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giovedì 20 febbraio 2020

Relazioni fra lo Studium di Napoli ed il sostrato notarile-giuridico ad esso precedente - Parte III

Francesco Jerace
frontone dell'Università Federico II di Napoli
Foto tratta da: http://www.farodiroma.it/federico-ii-inaugurata-la-nuova-triennale-di-biologia/

Capitolo 2: Federico II

2.1 Lo Studium di Napoli

“Con il secolo XIII finiscono un po’ ovunque quei movimenti spontanei che, per assestamenti e migrazioni, avevano fatto nascere dal basso gli Studia [del secolo XII]” ( v. Lidia Capo, Studi sul Medioevo per Girolamo Arnaldi, p. 49 ). Quest’ultimi erano caratterizzati da un'ampia autonomia potenziale che dovette essere normata, tramite statuti richiesti a e/o concessi da poteri esterni, in un sistema organico di autodifesa noto come Universitas, termine dello ius romanorum che designa un insieme di cose e/o di persone strette da particolari rapporti giuridici. Il termine Universitas, subendo una traslazione semantica, venne utilizzato per designare quelle “associazioni costitutive e condizionanti [di quegli Studia altomedievali spontanei di cui Bologna è esempio perfetto]” ( v. Lidia Capo, Studi sul Medioevo per Girolamo Arnaldi, nota 17, p. 32 ).
In un documento del 1225, dunque posteriore di un anno alla circolare salernitana che ne sancì la fondazione, Federico II scelse ripetutamente il termine ‘Studium’ per definire Napoli, rifiutandosi di utilizzare il termine ‘Universitas’. La nascita dello Studium di Napoli, fondazione statale, non ebbe infatti carattere spontaneo come invece era accaduto in precedenza per Bologna, Parigi, Oxford. È dunque naturale che Napoli non riprenda aspetto alcuno delle caratteristiche formali ed organizzative dell’università bolognese. Gli unici elementi comuni sia a Napoli che a Bologna furono i contenuti ed i metodi della scienza universitaria che vi veniva insegnata: i Libri Legales[9] oggetto di studio e di insegnamento a Napoli come a Bologna ( v. Mario Caravale, Diritto senza legge, pp. 112-113 ). “La mancanza di originalità dell'Università di Napoli, dove non si studiava niente di diverso rispetto a Bologna, ... è certo intenzionale” ( v. Lidia Capo, Studi sul Medioevo per Girolamo Arnaldi, nota 13, p. 30 ); lo scopo di Federico II era quello di accogliere le richieste dei sudditi del Regnum offrendogli quanto do
vevano prima cercarsi fuori, soddisfandone così le aspettative[10]. Con lo Studium di Napoli, Federico II venne a creare in territorio partenopeo la versione regnicola di Bologna, caratterizzata da un rapporto gerarchico-piramidale con lo Stato ed il sovrano che ne era il fondatore. Le ragioni più evidenti, già per altro presentate in precedenza in questo testo, poste alla base di una simile fondazione universitaria in un meridione che da poco, grazie alla dominazione normanna, aveva conosciuto il feudalesimo di stampo franco, erano la costruzione di un nuovo ceto di giuristi competenti ed la volontà di soddisfare una giusta richiesta sociale ma, riprendendo le tesi del Colliva, “lo scopo primario nel riprodurre il modello bolognese [nei contenuti e nel metodo della scienza universitaria era] piuttosto quello di sfruttarne le potenzialità antifeudali date dallo studio congiunto del diritto romano e quello longobardo” ( v. Lidia Capo, Studi sul Medioevo per Girolamo Arnaldi, nota 14, p. 31 ). Mentre il primo era utile nel regolare la sfera pubblica, quest'ultimo poteva essere utilizzato in ambito feudale contro il diritto franco su cui si fondava il baronato, nocivo all'autorità regia[11]. I baroni vennero infatti esclusi da molte cariche pubbliche, che furono affidate a giuristi e funzionari legati allo Studium partenopeo, pur mantenendo, per volere esplicito del sovrano, un ruolo militare di prim'ordine, campo nel quale eccellevano. Non è infatti un caso che a Napoli, come già accennato in precedenza, quel diritto afferente al mondo longobardo e raccolto dopo la Lombarda nei Libri Legales ( v. nota 9 ) fosse oggetto di studio e di insegnamento. “Lo Studium non poteva che riuscire utile in questa linea di intervento: […] doveva diffondere una competenza giuridica basata sul sistema romano, utile soprattutto per la coscienza di regno dei funzionari, appunto perché «sistema», unitario concettualmente e ancorato in modo organico a un ordinamento monarchico e non feudale” ( v. Lidia Capo, Studi sul Medioevo per Girolamo Arnaldi, nota 14, pp. 31-32 ). Le potenzialità antifeudali del diritto romano e di quello longobardo si ritrovano poi nelle Constitutiones Melfitane, dove lo ius romanorum fu applicato massimamente nel campo del pubblico mentre quello longobardo nel campo del diritto privato.

