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giovedì 20 febbraio 2020

Relazioni fra lo Studium di Napoli ed il sostrato notarile-giuridico ad esso precedente - Parte II

Corte del katepánō, Bari
Foto di Angelo D'Ambra

1.2 Giudici e notai nella Bari del tardo secolo XII
Alla stregua di quanto detto per i notai, anche per i giudici la conoscenza delle consuetudini locali era un elemento indispensabile nella loro formazione; a queste si aggiungeva lo ius langobardorum dacché, come già in precedenza ricordato, aveva un ruolo di primaria importanza nella vita giuridica di molte parti del meridione[7], tanto da arrivare a fondersi con le consuetudini locali e da rendere la sua conservazione specchio del mantenimento stesso delle autonomie locali. Esempio di ciò sono i baresi Andrea e Sparano, due figure che a buon diritto possono essere definite come giuristi ante litteram dacché autori del Corpus consuetudinum Civitatis Barii[8], opera di trascrizione e rielaborazione delle consuetudini della loro città, basate sul diritto romano e su quello longobardo, e dunque opera pratica e dottrinaria al tempo stesso.
Andrea ( notaio, avvocato della chiesa metropolitana di Bari nel 1202, iudex regalis nel 1208, iudex barensis e magister iustitiarius magne curie tra il 1202 ed il 1210, forse logoteta dal 1211 al 1238 e docente presso lo Studium di Napoli fondato da Federico II ) raccolse gli usi di tradizione latina in un impianto da cui emerge l’approfondita conoscenza del diritto comune, romano e canonico. Sparano ( iudex imperialis nel 1197, sapiens civitatis a capo della curia barese ) compì la stessa operazione sulle consuetudini di origine longobarda pur dimostrando una non trascurabile conoscenza dello ius romanorum.
In una tale fabbrica del diritto, quale era il meridione dell’epoca, la fondazione dello Studium partenopeo da parte di Federico II funse da contenitore per coloro che, fra i periti di diritto, erano forse più sensibili e certamente più lungimiranti nel vedere nel titolo dottorale un’ulteriore occasione per consolidare le proprie posizioni di prestigio, prestigio che però poteva trovare espressione massima esclusivamente all’interno dei ranghi dell’amministrazione statale. 
Non è un caso che nello Studium partenopeo fosse preponderante “lo studio romanistico, in quanto metteva in grado di meglio comprendere, applicare e eventualmente integrare qualsiasi sistema normativo: e questo appare anche nel caso dei maestri di Napoli, che insegnano il Corpus Iuris, e poi glossano il Liber Augustalis, cioè le leggi del regno” ( v. Lidia Capo, Studi sul Medioevo per Girolamo Arnaldi, nota 13, pp. 30-31 ). Non è un caso che la nomina alla carica di magister fosse strettamente condizionata dall’approvazione del sovrano come pure non è un caso che lo stesso Andrea da Bari, forte della sua conoscenza del diritto canonico e di quello civile ( i.e. romano e comune ), diverrà poi magister nello Studium di Napoli.

