quei tagliagole sentano forte in loro il desiderio di passare un’altra notte al freddo e all’umido lasciando a noi il lusso di un’altra notte nella nostra casa.
Eppure esitano. Sono avanzati di alcuni passi, appena al di là della portata dei nostri archi, ma ora sono fermi e posso vedere il mio antico nemico discutere animatamente con il capo dei mercenari.

Inizialmente non capisco perché non attacchino; sono in superiorità numerica ed i mercenari sono ben armati ma dopo, quasi ridendo, realizzo.
Alla quindicina di anziani e bambini che già si erano uniti ai difensori si sono aggiunte tutte le serve più giovani, una dozzina, armate di tutto ciò che sono riuscite a raccattare. Forconi, coltelli da carne, spiedi e perfino qualche vecchio scudo da allenamento.
Ketill doveva aver detto ai suoi della superiorità numerica ma ora, davanti alla nostra palizzata gremita, non è più così sicuro di ciò.
Rido di cuore dinanzi allo spettacolo di una siffatta oste ferma immobile, impaurita da vecchi e bambini, e subito la mia risata si propaga a tutti i miei. Se prima serpeggiava della paura essa è ormai svanita, ha lasciato il posto ad un sentimento di pura gioia. Sopravviveremo. Ketill cadrà e la sua testa ornerà a lungo la nostra palizzata.

I frisoni, probabilmente punti nell’orgoglio, avanzano con gli scudi alzati mentre alcuni di loro portano due scale ma dopo pochi passi si fermano. Gli uomini di Ketill tentennano e sono rimasti indietro. Si sentono alcune voci urlare ed è proprio approfittando di questa baruffa che i due figli più giovani di Sigurðr scoccano due frecce in direzione dell’oste nemica; la prima si pianta nelle piastre di uno scudo ma la seconda colpisce in pieno collo uno dei mercenari più alti che era girato ad urlare ai propri compagni di seguirlo. Il sangue scarlatto bagna la cotta di maglia ed il possente guerriero dalla barba scura crolla a terra, preso dagli spasmi della morte incombente.

I mercenari indietreggiano nuovamente oltre la portata degli archi, nuova discussione sembra avvenire fra loro ed i famigliari del nostro nemico. Una delle ragazze più anziane inizia quindi a cantare, canta di Rune di guerra e vittoria, subito seguita dalle sue compagne e da parte dei miei uomini. Coloro che non conoscono le parole battono le armi sugli scudi.
Non siamo prede in attesa del fine, siamo uomini liberi, guerrieri che sfidano i loro avversari a farsi avanti e affrontare il proprio destino.

I nostri nemici si riorganizzano e nuovamente si fanno avanti, questa volta con entrambe le compagini affiancate.

“Aspettate!”
Urlo ai miei, già pronti con pietre, frecce e giavellotti.
Il nemico si avvicina sempre più, i bordi degli scudi sovrapposti, un passo alla volta, come un sol uomo. Poi, finalmente, noto il muro di scudi di Ketill scompaginarsi appena. Il suo orto il vecchio Svenn, uomo più smemorato di tutta la fortezza, l’avrà zappato ventisette volte solo negli ultimi dieci giorni. C’è da far inciampare anche chi può guardare dove mette i piedi, figurarsi uomini che devono badare ad un nemico.
“Ora!”
Mi sorprendo ad urlare osservando subito dopo la pioggia di legno, ferro e pietra investire il nemico. È uno spettacolo affascinante. Un solo nemico cade, colpito da un giavellotto, ma molti altri sanguinano colpiti dalle nostre pietre. La formazione è costretta a rallentare, a procedere alla cieca con il viso coperto dagli scudi.

I frisoni, nel mentre, arrivano alla palizzata e issano immediatamente le loro due scale dotate di arpioni; riusciamo a buttarne giù una ma la seconda, i cui rostri sono rimasti ben infissi nel legno ed ormai appesantita dai guerrieri che stanno salendo, si rivela impossibile da rimandare al mittente. Mentre tutti gli altri bersagliano sia gli uomini di Ketill che i frisoni intenti nella scalata guido la mia guardia personale alla scala. Li fermeremo qui.

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