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venerdì 7 giugno 2019

La sacralità nel mondo Germanico precristiano, parte II

E. Polomé – ÉTUDES INDOEUROPEENNES 1996 Traduzione a cura di Andrea Anselmo pubblicata sul terzo numero della rivista “Polemos” (http://polemos.info/)

In effetti, molteplici oggetti della natura erano imbevuti di sacralità. E i decreti della Chiesa così come gli editti reali impedivano tutte le pratiche cultuali legati ad essi: la admonitio generalis di Carlo Magno mette in guardia contro gli alberi, le pietre o le fonti, circondate di pratiche “stupide” [ubi aliqui stulta luminaria vel alias observationes faciunt].

Il culto degli alberi in particolare era piuttosto antico e le innumerevoli interdizioni dell’epoca cristiana ne indicano una lunga sopravvivenza.
E’ costume del villico germanico piantare presso la sua fattoria un albero protettore del suo clan, di norma un frassino o un tiglio, spesso attribuendo a questo albero delle proprietà magiche o curative.
Occorre forse ricordare l’albero cosmico Yggdrasill? O il tasso presso il tempio di Uppsala secondo la descrizione di Adamo da Brema? L’albero è percepito simbolicamente come il seggio di una divinità come il robur Jovis, quercia sacra che San Bonifacio fece abbattere nelle vicinanze di Geismar. Dall’alta antichità ci derivano i boschetti sacri; citiamo semplicemente il bosco sacro dei Senoni, il castum nemus di Nerthus, la silva Herculi sacra presso il fiume Weser.

La nozione di tempo sacro è più delicata da inquadrare: esiste certamente intorno agli equinozi e ai solstizi dei periodi particolarmente propizi per certe attività rituali come quelle che sopravvivono sotto forma di fuochi di San Giovanni o, fortemente cristianizzate, le dodici notti dal Natale all’Epifania.
Risulta difficile stabilire se il ruolo della luna abbia un senso profondamente religioso nella fissazione della data di importanti azioni quali uno sposalizio o la costruzione di una dimora.

Non c’è propriamente la possibilità di parlare di un culto lunare presso i Germani.
L’astro è una misura del tempo e le sue fasi determinano automaticamente i giorni fasti e nefasti: le matres familiae presiedono alle pratiche divinatorie presso gli Svevi di Ariovisto, consderando la luna nuova come una condizione preliminare ad ogni combattimento vittorioso.
Le notti senza luna sono quelle in cui l’exercitus feralis effettua le sue battute di “caccia” aggirandosi per la campagna, e l’assemblea popolare non si riunisce che que certis diebus, cum aut inchoatur luna aut impletur (Tacito, Germania). Il suo nome germanico *tengaz significa in effetti “momento determinato”.

Nonostante non vi fossero dei “sacramenti” propriamente detti vi erano evidentemente delle importanti cerimonie cultuali, come la celebrazione regolare di un sacrificio umano nel bosco sacro dei Senoni.
Tacito, descrivendone il rito nel capitolo trentanovesimo del suo De Germania, insiste sulla paura rispettosa che circonda il luogo ove la tribù commemora le sue origini mediante un ritorno simbolico ai tempi primordiali in presenza di una ierofania del misterioso regnator omnium deus.
Si è voluto vedere in questa immolazione uno scenario di ripetizione dell’atto creatore per il quale Odino e i suoi fratelli fecero a pezzi il gigante Ymir per costituire l’universo con le parti del suo corpo, ma nulla autorizza questa ipotesi (sic. Nota del traduttore): dopo lunghi dibattiti sull’identità del regnator omnium deus, sembra che A. Lund abbia ragione nel riconoscervi soltanto una divinità tribale dei Senoni.

Il termine sacrificare significa letteralmente rendere sacro e designa dunque originariamente l’operazione rituale per la quale il sacerdote trasferisce una entità del mondo profano all’interno del dominio del sacro; nel caso dell’animale consacrato [ricorderemo come il termine latino victima “animale offerto agli dei” è imparentato con il germanico *widhan “consacrare”; su questo vedi Benveniste], questo consiste in un dare la morte.
A questo riguardo è interessante ricordare che nei dialetti germanici per indicare sia il sacrificio [gotico sauts] sia per l’animale sacrificale [norreno saudrr] viene utilizzato lo stesso termine; l’idea di base essendo la sorte riservata alla carne della vittima che viene fatta bollire in vista di un pasto comune.

La pace segnata dalla cinta sacra è protetta per un potente divieto ed è un grave sacrilegio, punibile severamente, romperlo in qualche modo.

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