«Alcuni avanzi di leggi di un antico popolo conquistatore fatte compilare da un principe che dodici secoli fa regnava in Costantinopoli, frammischiate poscia co' riti longobardi, ed involte in farraginosi volumi di privati ed oscuri interpreti, formano quella tradizione di opinioni che da una gran parte dell'Europa ha tuttavia il nome di leggi; ed è cosa funesta quanto comune al dì d'oggi che una opinione di Carpzovio, un uso antico accennato da Claro, un tormento con iraconda compiacenza suggerito da Farinaccio sieno le leggi a cui con sicurezza obbediscono coloro che tremando dovrebbero reggere le vite e le fortune degli uomini. Queste leggi, che sono uno scolo de' secoli i piú barbari, sono esaminate in questo libro per quella parte che risguarda il sistema criminale, e i disordini di quelle si osa esporli a' direttori della pubblica felicità con uno stile che allontana il volgo non illuminato ed impaziente. Quella ingenua indagazione della verità, quella indipendenza delle opinioni volgari con cui è scritta quest'opera è un effetto del dolce e illuminato governo sotto cui vive l'autore. I grandi monarchi, i benefattori della umanità che ci reggono, amano le verità esposte dall'oscuro filosofo con un non fanatico vigore, detestato solamente da chi si avventa alla forza o alla industria, respinto dalla ragione; e i disordini presenti da chi ben n'esamina tutte le circostanze sono la satira e il rimprovero delle passate età, non già di questo secolo e de' suoi legislatori.»
Queste righe, che altro non sono che l’introduzione del celeberrimo “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, sembrano scritte ieri ed appaiono più attuali che mai.
Sono passati più di dieci anni da quando, adolescente, lessi per la prima volta questo libro di Beccaria, anche se si tratta in realtà di un trattatello, di veloce lettura, nel quale l’autore, fervido seguace illuminista, sciorina quella che è la sua visione del mondo in fatto di leggi, pene e delitti. Ricordo che al tempo, avevo forse diciassette anni, rimasi stupito da come un simile testo, che mi pareva assai semplicistico nelle soluzioni e scialbo nella forma, avesse ottenuto un successo tale in Europa da divenire la base del moderno sistema ma la cosa, come spesso accade con le letture adolescenziali, finì lì e il libercolo rimase per anni dimenticato fino a quando, complice una discussione virtuali con un tizio che idolatra il suo autore (in maniera non dissimile dal fantozziano “è un santo! Un apostolo!”) non mi sono deciso a riprenderlo in mano per una lettura più matura e ragionata. Quello che ho trovato, lo ammetto, ha spazzato via ogni mio dubbio: il Beccaria piace ai post moderni perché egli stesso era, per i suoi tempi, uno di loro.
Vi è nei suoi scritti tutto, tutto il condensato del pensiero unico odierno: “barbarie medievale” opposta al “dolce e illuminato governo moderno”, lecchinaggio dei potenti di turno e disprezzo per le antiche leggi.
Tutto è qui, già esposto, senza orpelli, fin dalle prime righe, oltre due secoli e mezzo fa.
E ancora:
«I giudici non hanno ricevuto le leggi dagli antichi nostri padri come una tradizione domestica ed un testamento che non lasciasse ai posteri che la cura d'ubbidire, ma le ricevono dalla vivente società, o dal sovrano rappresentatore di essa, come legittimo depositario dell'attuale risultato della volontà di tutti; le ricevono non come obbligazioni d'un antico giuramento, nullo, perché legava volontà non esistenti, iniquo, perché riduceva gli uomini dallo stato di società allo stato di mandria, ma come effetti di un tacito o espresso giuramento, che le volontà riunite dei viventi sudditi hanno fatto al sovrano, come vincoli necessari per frenare e reggere l'intestino fermento degl'interessi particolari.»
In questo spezzone, preso dal quarto capitolo del libello qui preso in esame, traspare ancora l’odio feroce dell’autore verso le antiche leggi, definite nulle ed inique, alle quali oppone “la volontà dei viventi”, in maniera non dissimile da come i sessantottini volevano il “tutto e subito” ed i post moderni invocano il “qui ed ora” per ogni loro capriccio.
