Cerca nel blog

lunedì 9 settembre 2019

Il Bushidō - parte II

La stessa vita dei grandi Samurai giapponesi ci fa capire come questa via, pur mantenendo dei punti fissi, fosse applicabile in diversi modi filosofico-operativi dai guerrieri: il grande Musashi per esempio sviluppò una sua ricerca personale alla Via, sintetizzata nei 21 punti del Dokkōdō (Via della solitudine):

"Accettate tutto nel modo in cui esso è";
"Non cercate il piacere in sé e per sé";
"In nessun caso dipendete da una parziale sensazione";
"Pensate leggermente di voi e profondamente del mondo";
"Siatene staccati dal desiderio per tutta la durata della vostra vita";
"Non rammaricatevi di ciò che avete fatto";
"Non siate gelosi";
"Non fatevi rattristare da una separazione";
"Il risentimento ed il rimpianto non sono mai appropriati";
"Non lasciatevi guidare da un sentimento di amore o di lussuria";
"In tutte le cose non abbiate preferenze";
"Siate indifferenti a dove vivete.";
"Non ricercate il gusto della buona cucina";
"Non mantenete il possesso più di quanto sia necessario";
"Non agite seguendo le credenze comuni";
"Non collezionate armi né fate pratica con le armi al di là di ciò che è utile";
"Non temete la morte";
"Non cercate di possedere i beni o feudi in ragione della vostra vecchiaia";
"Rispettate il Buddha e gli dei senza contare sul loro aiuto.";
"Si può abbandonare il proprio corpo, ma è necessario preservare l'onore";
"Mai smarrire la Via".

Si evince un sentiero impervio, difficile, dedicato al distacco e alla ricerca dell’illuminazione attraverso un vero e proprio ascetismo militare che può senza dubbio ricordare la figura dello Yamabushi.
Tutt’altro percorso fu quello seguito da Yagyū Munenori, molto più tradizionale e vicino alla corte e agli ambienti di potere; invece che utilizzare la sua bravura con la spada (ricordiamo infatti che sarà lui a fondare a Edo la branca di una scuola di Kenjutsu, la Yagyū Shinkage-ryū) utilizzò principalmente la sua intelligenza e la sua abilità diplomatica fino a scalare i vertici sociali e diventare fidato consigliere dello Shogun e capo della sua polizia segreta.

Come ulteriore dimostrazione della poca aderenza di questa lista alla realtà, sappiamo benissimo che era usanza dei Samurai provare l’efficacia delle loro spade sui criminali ancora vivi (Tameshigiri) o di effettuare, a battaglia finita, la caccia alle teste (in assenza di queste anche di orecchie e nasi) soprattutto di membri di rilievo del clan avversario per poter essere pagati.
Possibile anche la menzione allo Tsujigiri ossia al diritto del Samurai di uccidere sul posto tutti coloro, di casta inferiore, che avessero potuto mancare di rispetto e offendere l’onore del nobile guerriero; inutile dire che in alcune situazioni la pratica degenerò costringendo l’unificatore del Giappone, Tokugawa, a bandire la pratica nel 1602.
Una casta di “barbari” quindi? Ovviamente no, veniva data un’enorme importanza all’onore e alla rettitudine, qualità fra l’altro necessarie per essere d’esempio ai membri delle classi inferiori e per mantenere l’ordine ma vogliamo solo scoraggiare apertamente qualsiasi visione troppo “delicata” o resa digeribile per il popolo occidentale odierno, ricordando come il dovere principale del guerriero fosse quello di servire il suo padrone e di eliminare i suoi nemici dimostrando fervore e spirito combattivo.
Lo stesso Tsunemoto, cercando molto probabilmente di evitare derive troppo “pacifiche” in un’epoca che non lo permetteva dirà:

“Fino all’età di quarant’anni il samurai non deve lasciarsi sedurre dalla saggezza o dal buonsenso, ma fare affidamento solo sulle proprie capacità e sulla forza di carattere. Più quest’ultima è grande, migliore è il samurai. L’individuo e la sua posizione sociale sono fattori importanti ma anche dopo la quarantina un samurai non vale nulla se non ha forza di carattere”

Saverio Diomedi, in collaborazione con "Le vie di Wodanaz"

1 commento:

  1. Grazie per averci ricordato le massime eterne della Via. Complimenti a Saverio Diomedi.

    RispondiElimina