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martedì 8 gennaio 2019

L'omerico antro delle ninfe

Dal nord, d’altronde, come insegnava la dottrina pitagorica, “si discende”: è dal sud, al contrario, che “si ascende”.

Questa legge è antichissima. Omero, in Odissea XIII, vv. 102 – 112, parla dell’antro delle Ninfe che si sarebbe trovato in Itaca. In tale antro “due sono le porte, / l’una che scende verso Borea è per gli uomini, / l’altra verso Noto, è per gli dèi; per di là / non entrano gli uomini, ché è la via degli immortali”. Porfirio, rifacendosi alla dottrina pitagorica di Numenio di Apamea, ricostruisce correttamente tale antro come simbolo del cosmo: si tratta evidentemente di una di quelle “pietre ciclopiche”, di quei pezzi di ancestrale mitologia muta, di cui parlano Santillana – Dechend, “riciclati” dal parvenu Omero (o chi per esso). Ma cosa sono queste porte? Esse sono le porte solstiziali. Dice Porfirio: “Dato che l'antro costituisce l'immagine e il simbolo del mondo, Numenio e Cronio suo compagno dicono che due sono nel cielo le estremità, delle quali una non è più meridionale del tropico invernale, e l'altra non è più settentrionale di quello estivo. Quello estivo poi è nel Cancro, mentre quello invernale è nel Capricorno. Ed essendo per noi vicinissimo alla terra il Cancro, a buona ragione [il suo segno] è attribuito alla Luna che è prossima alla terra. Mentre il Capricorno, essendo invisibile più del polo meridionale, è attribuito a quello che di gran lunga è il più lontano e alto di tutti [gli astri] vaganti, cioè a Kronos”. I Pitagorici, perciò, sapevano perfettamente di che cosa Omero stesse parlando. La lezione fu ben appresa da Platone, per il quale le anime dimorano sul bordo della Via Lattea e lì, in un luogo meraviglioso, dove si aprono “a poca distanza l’una dall’altra, due voragini sulla terra e, in perfetta corrispondenza, altrettante su nel cielo”, attendono di ascendere all’etere oppure di ricadere sulla terra e reincarnarsi, dopo essere state sottoposte all’esame di una commissione di giudici. Le voragini speculari rappresentano, di nuovo, le due porte solstiziali: l’ascensione avviene attraverso la porta del Capricorno, posta a sud della Via Lattea, mentre la discesa attraverso la porta del Cancro posta a nord di essa. Piccola precisazione: quando si parla di Cancro e Capricorno si intendono i segni zodiacali, non le costellazioni, che rimangono i Gemelli a nord e il Sagittario/Scorpione a sud. Perciò, quando Porfirio dice: “Orbene, il Capricorno e il Cancro si trovano nella Via Lattea, della quale vengono ad occupare le estremità: il Cancro, quella settentrionale, il Capricorno, invece, quella meridionale”, non si deve cadere in fallo. Ovviamente, Omero parla di “uomini” ed “immortali” (da cui gli uomini sono esclusi), non certo di anime, concetto a lui sconosciuto, a dispetto della discutibile esegesi porfiriana sulla figura delle Naiadi; nondimeno, lo scheletro del sistema è lo stesso, e nella sua natura puramente cosmologica affonda le radici nella più antica preistoria dell’uomo: si ascende dal sud e si discende dal nord, assecondando il corso del sole sul cerchio annuale. Alcuni secoli dopo Omero (se si eccettua la parentesi eraclitea, che della “via in su” e della “via in giù”, in fr. 98 Tonelli, dichiara la sostanziale identità, fedele alla propria visione panica del cosmo), Parmenide ritornerà a parlare di queste porte, a guardia delle quali troverà Dìke “che molto punisce” (si tratta, come ben nota Giovanni Ferrero, della personificazione del coluro solstiziale), recante “le chiavi alterne”, la chiave d’oro della porta del Capricorno, e la chiave d’argento della porta del Cancro."

A. Casella, "Alle radici dell'albero cosmico"

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