D’improvviso un corno emette un lungo lamento modulato ed uno dopo l’altro i carri da guerra, guidati da quello del loro comandante, si dirigono verso il nemico sul quale scaricano giavellotti e frecce, uccidendo una manciata di grassatori ma ferendone a decine.
La reazione di questi è tanto folle quanto prevedibile, presi dalla rabbia caricano i carri, con il solo risultato di stancarsi, subendo oltretutto perdite consistenti.
Altri quaranta briganti rimangono nel deserto trafitti da steli dalle punte di bronzo mentre quasi un centinaio zoppicano o perdono sangue, alle prese con varie ferite mentre il panico, sinuoso e sottile come una vipera di montagna, inizia a serpeggiare fra le fila di quella marmaglia che ebbe l’ardore di considerarsi esercito, un sentimento sottile come un rivolo d’acqua che cola da una chiusa ma pronto ad ingrossarsi come un fiume in piena.
I briganti arrancano, si stringono come pecore circondate da lupi in un crepaccio mentre i carri, sapientemente guidati, continuano il loro percorso di morte. Frecce e giavellotti fanno il proprio mestiere e se ancora pochi sono i caduti, forse un centinaio abbondante, molti di più sono i feriti e colore che hanno perso la volontà di combattere.
Alaksandu, lancia l’ultimo dei propri giavellotti e ne approfitta per valutare la situazione dello scontro.
Una carica ora potrebbe spezzare la volontà del nemico che rimane tuttavia più numeroso, anche una vittoria totale potrebbe risultare troppo onerosa in termini di perdite.
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