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lunedì 7 dicembre 2020

Lo scisma dei tre Capitoli. Ostrogoti e Longobardi - parte III

Dacché gli aquileiesi non avevano alcuna intenzione di scendere a più miti consigli con Roma, papa Pelagio I decise di rivolgersi al potere temporale esigendo che sia il metropolita Paolo che il presule Auxano, arcivescovo di Milano che aveva consacrato Paolo patriarcha, venissero arrestati[8]. Grazie alle svariate lettere che inviò alle alle varie autorità temporali, Pelagio I ricevette il pieno supporto del patricius Giovanni di Ravenna, magister militum ed ex-consul, esponente della famiglia imperiale romea e massima autorità amministrativa nella penisola italica per conto di Bisanzio.
Giovanni fallì nel suo intento dacché non riuscì a prendere Aquileia né tantomeno a riportare gli scismatici in linea con Roma; stando ad una lectio delle lettere di papa Pelagio I, Giovanni dopo essere stato scomunicato dagli aquileiesi decise di astenersi da ulteriori operazioni e di lasciare l’incarico prefettizio nelle mani del fratello Valeriano. Pelagio I decise allora di rivolgersi al patricius Valeriano, subentrato al fratello come governatore di Ravenna nel 559, ma questi come anche il suo successore, lo stratēgos autokratōr Narsete vincitore delle guerre greco-gotiche, decisero, forse su suggerimento dello stesso Giustiniano, di non occuparsi personalmente della faccenda lasciandola nelle mani di Giustiniano stesso.
Con la morte di Pelagio I avvenuta nel 560 e la nomina di Giovanni III a vescovo di Roma, la politica della chiesa romana verso la scismatica Aquileia non cambiò affatto; il nuovo pontefice ribadì pubblicamente la validità dei decreti del concilio di Calcedonia ed impose ai nuovi vescovi suoi suffraganei di giurare su questi dinanzi a dei testimoni e di fornire prova scritta di tale giuramento[9]. Non vennero però operate azioni dirette contro gli scismatici in quanto nel 560-61 un contingente romeo, inviato ad Aquileia forse per arrestare il patriarcha Paolo, dovette desistere da questo proposito dacché fu bloccato sull’Adige dai franchi del duca Amingo i quali non vedevano di buon grado le continue intromissioni di Giustiniano nella sfera politico-religiosa della penisola italica.

 
Note

[8] «Reclamava soprattutto che i publici poteri usassero come atto dovuto la loro autorità, ‘exercete igitur debitam auctoritatem’, per stroncare lo scisma in quanto focolaio di sedizione, ‘tanquam seditiosum comprimi’, che minacciava cioè l’unità dello Stato». (G. Arnosti, Venanzio Fortunato, nel contesto dello scisma aquileiese, in «Il Flaminio» n.15, Novembre 2006, pp. 4-5)

[9] «Caeterum periculosissimis temporibus Joannes pontifex animum non depondit, sed et Romanae rei labenti opem ab imperatore petiit, et synodum V defendit. Etenim ii, qui in urbium antistites consecrabantur, in synodi quintae decreta jurabant, fidei datae chirographum ad apostolicam sedem transmittebant». (cifr. Anast., Joannes III, PL128)

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