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lunedì 7 dicembre 2020

Lo scisma dei tre Capitoli. Ostrogoti e Longobardi - parte II

In risposta al sinodo di Costantinopoli, i vescovi dell’Illyricum, sul finire del 548, convocarono un sinodo nel quale una vasta maggioranza di presuli si sollevò contro la condanna che papa Virgilio aveva espresso tramite il Judicatum. Con l’inasprirsi del conflitto religioso Virgilio fuggì a Calcedonia rifugiandosi nella chiesa di Santa Eufemia dalla quale nel 552, pentito delle sue azioni, emise la lettera ‘ad universam Ecclesiam’ nella quale anatematizzava tutti coloro che avessero accettato la condanna dei tria capitula e che avessero seguito i dettami dell’editto giustinianeo del 543. In seguito a ciò, la provincia dell’Illyricum esplose, abbandonandosi a tremendi disordini. Giustiniano ne fece una questione militare tanto da dirottare verso la città illirica di Ulpiana (i.e. Giustiniana Seconda) le armate romee inviate in soccorso dell’alleato longobardo allora attaccato dai Gepidi; inutile dire che i Longobardi vennero lasciati soli a fronteggiare il loro nemico e, sotto Alboino, tennero memoria di questo tradimento. Repressa la rivolta, Giustiniano indisse nel 553 il secondo concilio di Costantinopoli, il quinto concilio ecumenico, ordinando a Belisario di convincere con ogni mezzo papa Virgilio a partecipare. Il concilio si concluse nel 554 con la definitiva condanna per eresia dei tria capitula sotto la guida di Virgilio, che si decise ad emettere nello stesso anno il suo Constitutum nel quale ribadì con veemenza questa condanna.
Di lì a poco l’intera ecclesia occidentale esplose in tumulti, certa che dietro l’ennesimo ripensamento del pontefice vi fosse Giustiniano; i vescovi di Aquileia e Milano sconfessarono gli esiti del concilio del 554 testimoniando la loro cieca fedeltà ai dettami del concilio di Calcedonia in materia di monofisismo. In questo grande caos, alla morte di papa Virgilio avvenuta nel 555, Giustiniano approfittò del vuoto di potere per far eleggere papa quel Pelagio che in passato era stato strenuo difensore dei tria capitula. Salito al soglio pontificio, papa Pelagio I decise di rinnegare la sua pasata militanza nel fronte anti-monofisita arrivando ad appoggiare in toto l’imperatore Giustiniano che conseguì così una duplice vittoria: sul soglio pontificio sedeva un uomo a lui ciecamente fedele, un uomo strappato alla fazione anti-monofisita della quale era stato esponente di spicco.
Pelagio I operò subito di conseguenza inviando il vescovo Sapaudo di Arleate (i.e. Arles) come suo vicario alla corte merovingia del re Childeberto I nella speranza di convincere quest’ultimo ad operare con ogni mezzo contro ogni forma di dissidenza religiosa. Su questo fronte Sapaudo non ottenne molti successi; riuscì invece ad ottenere la fiducia del re austrasiano pro tempore Clotario I, spingendolo ad attirare sotto il suo controllo le diocesi dei Breoni, di Teurnia e di Agunto un tempo sotto la giurisdizione della provincia ecclesiastica di Aquileia nelle Venetiae.
La reazione di Aquileia non si fece attendere. Alla morte del metropolita aquileiese Macedonio avvenuta nel 558, il suo successore Paolo convocò nello stesso anno un «particularem synodum» (cifr. Pelagio I Pap., Epist., PL 69) durante il quale, con il favore incontrastato dei vescovi e del clero delle diocesi della provincia, assunse il titolo di patriarcha proponendosi come capo autonomo della chiesa metropolitana di Aquileia. Lo scisma era compiuto e l’autocefalia da Roma oramai dichiarata.
Lo scisma contribuì con il mai sopito malcontento dell’Italia Superiore verso i romei di Giustiniano e Narsete, rei di aver usurpato il regno ostrogoto, e le crescenti mire espansionistiche franche sul nord della penisola[6] a gettare le Venetiae nell’incertezza. Di questa situazione precaria ne approfittarono molti imperatori romei, fra cui lo stesso Giustiniano[7], sbandierando la questione aquileiese dinanzi agli occhi del pontefice di turno per ottenerne il consenso. 

 
Note

[6] Basti pensare a ciò che accadde sul finire dei dieci anni di interregno ducale seguiti all’omicidio del sovrano longobardo Clefi nel 574; omicidio del quale o i duchi o l’esarca di Ravenna, a quell’epoca ancora sotto il controllo di Bisanzio, furono i mandanti. I duchi, spinti dalla minaccia franco-romea che premeva sui confini, misero da parte le rivalità e, donandogli metà dei loro patrimoni, giurarono fedeltà ad Autari, figlio di Clefi, eleggendolo re nel 584.

[7] «Poiché Giustiniano ormai si proponeva come guida nelle dispute cristologiche, era sicuramente funzionale alle sue aspirazioni l’indebolimento del prestigio delle antiche Chiese patriarcali». (G. Arnosti, Venanzio Fortunato, nel contesto dello scisma aquileiese, in «Il Flaminio» n.15, Novembre 2006, nota 20 pag. 4)

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