Cerca nel blog

lunedì 11 novembre 2019

Sceafa, parte I


In ambito peninsulare vi sono due fonti nelle quali sono riportate le varie figure che regnarono sul popolo longobardo; la più antica fu redatta nel secolo VII da un anonimo ed è nota con il nome di ‘Origo Gentis Langobardorum’ ( i.e. “Origine della stirpe dei Longobardi” che dalle origini arriva a trattare il secondo regno del sovrano Perctarit, nel testo latino Pertarito, del 671-688 ) mentre la più recente risale all’ultima metà del secolo VIII e fu redatta dal longobardo Paul Warnefried, la ‘Historia Langobardorum’ ( i.e. “Storia dei Longobardi” che dalle origini arriva sino al 744, anno della morte del re Liutprand ).
Da entrambi questi “cataloghi” di regnanti longobardi è assente però Sceafa, figura delle origini, che viene invece citata in ambito epico anglosassone - nel poema ‘Widsið’ ( i.e. “lungo viaggio”, è il nome del protagonista dell’opera ) e forse anche nel ‘Beowulf’ - e sembra trovare più di un riscontro nelle genealogie dei re anglosassoni quali il ‘Chronicon Æthelweardi’ ( i.e. “Cronaca di Æthelward”, redatto fra il 975 ed il 983 ) e le ‘Gesta Regum anglorum’ ( i.e. “Gesta dei re Angli”, completato da William di Malmesbury nel 1125 ).
Al fine di comprendere al meglio la figura di Sceafa è necessario compiere un’analisi separata delle fonti sopra elencate in base al genere letterario delle suddette.

Iniziamo dunque con l’analisi dei due poemi epici anglosassoni.
Entrambi i due poemi attingono ad un sostrato di memoria storica proprio dell’immaginario germanico ossia quel periodo di due secoli che va dalle incursioni delle orde unno-alaniche e la conseguente morte del sovrano grutungo Ermanaric - noto come *Aírmanareiks in lingua gota - che nel 375 aveva cercato di opporvisi sino all’inizio della conquista longobarda della penisola italiana operata da Alboin nel 658-659 alla quale avrebbero dovuto partecipare gli stessi Sassoni.

NB. Non è un caso che le fonti anglosassoni facciano menzione di una figura legata all’universo longobardo dacché, come lo stesso Paul Warnefried afferma nella sua opera, il popolo sassone e quello longobardo avevano molto in comune. Basti pensare allo stesso nome longobardo Alboin, composto derivante dai due termini del protogermanico *albiz ( i.e. “elfo” ) e *winiz ( i.e. “amico” ); esso presenta una variante anglosassone, Ælfwine, presente al verso 70 del Widsið.

Nel Widsið viene menzionato un sovrano longobardo noto come Sceafa, nome che sembra avere forti legami etimologici con lo Scēf di cui accenna il prologo del Beowulf. Nonostante questo legame - entrambi i nomi sono legati al sostantivo anglosassone ‘sċēaf’ ( i.e. “covone” ) - alcuni studiosi, fra i quali vi è Alexander M. Bruce, sono inclini a ritenere che Sceafa e Scēf siano due figure distinte; seppur di non secondaria importanza la questione verrà approfondita in seguito dacché ai fini della spiegazione è necessario prima di ogni altra cosa analizzare la datazione e la natura dei due poemi epici.
Il Widsið, databile fra la fine del secolo VI e gli inizi del secolo VI, contiene al suo interno tre ‘þulas’ ( i.e. “cataloghi” ) incentrati sulle figure di re ed eroi fra le quali spicca la figura di Alboin a cui il protagonista accenna nel descrivere la discesa longobarda in Italia della seconda metà del secolo VII. Da qui è naturale affermare che questi þulas vennero progressivamente ampliati nel periodo di poco precedente alla canonizzazione del poema, canonizzazione che sembra coincidere con la messa per iscritto del poema che in seguito a questa si cristallizza. Buona parte dei 143 versi che compongono il poema è senza alcun dubbio antica, difficile è stabilire quanto queste sezioni siano antiche e se queste siano antecedenti o meno al Beowulf; secondo Raymond W. Chambers il primo þula del Widsið - quello che accenna a Sceafa per intenderci - è con buone probabilità il più antico frammento di poesia anglosassone, antecedente di alcune generazioni al Beowulf che egli data intorno al 700. Alla stregua di Chambers, Kemp Malone ritiene che la terminologia arcaica e la struttura sintattica leghino indissolubilmente la canonizzazione del poema alla fine del secolo VII, sul principiare dell’epoca di Bede il Venerabile. Altri studiosi come John Niles ritengono che l’opera sia posteriore al regno di re Ælfrēd il Grande e dunque al secolo IX e che fosse stata redatta come strumento di propaganda al fine di giustificare, mostrando un’origine comune delle genti anglosassoni, l’unificazione dei regni dell’eptarchia anglosassone nel regno di Inghilterra avvenuta nei primi del secolo X. Inutile dire che l’autore di questo articolo rigetta in toto quest’ultima ipotesi e sposa la precedente dacché nessun dotto anglosassone della fine del secolo IX avrebbe potuto falsificare fin nelle minuzie uno stile scrittorio ormai da tempo desueto; anche se così fosse di certo non avrebbe usato uno stile desueto allo scopo di redigere un’opera di propaganda che proprio per questo sarebbe risultata di non facile fruizione per la gran parte della nobiltà anglosassone alla quale, secondo il Niles, tale opera era destinata.
Parte del materiale al quale attinge il Widsið sembra essere più antico di quello del Beowulf; nonostante gli studiosi continuino a dibattere su quale fra questi due scritti sia stato il primo a canonizzarsi in forma scritta, la precedente affermazione ha un elevato grado di veridicità come sostiene lo stesso Chambers nella prima sezione dell’opera ‘Beowulf, an introduction to the study of the poem’.


Bibliografia

- Alexander M. Bruce ‘Scyld and Scef, expanding the Analogues’, 2002
- Raymond W. Chambers “Beowulf, an introduction to the study of the poem”, 1921
https://archive.org/details/beowulfintroduct00chamrich
- John M. Kemble “A Transaltion of the Anglo-Saxon Poem of Beowulf”, 1837
https://archive.org/details/atranslationang00kembgoog
- Kevin S. Kiernan “Beowulf and the Beowulf Manuscript”, 1997

Nessun commento:

Posta un commento