Cerca nel blog

mercoledì 22 maggio 2019

Il sacro-popolare e militare nel Giappone Feudale, parte I

Tra l’inizio e la fine di quel periodo di violentissima guerra totale nel quale sprofondò il Giappone (il famoso periodo Sengoku o periodo degli stati belligeranti) avvenne nello stesso un fenomeno del tutto nuovo nella terra del Sol Levante e che porterà non pochi problemi alle ambizioni della classe guerriera-aristocratica guidata dai Daimyō.

Il clima di estrema violenza infatti fece si che scoppiassero delle rivolte intente a minare il tradizionale ordine sociale Giapponese; queste rivolte (poi unitesi in un'unica fazione chiamata “Ikkō-ikki”) furono l’unione di due istanze separate: quella dei Samurai poveri e provenienti dalle campagne (I Jizamurai) che nel XIII sec. formarono la loro lega (Ikki appunto) per la difesa dei propri interessi economico-sociali minacciati dalla classe urbana e aristocratica e quella del clero militante incarnato principalmente nella setta “Ikkō-shū”.

La figura del monaco-guerriero, molto cara all’occidente con i famosissimi ordini cavalleresco-religiosi (impersonati principalmente nella cultura generale dall’ordine dei cavalieri Templari, cavalieri Ospitalieri e dai minacciosi cavalieri Teutonici) non fu però un’esclusiva dei popoli Europei ma prese piede anche nella terra del Sol Levante con due tipi principali di monaci-militanti: gli Yamabushi (colui che si nasconde nelle montagne) e dai Sōhei (monaco-guerriero).

La leggendaria figura dello Yamabushi (o Yamaoshi) è sicuramente una delle più interessanti nel panorama bellico Giapponese, gli stessi infatti erano costituiti da un insieme di monaci eremiti che viveva nelle montagne in cerca di poteri mistico-sovrannaturali attraverso la dottrina dello Shugendō e di varie pratiche ascetiche (possiamo ipotizzare una quasi certa derivazione asiatico-sciamanica e tantrica). La loro ricerca (shu) del potere (ken) venne a fondersi in una via Dō) che verrà poi rinominata Shugendō (la via ai poteri sovrannaturali). Questa pratica esoterica non ha un fondatore storicamente accertato ma lo stesso viene fatto ricadere sulla mitica figura di En no Gyōja, simile al nostro mago Merlino appartenente al ciclo Arturiano.

Si pensa che visse all’incirca nella seconda metà del settimo secolo, che fosse un laico Buddhista e che praticasse la magia; i suoi servigi e quelli dei suoi discepoli (kenja o kenza, traducibile come “maghi”) erano molto richiesti e rispettati e venivano interpellati per questioni relative alle guarigioni, predizioni del futuro e come medianisti (miko).

La loro dottrina quindi era un sincretismo tra la fede Shintoista e il Buddhismo esoterico(Shingon) o della scuola Tendai. Queste due dottrine infatti prevedevano la solitudine e la pratica di discipline esoteriche (mykkio), nel Tendai solitamente più lunghe mentre nello Shingon più veloci ed immediate come nel Buddhismo Tibetano o Vajrayāna, per cercare di arrivare all’illuminazione in questa stessa vita. Entrambe le sette consideravano la montagna come il luogo migliore per l’attuazione di queste pratiche ed è così che gli Yamabushi vennero spesso ad unirsi e ad associarsi agli stessi monaci Buddhisti locali.

Saverio Diomedi, in collaborazione con "Le vie di Wodanaz"

Nessun commento:

Posta un commento