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martedì 23 giugno 2020

Ketillsaga - parte II

L’umore è buono. Gli uomini battono le proprie armi sugli scudi, approvano le parole del loro signore.

Vengono fatti gli ultimi preparativi. La palizzata è solida, ricostruita da un paio d’anni, e sopra di essa si accumulano giavellotti, frecce, pietre e sassi. Anche anziani e bambini fanno la loro parte, portando le scorte di munizioni. Fra i vecchi chi è ancora sufficientemente vigoroso, o disperato, prende poi posizione ed anche un paio dei bambini più grandi fanno lo stesso.
Sarebbe inutile allontanarli, tornerebbero comunque nel posto che si sono scelti.

Saranno qui tra due ore al massimo, c’è rimasto poco da fare se non aspettare e sperare. Dò le ultime indicazioni, poco utili in realtà, ognuno sa quel che deve fare.
Indosso la mia tenuta da guerra, bottino di una guerra antica.
Indosso l’elmo di mio padre, bottino di una guerra antica.
Indosso la spada di mio nonno, più antica di lui, fortificata dal sangue di dozzine di scontri.
“Il fato è inesorabile” amano ripetere gli scaldi. Hanno ragione. Oggi si decide quello della mia gente.

Il suono di un corno mi scuote da questi pensieri, seguito da urla indistinte.

Corro fuori dall’aula seguito da una delle serve che impugna un forcone. Piccola, coraggiosa figlia mia; lo è davvero, temo, almeno se ben ricordo sua madre.
Giungo alle mura domandandomi quale altro tiro mi abbia giocato il Wyrd e rimango di sasso davanti a ciò che vedo.
È Sigurðr il cacciatore, con cinque dei suoi figli e i suoi due servi.
È un uomo della foresta, non soggetto ad alcun signore. Mi domando cosa lo spinga a presentarsi qui oggi, dopo mesi dall’ultima volta che si era presentato per vendere delle pelli di lupo.

Osservo meglio: sono tutti armati con lance dalla punta larga, da cinghiali, e robusti scudi mentre i servi portano arco, frecce e mazze.

“Haldan - esordisce il più giovane dei figli, che conosco bene dato che passa spesso da qui, per bersi una birra o dieci, dopo la caccia - abbiamo saputo che un nemico minaccia le tue terre - si interrompe un istante per sputare, come per rimarcare il proprio disappunto per quell’avvenimento - sei sempre stato un buon vicino, così come tuo padre e tuo nonno prima di te. Ci hai offerto riparo quando richiesto e hai sempre rispettato i nostri territori di caccia, che è molto per questi tempi. Ciò per noi ha un valore.” si interrompe nuovamente per lasciare la parola al padre ed il padre:
“Ti offriamo le nostre armi per questo giorno Halfdan, non vogliamo che uno straniero con i suoi sgherri si metta ben comodo proprio sotto il nostro culo”.

Sorrido mentre osservo la barba striata di grigio del vecchio cacciatore. La vita della foresta è dura e quegli uomini sapranno certo farsi valere.
Non fanno quasi in tempo a prendere posizione che il corno suona nuovamente questa volta per annunciare Bjorn il pescatore, gigante noto in tutta la regione per il suo appetito e la sua forza, giunto con le sue tre figlie gigantesche quasi quanto lui. Vivono sulla costa senza essere sottoposti ad alcuna autorità ed avranno pensato che i razziatori in arrivo non li avrebbero certo risparmiati solo per questo.
Chiedono riparo ed offrono il loro contributo alla difesa.
Sono armati di fiocine e coltello oltre che dei loro muscoli.
Vengono accolti con gioia.

I minuti passano interminabili ed un silenzio surreale avvolge l’intera fortezza, interrotto solo dagli stridii dei gabbiani e dal gracchiare dei corvi. Comunque andrà la giornata prima che tramonti il sole, vi sarà cibo in abbondanza per loro.

Poi compaiono. Tre navi dalla prua decorata con teste di lupo. Ketill il pazzo è visibile sulla prua della prima delle tre. È un uomo anziano ma ancora robusto e la lunga barba grigia copre per metà la scintillante cotta argentata.
Accompagnate da un canto ritmico le tre imbarcazioni arrivano finalmente a riva mentre gli uomini, coperti da giubbe di cuoio o corpetti imbottiti, iniziano a portare a terra il necessario per l’attacco: sei robuste scale, cordame, arpioni e birra. Molta birra.
Ci vuole coraggio per assaltare una palizzata, anche quando si è in superiorità numerica, e la birra aiuta.

Sigurðr che ha la vista fine nonostante l’età mi rivolge uno sguardo torvo.
“Ottanta uomini, precisi come una cagata di falco nell’occhio. Molti avventurieri di mezza tacca, diversi uomini della casa di Ketill e una dozzina di mercenari frisoni - sputa, spaventato - macellai, gente che sa uccidere. Sono loro i più pericolosi”.
“Sono meno numerosi di quanto non pensassi - pronuncio a mezza voce, quasi per rincuorarmi - ma sono più numerosi di noi e quei frisoni sono ben equipaggiati” aggiungo stringendo l’amuleto che porto al collo da quando ho imparato a camminare.
“Non hanno molto cibo - aggiunge uno dei figli del cacciatore - le navi erano colme di uomini e le scale sono alte, robuste e ingombranti. È difficile trovare in questa stagione di che mantenere tutti quegli uomini, senza contare che quei mercenari hanno l’aria di non essere gente che si accontenta di un tozzo di pane e aringhe salate. Attaccheranno e lo faranno subito.”

Annuisco prima di urlare agli uomini di prepararsi, come se ve ne fosse il bisogno.

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