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domenica 12 maggio 2019

Monachesimo innaturale, parte II

Monachesimo occidentale

Quando le Regole di Pacomio e di Basilio di Cesarea vennero introdotte in occidente assieme con la ‘Vita Antonii' ed attraverso le traduzioni in latino portate avanti da personalità nell'universo cristiano che avevano conoscenza diretta delle esperienze monastiche orientali, i testi originari subirono una reinterpretazione in chiave occidentale donando così al nascente monachesimo della Pars Occidentis dell'Impero dei caratteri nuovi. A differenza del monachesimo orientale dove oramai lo strumento normativo della Regola si era da tempo affermato, il monachesimo occidentale dei primordi presentava un'estrema fluidità di forme; mentre in oriente il monachesimo aveva attecchito fra le classi meno abbienti e più rissose - basti pensare ai monaci ‘parabolani' di Alessandria d'Egitto, vera e propria milizia armata di estrazione popolare creata dal vescovo Cirillo, che nel 415 si lasciò andare a soprusi e violenze fra le quali l'uccisione di Ipazia - in occidente il fenomeno sembrò riguardare membri dell'aristocrazia senatoria, dapprima le donne poi in seguito anche molti uomini.
Le prime aree dell'occidente in cui il monachesimo germinò furono l'Italia e la Gallia meridionale in quanto quest'ultime erano le regioni più cosmopolite della Pars Occidentis dell'Impero. Tra il 350 ed il 370 tre nobili vedove romane - Marcella, Paola e Melania - decisero di tramutare le loro case in una sorta di monasteri domestici dove si dedicavano al digiuno, alla preghiera ed allo studio attività che di norma erano precluse alle donne per le quali la vedovanza era solitamente condizione temporanea in vista di un nuovo matrimonio che potesse ristabilire l'ordine familiare e che potesse offrire al nucleo familiare un nuovo amministratore dei beni materiali. Ecco che l'ascesi andava così a configurarsi come perfetta via di fuga dai vincoli e dagli obblighi familiari per queste nobili vedove, le quali davano scandalo dacché spezzavano l'asse patrimoniale alienando i beni della famiglia a favore dei poveri in una forma malsana di evergetismo. Attorno al 370 sulla scia di questa prima esperienza un gruppo di giovani donne fra le quali vi era anche la figlia di Paola, spinte dal vescovo Ambrogio, decisero di rinunciare al matrimonio e di dedicarsi ad una vita di castità scatenando la riprovazione dei loro stessi familiari i quali si videro mancare da un giorno all'altro un anello importante sul quale l'ordine familiare si basava.
In questo panorama fu Gerolamo, colui che tradusse nel 404 la Regola di Pacomio, il più acceso propugnatore della verginità femminile come condizione prossima alla perfezione minando così il fondamento stesso dell'essere umano, il nucleo familiare. In una lettera del 384 indirizzata alla figlia di Paola, Gerolamo dichiarò con freddo cipiglio calcolatore che nell'aldilà la ricompensa delle vergini sarebbe stata di cento beatitudini, quella delle vedove settanta, delle maritate soltanto trenta.
Uno dei primo casi documentati di comunità maschile in forma cenobitica fu quella di Martino, ufficiale dell'esercito imperiale sul Reno che una volta divenuto vescovo della diocesi di Tours in Gallia fondò un monastero a Marmoutier. Lì attorno a lui si radunarono uomini di buona famiglia e di cospicue fortune la cui ansia di mortificazione della carne li spinse acriticamente a spendere una mole ingente di denaro per l'importazione dal lontano Egitto di abiti rigorosamente in lana di cammello dacché la lana locale era per questi signori evidentemente tropo poco mortificante; invece di concentrarsi sulla sostanza essi si concentrarono sulla forma rifiutando di svolgere lavori agricoli i quali vennero affidati a contadini e braccianti.
Nella ‘Vita Martinii' scritta nel 396 da Sulpicio Severo si narra poi di come Martino si diede ad un'intensa opera di conversione forzosa ai danni dei seguaci degli antichi culti, spinto da proprietari terrieri i quali volevano ampliare la loro sfera di influenza socio - economica; molti templi e santuari vennero rasi al suolo per mano di Martino primo monaco nella Pars Occidentis ad essere nominato vescovo per i suoi “meriti”.
L'esperienza del cenobio di Marmoutier fu lodata da Gerolamo e dallo stesso Sulpicio Severo i quali si resero vessillo vivente di quell'uso che presto divenne tradizione ben radicata secondo il quale il monaco doveva rifiutare qualsiasi tipo di lavoro, soprattutto se manuale, per potersi dedicare interamente alle lodi del Padre che “nutre gli uccelli del cielo i quali non seminano, non mietono, non raccolgono in granai; non valete voi molto più di loro?” (Matteo 6, 26).

Fonti:
- Storia del monachesimo medievale, Anna M. Rapetti

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