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venerdì 10 maggio 2019

Il selvatico dentro di noi

“Ego sonto un homo salvadego per natura, chi me ofende ge fo pagura” (Sono un uomo selvatico per natura, a chi mi offende faccio paura) frase in dialetto orobico presente in un affresco su un edificio del XV secolo situato a Sacco di Cosio Valtellino raffigurante, appunto, un uomo selvatico.

Il progresso ha portato vantaggi in moltissimi aspetti della vita. Senza di esso non potrei scrivere questo articolo, sarebbe difficile comunicare con persone lontane, ora c’è la possibilità di cercare ciò che si vuole con un semplice “click” (ma anche di finire per il medesimo motivo vittima di ciarlatani presenti nel web) e con il passare del tempo la medicina ha fatto passi da gigante migliorando la condizione di vita di ognuno di noi.
Da una parte abbiamo malattie debellate e l’alfabetizzazione in netto aumento (basti pensare ad un confronto con gli inizi del secolo scorso) ma dall’altro lato vi è il rovescio della medaglia: patologie prima quasi inesistenti, una di queste la depressione, sono protagoniste della società occidentale sempre più frenetica e infantile, L’ omologazione culturale con la conseguente distruzione di quel ricco bagaglio storico che ogni nazione, ogni singola città e quindi ogni singolo cittadino si porta dietro. Vi è poi la perdita di contatto con la terra e con i relativi benefici che da essa si possono trarre, completa delegazione del lavoro alle macchine e mentalità industriale con sprechi annessi (non mi sorprende se un bambino pensasse che il cibo sulla tavola venga “creato” direttamente in un supermarket e non dal sudore di un allevatore o un contadino).
Questa vita comoda va a creare una mentalità che rigetta qualsiasi cosa non venga ritenuta giusta, spesso perché presenta retaggi antichi o va semplicemente al di fuori della bolla di sapone fatta di una finta bontà e di uno sterile e incoerente pacifismo. È così che i benpensanti, vera milizia pezzente dei nostri tempi, condannano alla gogna mediatica ogni forma di dissenso che possa scuotere le loro esistenze vacue.
Con il passare del tempo sembra che gli umani abbiano dovuto indossare una maschera per essere eticamente accettati dagli altri, rinnegando ciò che c’è più di naturale in questa terra di mezzo, come il farsi una famiglia, essere attaccati al suolo o semplicemente a un’idea che non riguarda puramente qualcosa di materiale ed essere di conseguenza definiti degli esaltati.
A tutto ciò si contrappone l’uomo selvatico che in misura più o meno grande è presente in tutti noi.
L’uomo selvatico nel medioevo era descritto come un uomo molto peloso che viveva emarginato dalla civiltà (spesso per scelta propria), dotato di conoscenze che gli consentivano di vivere in natura e usufruire dei prodotti della terra cosa che era difficile per i civili.
I contadini e i pastori imparavano molti segreti ma quando era in procinto di svelargli quelli più importanti diventava vittima di qualche scherzo e preso in giro faceva ritorno alla sua vita solitaria.

Condurre uno stile di vita del genere è improponibile, a meno di non voler rigettare completamente la civitas, ma ciò che voglio evidenziare e come l’essere umano sia stato sempre trascinato da due correnti opposte, da un lato avevamo lui con i suoi segreti e la caverna in cui abitava, dall’altro i suntuosi castelli e gli affreschi; ciò spiega il fascino che ognuno di noi prova nello stare in un bosco o vedere una cascata e allo stesso tempo coltivare passioni del tutto diverse come quella automobilistica per esempio.
Non si tratta di fare una scelta tra le due vie, occorre vivere del proprio secolo, ma di conciliarle nel rispetto di entrambe creando un equilibrio dove possono dare il loro massimo.
È in questo, anche in questo, che rinasce lo spirito tribale.

Fonti: Medioevo misterioso n.7 pp 71-75.

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