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mercoledì 13 febbraio 2019

La società tribale, locale e rurale ed il centralismo

La storia dei popoli indoeuropei, da quando ne abbiamo notizia ad oggi, ha sempre seguito tre fasi distinte, questo ovunque vi sia stato stanziamento degli stessi.

Prima fase: tribalismo.

Organizzazione stanziale, agraria e incentrata su piccole comunità rurali autonome, guerre numerose ma limitate nel loro potenziale distruttivo, fatte al più di razzie e schermaglie ma non onnipresenti nella vita degli individui.
Questa fase è caratterizzata da un forte radicamento e da una sana resistenza ad ogni genere di cambiamento, sia esso religioso o sociale.
È in questa fase che l’uomo valoroso può espletare al meglio i propri doveri innanzi agli Dèi e alla propria gente ed è in essa che si può garantire una vera continuità rituale e sacrale.

Seconda fase: centralismo.

La crescita di un potere centrale minaccia le comunità locali, questo processo è spesso accompagnato (e causato) da influenze esterne ed estranee alla natura dei popoli indoeuropei (si veda l’influsso etrusco sui latini, o quello cristiano/francone sui germani settentrionali).
Prima con blandizie e inganni poi, una volta indebolita la struttura della società, con la forza il potere centrale si impone e tenta di distruggere quanto vi era prima di lui.
Al sacro culto degli Dèi, degli antenati e degli spiriti si sostituisce una statolatria innaturale e profondamente contraria alla natura umana, la fede si indebolisce ed inizia un processo di secolarizzazione che conduce al nichilismo e ad una crisi spirituale diffusa e tangibile.
L’uomo si allontana dagli Dèi, questa lontananza genera mostruosità di ogni genere.

Terza fase: decadenza.

La perdita di valori di cui sopra porta alla rovina di quanto vi sia di più sacro e vero, l’uomo non chiede più istruzione e guida agli Dèi immortali ma, tronfio ed incapace di comprendere ciò che lo circonda come una gallina dopo un pasto, ritiene di poter bastare a se stesso e di poter rispondere autonomamente alle domande che la vita gli pone.
Si tratta, ovviamente, di illusioni, nemmeno troppo pie, il risultato è ovviamente disastroso e si rivela in tutta la sua pochezza: essere perduti, senza guida ne saldezza, che si attaccano a piaceri effimeri e ad ogni genere di bassezze pur di non pensare alla propria, inevitabile, fine.
Tremebondi e imbelli si attaccano a tutto ciò che può dare loro una illusione di salvezza, si tratti di mercanti d’anime orientali o venditori di spiritualità un tanto alla lira.

Allo stesso modo, e per le stesse motivazioni, diventano tolleranti, pronti ad asservirsi al primo straniero che passa, tutto pur di poter mantenere le proprie confortanti visioni di un mondo buono, pacifico e coccoloso.
Negare la realtà, o maneggiarla a proprio uso e consumo, diventa la norma, almeno per quel tanto o poco che questa società dura.
Segue quindi la caduta e sarà tra le rovine che nasceranno nuovamente uomini degni.

Per questo abbiamo bisogno di una tribù, tutti noi. Abbiamo bisogno di confronto fra pari, in assemblea e sul campo, di discussioni e bevute, di lavoro e collaborazione.
È solo nella comunità rurale che è possibile trovare ciò di cui davvero abbiamo bisogno.

Lo stato non è una risposta, o meglio, è una risposta farfugliata data ad una domanda tremebonda.
Noi non vogliamo rispondere alla decadenza con una realtà ugualmente destinata a cadere, vogliamo lottare per ciò che realmente vi è di sacro ed eterno.

Serviamo gli Dèi, la nostra tribù e la nostra famiglia, nient’altro.

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