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domenica 21 luglio 2019

Contro il culto della debolezza



Il disprezzo per la conquista e il disconoscimento della gloria per i conquistatori sono morbi della nostra epoca ma non nascono in essa, anche se sono indubbiamente vezzeggiati e pasciuti dal moderno culto della debolezza.
Già Dickens, in più di un racconto, parla con malcelato disprezzo delle abitudini guerresche della vecchia nobiltà, e lo fa con una stizza tutta borghese, di chi è abituato a comprare e non a conquistare.
Prima di lui altri ancora fecero simili considerazioni, da Voltaire che da buon borghese qual era non sopportava la guerra è le altre opere tipicamente aristocratiche, fino ad arrivare a Montesquieu, membro di quella istituzione indegna che va sotto il nome di nobiltà di toga. Per costoro infatti il progresso “costringe alla pace” in quanto è solo in questa che possono prosperare i mercanti che sono, per costoro, i principali artefici della scambio internazionale ed interculturale da loro visto come avanzamento.
“L'effetto naturale del commercio e' di portare la pace", afferma Montesquieu nel 1748 nel suo “De l'Esprit des loix”.
Il secolo dei lumi ha quindi grandissime responsabilità in questa controesaltazione delle qualità eroiche ma sarebbe sbagliato, e fortemente scorretto, attribuirgli a ogni colpa.

Fin dalle sue origini infatti il cristianesimo ha instillato, goccia dopo goccia, il proprio veleno nella cultura europea, tentando in ogni modo di limitare, quando non propriamente controllare, la sana e naturale bellicosità delle nostre genti.
Queste limitazioni, insieme con l’esaltazione di figure imbelli e passive come quelle di molti santi, ha contribuito molto a formare quella mentalità cenciosa tesa a vedere nella pace, anche nella più disonorevole, sempre e comunque qualcosa di migliore che non nella guerra, una mentalità questa che raggiungere la propria maturazione propria dall’incontro fra cristianesimo e “lumi”, fra pacifismo spirituale e pacifismo politico.

Questo miscuglio letale è poi deflagrato nel secolo scorso dove, a seguito dei due conflitti e della forzata tregua nucleare ad essi seguita l’uomo d’Eurasia, salvo rarissime eccezioni, è stato privato di questa componente terribile e necessario nella propria esistenza.
Agli orrori della guerra ne sono subentrati altri, più sottili e subdoli ma appunto per questo assai più venefici.
La demonizzazione della conquista e la negazione delle enormi capacità necessarie al suo ottenimento si inserisce perfettamente fra queste.

Ovvio che ai cultori della debolezza questo vada più che bene, essi vedono nella dolciosa accettazione di ogni cosa una sorta di virtù, in rispetto al biblico “porgere l’altra guancia”, ma nonostante questo loro desiderio rimane il fatto che l’Europa nasce come terra d’Eroi, non di santi, ed i suoi principi fondatori sono quelli dell’Iliade, non quelli dell’amore fraterno e universale, oltretutto immotivato.
La nostra rinascita non può essere quindi all’insegna della incondizionata pietà cristiana ma deve avvenire sotto l’egida di una dura selezione dalla quale possano risultare le dinastie eroiche del futuro.

Arriverà nuovamente il nostro tempo, un giorno.

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