Vi è poi la stigmatizzazione dei secoli immediatamente precedenti e l’esaltazione della mollezza, prodromi ad ogni culto della debolezza, il tutto in salsa vagamente cristianeggiante:
“Questa è la cagione, per cui veggiamo sminuita in Europa l'atrocità de' delitti che facevano gemere gli antichi nostri padri, i quali diventavano a vicenda tiranni e schiavi. Chi conosce la storia di due o tre secoli fa, e la nostra, potrà vedere come dal seno del lusso e della mollezza nacquero le piú dolci virtú, l'umanità, la beneficenza, la tolleranza degli errori umani. Vedrà quali furono gli effetti di quella che chiamasi a torto antica semplicità e buona fede: l'umanità gemente sotto l'implacabile superstizione, l'avarizia, l'ambizione di pochi tinger di sangue umano gli scrigni dell'oro e i troni dei re, gli occulti tradimenti, le pubbliche stragi, ogni nobile tiranno della plebe, i ministri della verità evangelica lordando di sangue le mani che ogni giorno toccavano il Dio di mansuetudine, non sono l'opera di questo secolo illuminato, che alcuni chiamano corrotto.”
Si passa poi ad attaccare l’onore, parola incomprensibile per l’autore (e, aggiungo, a chiunque non abbia una mentalità realmente sana e tradizionale):
“V'è una contradizione rimarcabile fralle leggi civili, gelose custodi piú d'ogni altra cosa del corpo e dei beni di ciascun cittadino, e le leggi di ciò che chiamasi onore, che vi preferisce l'opinione. Questa parola onore è una di quelle che ha servito di base a lunghi e brillanti ragionamenti, senza attaccarvi veruna idea fissa e stabile.”
Si susseguono poi svariati capitoli più cavillosi e di scarso interesse per questa analisi se per alcuni indizi posti di tanto in tanto in questo marasma giuridico: vengono infatti duramente attaccati i duelli, la proprietà privata (definita come un “terribile, e forse non necessario diritto”) per arrivare infine ad un classico della post modernità, l’odio verso l’istituzione della famiglia e verso la figura del padre, espresso in maniera talmente moderna da parer scritto ieri l’altro su un qualunque giornale progressista:
“Queste funeste ed autorizzate ingiustizie furono approvate dagli uomini anche piú illuminati, ed esercitate dalle repubbliche piú libere, per aver considerato piuttosto la società come un'unione di famiglie che come un'unione di uomini. Vi siano cento mila uomini, o sia ventimila famiglie, ciascuna delle quali è composta di cinque persone, compresovi il capo che la rappresenta: se l'associazione è fatta per le famiglie, vi saranno ventimila uomini e ottanta mila schiavi; se l'associazione è di uomini, vi saranno cento mila cittadini e nessuno schiavo. Nel primo caso vi sarà una repubblica, e ventimila piccole monarchie che la compongono; nel secondo lo spirito repubblicano non solo spirerà nelle piazze e nelle adunanze della nazione, ma anche nelle domestiche mura, dove sta gran parte della felicità o della miseria degli uomini.”
C'è una cosa che questo filosofo non poté comprendere neanche in minima porzione. Ossia la forza delle leggi di natura, che se ne infischiano della benevola tolleranza, della pietà per i falliti, del rancore dei frustrati e incapaci e della sorda indegnità del gregge. Non solo, queste leggi di natura che, se pur non deterministiche in toto, sono di certo assai meno arbitrarie di quanto gli Illuministi vollero farci credere, piegandole ai capricci della borghesia legata al danaro, si modellano al contrario non sulla volontà della "società" ma sulle leggi biologiche e genetiche di stirpe. La riprova che il simile impianto di diritto, nato già tarato e corrotto, nel giro di appena due secoli ha prodotto così tanta malagiustizia (e i danni li constatiamo tutti in ogni momento) e tanto disordine che la civiltà lungi dal prosperare sta collassando ovunque, perché modellata sulle viziose "leggi" illuministe. Come una genia di animali tarati non dura che poche generazioni, trasmettendo e amplificando il vizio della corruzione genetica e dei difetti, così leggi sbagliate hanno prodotto leggi ancora peggiori. Il sistema dei diritti illuminista nato alla fine del Settecento è ora in nera e irreversibile crisi. Le "civiltà borghesi" costruite sulla menzogna dei diritti universali e sulla truffa della ricchezza monetaria stanno collassando ovunque. La natura è spietata e marcia come la Storia con calcagni d'acciaio.
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