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  • [9] Dalla voce Libri Legales in ‘Enciclopedia italiana Treccani’ : Testi di diritto che formavano oggetto di studio e d'insegnamento nelle scuole civilistiche all'epoca del diritto comune. Un noto passo dell'Ostiense (Henricus a Segusio, morto nel 1271) li elencava così: "Et ut breviter comprehendam, in 50 libris Pandectarum, 4 Institutionum, 12 Codicis, 9 Collationibus Authenticorum, Novella, Lombarda, et Constitutionibus feudorum, consistit legalis sapientia" (Summa, proem., § 7). I Digesti eran divisi in tre parti: la prima, detta Digestum Vetus, comprendeva i libri I-XXIV tit. 2; la seconda, Dig. Infortiatum, i libri XXIV tit. 3-XXXVIII; la terza, Dig. Novum, i libri XXXIX-L. Anche il codice era diviso in due parti: la prima, libr. I-IX, formava il vol. che seguiva ai tre del Digesto; gli ultimi tre libri, detti appunto Tres Libri, facevano parte invece del quinto vol., detto semplicemente volumen, insieme con i quattro libri delle Istituzioni e con i nove gruppi (collationes) nei quali furono divise le 97 Novelle che i glossatori scelsero dalle 134 di Giustiniano, e che formavano nell'insieme il così detto Liber Authenticorum, o Authenticum. Questi cinque volumi costituirono quello che i glossatori per primi chiamarono Corpus iuris civilis. Le altre fonti della legalis sapientia erano del tutto estranee alla tradizione romanistica: e cioè, la Lombarda, e le Consuetudines (o Liber) feudorum, raccolta sistematica, fatta da privati giuristi, di testi di diritto feudale d'origine consuetudinaria o giudiziaria o legislativa: la quale raccolta, nella redazione vulgata o accursiana fu glossata nella scuola di Bologna e accolta nel Volumen in appendice all'Authenticum come decima collatioBibl.: F. C. Savigny, Storia del dir. rom. nel Medioevo, trad. E. Bollati, I, Torino 1954, p. 668 segg.; F. Patetta, Sulla introduzione del Digesto a Bologna e sulla divisione bolognese in quattro parti, in Riv. ital. per le scienze gurid., XIV (1892); id., I libri legali e il corredo di un giudice bolognese nell'anno 1211, in Atti dell'Accad. di Torino, L (1914); H. Kantorowicz, Ueber die Entstehung der Digesten vulgate, Weimar 1910; B. Brugi, I libri di studio dei nostri antichi scolari, nel vol. Per la storia della giurispr. e delle Università italiane (nuovi saggi), Torino 1921; E. Besta, Fonti, nella Storia del dir. ital., diretta da P. Del Giudice, parte 1ª, Milano 1923 p. 785 segg. )
  • [10] Hilares igitur et prompti satis ad professiones quas scolares desiderant animentur ( in Fulvio delle Donne, Per scientiarum haustum et seminarium doctrinarum, p. 165 )
  • [11] Per buona parte degli esponenti del baronato, il sovrano non era altro che un primus inter pares.

Note:
Essendo questa una tesina universitaria svolta per il corso di Storia Medievale III (2019 - 2020) tenuto dalla professoressa Lidia Capo, ne sono vietati l'utilizzo e la condivisione da parte di terzi non affiliati a questo sito

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