Prima fase: tribalismo.
Organizzazione stanziale, agraria e incentrata su piccole comunità rurali autonome, guerre numerose ma limitate nel loro potenziale distruttivo, fatte al più di razzie e schermaglie ma non onnipresenti nella vita degli individui.
Questa fase è caratterizzata da un forte radicamento e da una sana resistenza ad ogni genere di cambiamento, sia esso religioso o sociale.
È in questa fase che l’uomo valoroso può espletare al meglio i propri doveri innanzi agli Dèi e alla propria gente ed è in essa che si può garantire una vera continuità rituale e sacrale.
Seconda fase: centralismo.
La crescita di un potere centrale minaccia le comunità locali, questo processo è spesso accompagnato (e causato) da influenze esterne ed estranee alla natura dei popoli indoeuropei (si veda l’influsso etrusco sui latini, o quello cristiano/francone sui germani settentrionali).
Prima con blandizie e inganni poi, una volta indebolita la struttura della società, con la forza il potere centrale si impone e tenta di distruggere quanto vi era prima di lui.
Al sacro culto degli Dèi, degli antenati e degli spiriti si sostituisce una statolatria innaturale e profondamente contraria alla natura umana, la fede si indebolisce ed inizia un processo di secolarizzazione che conduce al nichilismo e ad una crisi spirituale diffusa e tangibile.
L’uomo si allontana dagli Dèi, questa lontananza genera mostruosità di ogni genere.
Terza fase: decadenza.
La perdita di valori di cui sopra porta alla rovina di quanto vi sia di più sacro e vero, l’uomo non chiede più istruzione e guida agli Dèi immortali ma, tronfio ed incapace di comprendere ciò che lo circonda come una gallina dopo un pasto, ritiene di poter bastare a se stesso e di poter rispondere autonomamente alle domande che la vita gli pone.
Si tratta, ovviamente, di illusioni, nemmeno troppo pie, il risultato è ovviamente disastroso e si rivela in tutta la sua pochezza: essere perduti, senza guida ne saldezza, che si attaccano a piaceri effimeri e ad ogni genere di bassezze pur di non pensare alla propria, inevitabile, fine.
Tremebondi e imbelli si attaccano a tutto ciò che può dare loro una illusione di salvezza, si tratti di mercanti d’anime orientali o venditori di spiritualità un tanto alla lira.
Allo stesso modo, e per le stesse motivazioni, diventano tolleranti, pronti ad asservirsi al primo straniero che passa, tutto pur di poter mantenere le proprie confortanti visioni di un mondo buono, pacifico e coccoloso.
Negare la realtà, o maneggiarla a proprio uso e consumo, diventa la norma, almeno per quel tanto o poco che questa società dura.
Segue quindi la caduta e sarà tra le rovine che nasceranno nuovamente uomini degni.
Per questo abbiamo bisogno di una tribù, tutti noi. Abbiamo bisogno di confronto fra pari, in assemblea e sul campo, di discussioni e bevute, di lavoro e collaborazione.
È solo nella comunità rurale che è possibile trovare ciò di cui davvero abbiamo bisogno.
Lo stato non è una risposta, o meglio, è una risposta farfugliata data ad una domanda tremebonda.
Noi non vogliamo rispondere alla decadenza con una realtà ugualmente destinata a cadere, vogliamo lottare per ciò che realmente vi è di sacro ed eterno.
Serviamo gli Dèi, la nostra tribù e la nostra famiglia, nient’altro.
Prima con blandizie e inganni poi, una volta indebolita la struttura della società, con la forza il potere centrale si impone e tenta di distruggere quanto vi era prima di lui.
Al sacro culto degli Dèi, degli antenati e degli spiriti si sostituisce una statolatria innaturale e profondamente contraria alla natura umana, la fede si indebolisce ed inizia un processo di secolarizzazione che conduce al nichilismo e ad una crisi spirituale diffusa e tangibile.
L’uomo si allontana dagli Dèi, questa lontananza genera mostruosità di ogni genere.
Terza fase: decadenza.
La perdita di valori di cui sopra porta alla rovina di quanto vi sia di più sacro e vero, l’uomo non chiede più istruzione e guida agli Dèi immortali ma, tronfio ed incapace di comprendere ciò che lo circonda come una gallina dopo un pasto, ritiene di poter bastare a se stesso e di poter rispondere autonomamente alle domande che la vita gli pone.
Si tratta, ovviamente, di illusioni, nemmeno troppo pie, il risultato è ovviamente disastroso e si rivela in tutta la sua pochezza: essere perduti, senza guida ne saldezza, che si attaccano a piaceri effimeri e ad ogni genere di bassezze pur di non pensare alla propria, inevitabile, fine.
Tremebondi e imbelli si attaccano a tutto ciò che può dare loro una illusione di salvezza, si tratti di mercanti d’anime orientali o venditori di spiritualità un tanto alla lira.
Allo stesso modo, e per le stesse motivazioni, diventano tolleranti, pronti ad asservirsi al primo straniero che passa, tutto pur di poter mantenere le proprie confortanti visioni di un mondo buono, pacifico e coccoloso.
Negare la realtà, o maneggiarla a proprio uso e consumo, diventa la norma, almeno per quel tanto o poco che questa società dura.
Segue quindi la caduta e sarà tra le rovine che nasceranno nuovamente uomini degni.
Per questo abbiamo bisogno di una tribù, tutti noi. Abbiamo bisogno di confronto fra pari, in assemblea e sul campo, di discussioni e bevute, di lavoro e collaborazione.
È solo nella comunità rurale che è possibile trovare ciò di cui davvero abbiamo bisogno.
Lo stato non è una risposta, o meglio, è una risposta farfugliata data ad una domanda tremebonda.
Noi non vogliamo rispondere alla decadenza con una realtà ugualmente destinata a cadere, vogliamo lottare per ciò che realmente vi è di sacro ed eterno.
Serviamo gli Dèi, la nostra tribù e la nostra famiglia, nient’altro.
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