Cerca nel blog

giovedì 21 maggio 2020

Sentieri Selvaggi: un punto di vista identitario - parte II

Personaggi come Wayne, tipici delle culture Indo-Germaniche, esigono dagli altri, e da se stessi, molta perfezione, tanta nobiltà (interiore) e coraggio. Sono uomini rinchiusi in loro stessi, che preferiscono evitare di scontrarsi con la quotidiana conferma dell'impossibilità di condividere con altri la loro incessante ricerca interiore. Penso fortemente che anche il maestro Ford abbia provato fin nelle viscere questa “condanna”.
L'eroe porta la “linea di Frontiera” sempre con sé, dovunque vada. L'eroe è colui quindi che trova l'equilibrio e lo mantiene, e tuttavia si porta costantemente al limite. L'eroe ridisegna il limite e, per questo, porta e sposta la frontiera, anzi la Frontiera. E tale conquista trova la sua misura nel dolore, nell'immane a cui certi uomini devono tener testa, nelle crudeltà che li attanagliano e a cui reagiscono diventando, a loro volta, crudeli e sapienti. Dal dolore il sapere, dal sapere il dolore. Nonostante ciò, chi si è formato la propria toughness è capace anche di flessibilità e tenerezza emotiva. Chi è attratto da questo richiamo di selvaticità ha sovente una personalità di qualità paterne/materne, in parte patriarchi, in parte presenze protettive, e diviene così una creatura cinica e abbastanza avulsa da qualsiasi contesto.
Il contrasto con gli spazi aperti desertici del film e della wilderness che vedono Wayne stridere nel chiuso, a mio parere trovano la spiegazione in una frase di Rudyard Kipling: «tutto considerato, al mondo ci sono due tipi di uomini: quelli che stanno a casa e quelli che non ci stanno».
Wayne, nel film, appare di fatto apolide, senza patria. Estraneo alla pólis che ha contribuito a fondare combattendo in guerra contro Indiani e Unionisti, egli si ritrova come un identitario di oggi: straniero in casa propria. Il continente che i nostri avi hanno contribuito, nel bene e nel male, a forgiare non ci appartiene più o forse siamo noi che non apparteniamo più ad esso. La Heimat, il luogo d'origine, la Patria (intesa anche come quella interiore): genera come annienta. La lontananza da essa inquieta, ma l'uomo sempre anela al ritorno da essa. Tutti le cavalcate presenti in questa pellicola, sono metafore della vita e della morte. Dallo scarto tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, nasce la spinta a uscire fuori di sé, per scoprire lo "straniero" che è in noi

Alessandro Rossolini, in collaborazione con le vie di Wodanaz 

Nessun commento:

Posta un commento