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domenica 13 settembre 2020

Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa – parte IV

Cambiando totalmente sito geografico, Villar passa ai popolo dei Balti altresì definiti Aestii e Aestiorum Gentes (tant’è che il nome dell’Estonia in lingua estone è proprio Eesti Vabarik), studiati per l’esattezza da parte degli indoeuropeisti sovietici.

Sono importanti sia le invasioni slave sia la cristianizzazione: quella dei prussiani era cominciata nel XIII secolo, ma, siccome erano renitenti alla conversione, fu convocato persino l’Ordine Teutonico. In tal modo fu piegata l’ultima resistenza pagana in Europa.

Il cristianesimo si diffuse fra i popoli slavi tramite l’alfabeto glagolitico (creato da Cirillo e Metodio) e quello cirillico (ideato dai loro discepoli); i popoli slavi, inoltre, si dividono in tre gruppi: meridionale (Bulgaria, Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia), orientale (Russia, Ucraina) e uno a parte che comprende Polonia e l’ex Cecoslovacchia. “Slavo” deriva da “slovene”, nome con cui chiamano se stessi, inoltre sotto Bisanzio furono le vittime del commercio schiavista.

Il popolo più importante nel Nord Europa è di certo quello dei Germani, che, pian piano, raggiunsero la valle del Reno imponendosi contro i Celti; nel 102 d. C. Cimbri e Teutoni affrontarono i Romani ad Aquae Sextiae. La loro letteratura non è da sottovalutare: si noti l’importanza delle “Edde” e delle varie saghe, nonché la traduzione della Bibbia nella lingua dei Goti da parte di Ulfila.

La patria dei Celti, invece, si trova fra il sud-est della Germania, l’est della Francia e la Svizzera: dal 400 a.C. arrivarono in Italia fondando Mediolanum (Milano), ma alla fine scompariranno a causa dell’intervento (congiunto) di Roma e dei Germani. I romani invasero la Gran Bretagna nel 43 d. C. e la divisero in Britannia superiore ed inferiore; Scozia e Irlanda non furono mai occupate. Le lingue celtiche si dividono in continentali (gallico, celtiberico, lepontico) ed insulati (gaelico e brittonico): degno di menzione è l’alfabeto ogamico che è durato dal 300 d. C. fino al V secolo, momento in cui i monaci hanno introdotto quello latino.

Sull’attuale territorio italiano, i romani erano entrati in contatto con i liguri e la completa annessione ci fu solo nel 14 a.C. all’epoca di Augusto. Ovviamente l’Italia stessa ha un posto di rilievo, tanto che Villar le assegna l’intero capitolo dodicesimo. Il tredicesimo, invece, è riservato alla penisola iberica in cui si possono notare sia tracce di popoli non indoeuropei (iberi, baschi, popoli del sud) che di quelli indoeuropei (celti e lusitani).

Altri popoli degni di menzione sono frigi, armeni e tocari. Greci e indiani, già solo per le vicende di evoluzione delle rispettive lingue, occupano un posto di rilievo.

Il volume termina con un’analisi sulla dialettologia, che parte dalla consuetudine per cui si rappresentano le parentele linguistiche come se fossero umane, dunque con gli alberi genealogici. Gli indoeuropei, dunque, venivano dalle steppe russe e lo “smembramento” durò circa 2000 anni. A essi vanno aggiunti quelli di colonialismo ed imperialismo in quanto le lingue indoeuropee approdarono al di fuori delle loro zone tradizionali.

Articolo di Giulia Re

N.B.
Il testo completo dell'articolo è stato già in precedenza pubblicato in due sezioni ai seguenti indirizzi:

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