Questo articolo, preferisco metterlo in chiaro fin da subito, non è un articolo accademico, è piuttosto una riflessione spontanea, frutto di letture e birra, e spero che la prenderete, e la gradirete, come tale.
Partiamo da un assunto: sappiamo poco, pochissimo, su quanti ci hanno preceduto e sul loro rapporto con gli Dèi, riusciamo a spingerci, neppure troppo agevolmente in realtà, fino ad alcune migliaia di anni fa ma nulla di più, dei nostri antenati più remoti, della stragrande maggioranza di loro, non sappiamo che informazioni frammentarie, in grado di dirci qualcosa sulla loro vita quotidiana ma pochissimo su quella che era la loro spiritualità.
Come vivevano il loro rapporto con gli Dèi? Con quali nomi li chiamavano? Con quali riti li onoravano?
Gli Dèi già allora accompagnavano il nostro incerto incedere, donandoci guida e istruzione, fornendoci le armi, spirituali prima che fisiche, necessarie a vivere e prosperare.
L’archeologia, l’arte e l’antropologia possono darci alcune vaghe risposte, ma nulla posso innanzi ai grandi interrogativi.
Che fare quindi? Come agire per riscoprire la spiritualità di quanti ci hanno preceduto?
Calcare le loro orme, vivere oltre il nostro tempo.
Le risposte sono là fuori, fra boschi e acque, fuoco e legno.
Non nei libri, non nella civitas.
Io sono un lettore, lo sono sempre stato, ma sono consapevole che essi sono solo uno strumento, un modo per prepararsi.
Ciò che più conta l’ho scoperto seguendo corvi e falchi, camminando fra foglie e rami secchi.
Questa non è un’epoca di libri, e vi invito a diffidare di chiunque affermi il contrario.
Il pensiero senza azione è indecisione, e gli Dèi non amano coloro che esitano.
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