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domenica 9 giugno 2019

La sacralità nel mondo Germanico precristiano, parte IV

E. Polomé – ÉTUDES INDOEUROPEENNES 1996 Traduzione a cura di Andrea Anselmo pubblicata sul terzo numero della rivista “Polemos” (http://polemos.info/)

In una comunità dove i valori etici primordiali del contratto sociale sono la lealtà e la fiducia, il rispetto della parola data era sacro il giuramento sanziona queste asserzioni e conferisce loro una garanzia divina.

A partire da Osthoff si è legato il termine esprimente la fedele lealtà (tedesco treue ) al nome della quercia (gr drus) per sottolinearne l’indefettibile fermezza (Benveniste 1973). La pratica del giuramento secondo una istituzione comune a Celti e Germani (antico irlandese òeth = gotico aiths) implica la necessità di portarsi solennemente presso uno spazio speciale riservato a questa intenzione (per esempio il luogo dove nel santuario viene preservato l’anello sul quale si prestava giuramento; poiché la migliore spiegazione del termine si ricollega ad oitos marciare, destinare. In effetti a colui che prestava giuramento era originariamente richiesto di marciare tra le parti di un animale sacrificale immolato per la circostanza (conserviamo anche il tedesco Eidgang e le espressioni russe antiche iti na rotu e il latino ire in sacramentum Benveniste 1973).

Gli ori e i tesori sono ugualmente impregnati di sacralità: dei draghi custodiscono gli oggetti di valore accumulati in diversi nascondigli e delle maledizioni proteggono i metalli preziosi acquisiti indebitamente.
Pensiamo all’anello del nano Andvari e la sua predizione che condanna chiunque lo indosserà, all’omicidio di Hreidmar per colpa dei suoi figli, alla sorte ulteriore di Fafnir e Regin e infine a quel che succede al tesoro di Sigurd, come Snorri lo descrive nel Skaldskapamuil.

Conviene anche menzionare il “fuoco” come fonte maggiore di sacralità nel mondo germanico.
Cesare lo nominava già sotto il nome di Vulcano tra gli dei delle tribù germaniche e se si è molto discusso sulla validità di questa affermazione ne risulta non meno che il fuoco è stato utilizzato, dalla primissima antichità, ritualmente per i sacrifici, nelle procedure di purificazione, per le pire funerarie.
Il focolare domestico simbolizza lo spirito degli antenati nella famiglia e lo si spegne per poi riaccenderlo solennemente quando un membro eminente del clan decede; si impiega a questo fine uno strumento che produce il fuoco per frizione, così come è rappresentato su una delle placche della tomba di Kivik nella Svezia del Sud verso il 1000 a.c. Si utilizzava un fuoco acceso in questo modo per proteggere il bestiame contro le epidemie (inglese niedfyr, antico sassone nôdfiur).
L’ Indiculus superstitionum et paganiarum (manual per la conversione forzata tra i Sassoni promulgato sotto Carlo Magno) lo condanna al capitolo: de fricato igno.
La lunga sopravvivenza di tale credenza è attestata per il decreto di Canuto il Grande contro le superstizioni pagane rivolte al Sole, la luna e il fuoco (come in Cesare) che figurano insieme a fonti, fiumi, rocce e alberi.

Vi è ancora il problema della ierogamia o sposalizio sacro che viene notoriamente evocato a proposito dei rapporti intimi tra Freyr e Gerdr secondo l’eddico Skirnismal, dopo nove notti di febbrili attese, nella boscaglia di Barri, simbolizzante la maturazione del grano (antico norreno barr, grano). Nella sua opera su Ingunar-Freyr F.R. Schrôder considera il germanico *kunjaz come l’equivalente del latino genius nel senso di progenitore e di fatto partner della dea madre. Questo ricorderebbe le speculazioni in merito a Nerthus volendo fare del suo sacerdote un paredro identico ad Attis nel culto di Cibele. Un ruolo simile è spesso assegnato al dio Ing menzionato nei poemi runici anglo sassoni.

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