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sabato 21 novembre 2020

Il paganesimo germanico nella musica Rock - parte V

Prima di proseguire il discorso iniziato nelle precedenti parti dell’articolo, e focalizzarsi sui contenuti prettamente spirituali di quei sottogeneri di Rock che trattano di paganesimo germanico, occorre tracciare una breve ma essenziale panoramica sull’ambiente musicale Metal degli anni ottanta, al fine di avere un quadro generale della situazione ed una buona comprensione dell’argomento trattato.
 
I tanto amati “80s” vengono universalmente considerati il decennio d’oro dell’Heavy Metal; oltre al cospicuo numero di band valide che si muovevano nel sottobosco, le classifiche musicali dell’epoca erano intasate da artisti delle varianti più melodiche del genere. 
Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti, dove i già nominati Manowar, pur essendo molto apprezzati e avendo cifre considerevoli in termini di vendite, rimanevano comunque un fenomeno di minore portata rispetto ai connazionali Mötley Crüe, Poison e Bon Jovi, appartenenti ai movimenti Glam, Hair e Pop Metal.
Le motivazioni son da ricercarsi nel tipo di proposta concettuale: la musica suonata dai Manowar in quegli anni, pur non discostandosi troppo in termini di sound da quello dei colleghi succitati (si veda l’album Fighting The World) ed essendo abbastanza fruibile anche dai non-maniaci del Metal, aveva un approccio ideologico decisamente più duro e massiccio; testi inneggianti alla gloria dell’eroica morte in battaglia riscuotevano di sicuro meno consensi rispetto a versi sulla vita facile e spensierata, sugli eccessi alcolici, e sullo sfrenato divertimento sessuale.
Questo e molti altri fattori hanno contribuito alla nascita, nell’ambiente “underground” – dove da adesso in avanti si svilupperanno le vicende di nostro interesse – di una schiera di fanatici sempre più esigenti ed intransigenti, che non accettavano compromessi e che bramavano una forma di Metal il più primordiale, dura e pura possibile.
 
Spostiamo il discorso in Svezia, dove la percezione comune di musica Metal del tempo, rappresentata da degli Europe forti del singolo di successo planetario The Final Countdown, rendeva arduo all’adolescente Thomas Forsberg il reclutamento di musicisti per il suo progetto di musica estrema.
Il progetto aveva nome Bathory, dal cognome della sanguinaria contessa ungherese Erzsébet, e nel 1987 aveva all’attivo tre album dal discreto successo - oggi considerate vere e proprie pietre miliari iniziatrici del movimento Black Metal, di cui si tratterà in maniera approfondita nelle successive parti dell’articolo - dalle liriche che spaziavano dai già noti satanismo e anti-cristianesimo, ai film dell’orrore, all’occultismo ed esoterismo di stampo fumettistico. 
Il giovane Thomas però, che per tutta la sua troppo breve carriera adottò il criptico nome d’arte di Quorthon, incuriosito dalla storia e dalle tradizioni della propria terra, decise di dare una svolta significativa ai propri lavori, sia sul piano musicale che su quello ideologico; svolta riscontrabile sin dalla copertina del quarto album Blood Fire Death (1988), dove al posto delle solite grafiche horror, troviamo il maestoso dipinto Asgardsreien del pittore norvegese Peter Nicolai Arbo, raffigurante la mitologica tradizione europea della “Caccia Selvaggia”, qui capitanata dal dio Thòrr che brandisce il martello Mjollnir.
È facile individuare nei testi e nei titoli delle tracce le nuove tematiche pagane, che in questo primo esperimento affiancano solamente quelle anticristiane abituali.
Essendo Quorthon un artista dotato d’una intelligenza vivace, ha inoltre nascosto un’ulteriore sberleffo ai culti monoteisti nella tracce The Golden Walls of Heaven e Dies Irae: se si legge la prima lettera d’ogni verso dei due testi, nel primo si trova la parola SATAN (Satana) ripetuta otto volte, nel secondo si legge la frase CHRIST THE BASTARD SON OF HEAVEN (Cristo, il figlio bastardo del cielo).

 

Luca Russomanno, in collaborazione con le vie di Wodanaz 

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