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  • [7] Si pensi alle città di Bari, Benevento, Salerno, Conversano ed al fatto che sin dai primi anni del secolo XIII nel mezzogiorno fosse attiva una scuola longobardistica ( v. Giosuè Musca, Condizione umana e ruoli sociali nel Mezzogiorno normanno-svevo, nota 121, p. 385 ).
  • [8] La natura del Corpus delle Consuetudini Baresi, messe per iscritto sul finire del secolo XII ma di più remota formazione, è strettamente legata alla storia di Bari, baluardo strategico per i Romei, che sino al 690 era riuscito a resistere agli attacchi longobardi, salvo una breve occupazione ad opera dei beneventani avvenuta all’incirca nel 670. Con il 690 la città entrò a far parte del gastaldato di Canosa dal quale si staccò solo nei primi anni del secolo IX, divenendo così gastaldato autonomo. Bari rimase sotto il principato longobardo di Benevento sino all’847 quando venne presa dai saraceni e divenne capitale di un emirato che resistette sino all’871, quando fu liberata grazie all'intervento dell'imperatore franco Ludovico II coadiuvato dai longobardi beneventani. Tornata nuovamente gastaldato longobardo sotto il principato di Benevento se ne allontanò nuovamente nel Dicembre 876 quando, spinta dalle crescenti incursioni saracene, decise di passare sotto la protezione bizantina, divenendo capoluogo del neonato θέμα di Longobardia e dunque sede dello strategós e, dal 975, del katepánō ( i.e. alto ufficiale bizantino, governatore militare e civile che in questo caso era a capo dell’intera Italia bizantina. L’uso del titolo di katepánō sopravvisse al dominio bizantino dacché fu conservato dai normanni ). “Bari rimase dunque sotto il dominio bizantino per quasi due secoli, sino alla definitiva conquista normanna del 1071” ( v. Francesco Tateo, Storia di Bari dalla preistoria al mille, p. 305 ). La città di Bari è esempio perfetto di quella pluralità di iura tipica del meridione. Seppur tornata sotto l’impero dei Romei con volontaria sottomissione essa non dimenticò le leggi longobarde che, anzi, posero le basi per la sua autonomia. “La città [era] governata da funzionari militari insigniti di vari titoli ma la città non [era] più bizantina: è un possesso, non una parte dell’Impero e questo deve sopportare ciò che era frutto del dominio longobardo.” ( v. Teodoro Massa, Le consuetudini della Città di Bari, p.10 ) I magistrati imperiali erano soliti giudicare secondo lo ius langobardorum solo quei cittadini che fossero di stirpe longobarda mentre la parte della popolazione che viveva secundum legem romanam era giudicata sulla base di questa. Una simile ripartizione amministrativa richiedeva una presenza maggiore rispetto al solo tribunale ecclesiastico vescovile, presenza che venne colmata da un tribunale istituito attorno al katepánō, i cui giudici per necessità pratiche erano edotti sia nel diritto romeo che in quello edittale. Non sorprende dunque come da un simile humus siano potute germinare quella serie di norme consuetudinarie, legate al diritto romano come a quello longobardo, che andarono a formare il corpo delle consuetudini baresi. Quest’ultime sono il principio del moto autonomista che più in là porterà la città di Bari ad acquisire una forma proto-comunale già dal 1113, anno di redazione di un documento nel quale è attestato che a capo della città si trova il vescovo, attorniato da un consiglio totius civitatis. ( v. Teodoro Massa, Le consuetudini della Città di Bari, p.15 ) La stesura delle consuetudini da parte di Andrea e Sparano di Bari presenta al suo interno un elevato grado di fusione fra ius langobardorum e ius romanorum. Soggetti e titolari del diritto erano tutti quei cittadini di fede cristiana che avessero compiuto la maggiore età, identificata da Sparano con la soglia dei quattordici anni per gli uomini e dei tredici per le donne secondo una consuetudine che è, con buone probabilità, da ascrivere all’uso longobardo. Il nucleo di base della civitas era dunque la famiglia, la quale presentava caratteristiche romano-longobarde; al suo vertice vi era il pater familias che esercitava però una paternitas di stampo longobardo in quanto la sua prole femminile era soggetta alla sua autorità anche dopo la maggiore età. È questo un esplicito richiamo al mundio ( v. nota 6 ) che in questo particolare caso risultava moderato dalla natura di domina che lo ius romanorum riconosceva alle maggiorenni; infatti le donne baresi, pur rimanendo legate al suddetto institutum longobardo, godevano di una serie di autonomie fra cui quella di poter scegliere il proprio mundualdo dinanzi al giudice, o di poter nominare in piena libertà i propri esecutori testamentari. Così come nell’ambito del diritto familiare, anche nell’ambito matrimoniale si riscontra una fusione fra ius langobardorum e ius romanorum. Il matrimonio era a tutti gli effetti un contratto con regole patrimoniali ben determinate che venivano sottoscritte dalle famiglie dinanzi a dei testimoni e, soprattutto, dinanzi a dei giudici ( e.g. il meffio, dono che il padre della sposa riceve dal genero in cambio della dote della figlia, il faderfio, lett. “danaro del padre” ossia l'insieme dei beni che il padre assegnava alla figlia in occasione del matrimonio e che appartenevano giuridicamente alla donna, il morgengabe, lett. “dono del mattino” che lo sposo consegnava alla sposa dopo la prima notte di nozze. Son questi, termini dal chiaro etimo longobardo, delle regole patrimoniali che vennero stabilite dall’editto di Rotari del 643 ed in seguito istituzionalizzate nelle Leges di Liutprando ). Non è un caso che il morgengabe fosse, nelle consuetudini baresi, assimilato all’assecuratio dotis di origine giustinianea tipica dello ius romanorum. Essendo le consuetudini delle norme riguardanti il privato, le figure che spiccano nei documenti in cui le consuetudini vennero esplicitate sono il notaio, il giudice ed il katepánō ( i.e. nel periodo della dominazione bizantina spesso queste due ultime figure si sovrapponevano dacché al katepánō spettava anche l’attività giudiziaria che esercitava per delega con l’aiuto di assesores o judices, scelti fra i baresi ed aventi giurisdizione sulla città ); proprio quest’ultima figura perse nel tempo d’importanza divenendo semplice titolo onorifico, interpretazione normanna del ruolo della figura imperiale del katepánō.

Note:
Essendo questa una tesina universitaria svolta per il corso di Storia Medievale III (2019 - 2020) tenuto dalla professoressa Lidia Capo, ne sono vietati l'utilizzo e la condivisione da parte di terzi non affiliati a questo sito

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