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giovedì 8 novembre 2018

Dziady, la festa dei morti - Parte III

I Dziady

I Dziady in quanto spiriti degli antenati tornavano soprattutto durante la notte fra il 31 ottobre e il primo novembre, e durante questo periodo bisognava osservare una serie di tabù per permettere che l’andata e il ritorno dei morti avvenisse senza intoppi e soprattutto che i morti ritenessero la visita presso i vivi soddisfacente. Nonostante ci fossero scambi di doni fra i vivi e i morti, la potenza della morte era ritenuta qualcosa di indomabile e completamente altro rispetto alla vita. I morti andavano ospitati e rispettati per le feste loro preposte ma erano comunque una presenza pericolosa e destabilizzante. I rapporti fra le due fazioni quindi, fra i vivi e i morti, erano strettamente regolamentate, per non rischiare di scatenare l’ira dei defunti.
Era necessario tenere usci e finestre accostati, per favorire la loro entrata. Era proibito buttare l’acqua sporca fuori dalla finestra, per evitare di centrare in testa l’anima di qualche antenato. Non si poteva cucire, né filare o tessere, perché lo spirito di qualcuno poteva rimanere imprigionato nei punti o nella trama dell’ordito.

A tavola era necessario comportarsi non troppo rumorosamente, e non ci si poteva alzare di scatto, per non spaventare i Dziady. Non si poteva neppure accendere il fuoco nel camino, perché spesso le anime passavano anche da lì. Bisognava limitare al minimo i lavori nei campi, perché i campi quel giorno si riempivano di spiriti. Per i Zaduszki (il due novembre) non si poteva stirare con la pressa, fare il burro, qualsiasi cosa che potesse schiacciare o imprigionare da qualche parte un’entità immateriale.
Oltre a queste prescrizioni, era necessario fare tutto quello che si fa quando arrivano degli ospiti, quindi rifocillarli, scaldarli, offrire loro la possibilità di rilassarsi facendo un bagno o una sauna.
Il cibo che veniva offerto era cibo rituale. Le uova, simbolo di rinascita, erano gradite, assieme all’orzo, che costituiva la base di carboidrati della dieta contadina mitteleuropea. Il miele, che in molte culture è alimento o libagione delle divinità, era molto apprezzato. Poi c’era un piatto tipico della cucina slava, la kutia, una bomba di nutrienti, proteine e zucchero a base di semi di zucca, uvetta, grano, semi di papavero, miele, noci, arancia candita, e talvolta latte o panna.
Oltre ai dolcificanti, la kutia è formata principalmente di semi. Il seme è legato alla simbologia precristiana della morte, che implica sempre e necessariamente l’idea della rinascita. Il seme rappresenta il defunto seppellito nella terra, pronto a trasformarsi in altra vita.
I prodotti caseari erano molto importanti; se non fossero stati offerti ai Dziady le mucche “si sarebbero seccate”. E poi, chiaramente, per un’ospitalità est-europea degna di questo nome, non poteva mancare la vodka.

Durante i pasti in occasione delle feste dei morti era usanza rovesciare o versare parte dei cibi per gli spiriti. Un altro modo per adempiere a quest’usanza era di dare il cibo rituale, o il cibo preferito dai propri defunti più prossimi, ai mendicanti erranti. Nelle zone di Bialystok e nel voivodato della Podlachia ancora si usa portare piccole offerte di cibo sulle tombe, nei giorni compresi fra il primo e il due novembre. Nella Bielorussia il cibo spesso veniva affumicato con della resina raccolta nei formicai per la festa di San Giovanni.

Il tavolo doveva essere rivestito con una tovaglia bianca lavata di fresco e illuminato con candele di produzione casalinga. Dopo aver recitato le preghiere, il capofamiglia si metteva sulla soglia della casa e recitava delle formule di invito:

“O Dziady, vi invitiamo, venite, volate verso di noi, mangiate e bevete ciò che il buon Dio ci ha dato. Vi stiamo offrendo il cibo migliore che abbiamo in casa. Prego, prego!”

Poi ci si sedeva tutti al tavolo, ma in modo che ogni commensale fosse distante dall’altro, perché vicino ad ogni vivo si doveva sedere un morto. Per prima cosa, si beveva la vodka. Ogni bevuta e ogni portata andava a finire per metà nel bicchiere e nella scodella dei morti. Il pasto era consumato in un clima cupo.

Alla fine c’era la formula di saluto rituale:

“O Dziady, mangiare avete mangiato, bere avete bevuto. Ciao ed ave a voi. Diteci, vi serve qualcosa? Ma meglio ancora, volate, volatevene in cielo. Via! Via! Via!”.

Tutti gli avanzi venivano lasciati sul tavolo fino al giorno dopo e le porte si lasciavano accostate fino al canto del gallo.
Altrimenti, la festa poteva essere organizzata direttamente al cimitero, e in quel caso le cose avevano un altro tipo di atmosfera, molto meno lugubre, più festosa.
Questi party cimiteriali in Bielorussia erano chiamati radaunice, e venivano fatti il martedì successivo al Lunedì dell’Angelo, per cui erano detti anche la Pasqua dei Morti. Al pomeriggio si portava un sacco di roba da mangiare alla necropoli locale, con uova dipinte di giallo e rosa ed ettolitri di vodka.
Una volta giunti al cimitero, per prima cosa si diceva la messa. Dove non era disponibile un prete, la sua funzione veniva adempiuta dai mendicanti, che pregavano e cantavano in coro le loro canzoni per i morti. Le donne di tanto in tanto singhiozzavano, e poi via via iniziavano ad urlare, come le prefiche dell’Italia del sud. Le uova dipinte venivano fatte rotolare sulle tombe dei propri cari e sepolte. Poi il banchetto veniva apparecchiato dagli anziani, sopra la tomba di una persona di riguardo. Gli uomini dovevano stare allegri, mentre alle donne era prescritto di lamentarsi a gran voce anche durante il tragitto verso casa.
I Dziady, oltre che essere rifocillati, dovevano essere riscaldati, quindi si accendevano dei falò.
Chi era morto di morte violenta riceveva un trattamento speciale, soprattutto nelle zone limitrofe ai monti Tatra, che erano infestate da banditi. Tutti coloro che passavano nel luogo in cui era avvenuta la violenza vi dovevano lasciare un pezzo di legno, finchè non si formava una catasta. Questa catasta veniva incendiata proprio per la notte dei Dziady.

Le vestigia di questi falò si possono vedere anche ai nostri giorni, nelle znicze, i variopinti e multiformi ceri che vengono lasciati sulle tombe per il giorno dei morti. A forma di lampada, di urna, di Sacro Cuore, di vetrata policroma, con angeli piangenti o decori floreali, le znicze colpiscono per la varietà dei loro colori, che vanno dal rosso, al viola, al lilla, al bianco lattescente, all’oro. Lo spettacolo di migliaia di znicze accese rende i cimiteri polacchi della notte fra il primo e il due di novembre sicuramente degni di una visita, da qualunque parte della barricata vita/morte si stia.

Fonti:
- http://www.kainowska.com

Articolo in collaborazione con la pagina Facebook “Slavic Polytheism and Folklore notes”

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