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venerdì 9 novembre 2018

Dziady, la festa dei morti - Parte IV

Nella Polonia contemporanea cristiana si celebrano i Zaduszki (che vuol dire, letteralmente, “per i piccoli spiriti”).
Nei Zaduszki, l’antica festa contadina dei Dziady si mostra contaminata con il culto cristiano, e viene festeggiata nella tradizionale data del due novembre. L’ibridazione di queste due concezioni della morte, la pre-cristiana e la cristiana, si attua lentamente, a partire dalla Controriforma. Gli Avi ritornanti con le loro richieste e i loro doni vengono gradualmente sostituiti con le anime del purgatorio, in vacanza per un giorno dal castigo purgatoriale, per cui bisogna pregare e far dire delle messe.

Tornando alle usanze della civiltà contadina, in alcune regioni i Dziady andavano accolti preparando il bagno o anche la sauna. In tutti i casi, il pavimento della stanza preposta ai lavacri veniva cosparso di cenere, per osservare la mattina le tracce lasciate dai ritornanti, per vedere se i Dziady “avevano fatto il bucato”.
I vivi dovevano quindi prendersi cura dei morti.

Bisognava in generale comportarsi in modo da accattivarsi il favore dei Dziady, perché erano proprio loro a portare fertilità e benessere. Questo tratto è legato alla concezione della morte precristiana, dell’Europa neolitica legata alla terra, che vedeva vita e morte come strettamente collegate e reversibili. La terra è la madre dei morti, che riaccoglie il morto-bambino.

I morti però portano fertilità solo se sono morti da un po’ di tempo; subito dopo la dipartita averli intorno porta sfortuna. Grochowski sostiene che, nelle prime fasi della dipartita, la morte è ritenuta contagiosa. Questo finchè non vengono svolti tutti i rituali funebri che segnano il passaggio del morto dalla condizione di vivo a quello di avo, di membro dei Dziady. Non appena torna nell’utero terrestre, il morto diventa patrono della fertilità, garantendo raccolti abbondanti. Chiunque abbia mai seppellito un proprio piccolo animale avrà notato come in corrispondenza della sepoltura la vegetazione cresca più rigogliosa. Ci sono modi di dire propri del volgo, come “il dziad è già lì che se lo annusa”, per indicare una persona gravemente malata, oppure “che i dziady ti si portino”. Un po’ come evocare “li mortacci tua”.

Ai tempi pagani, prima della cristianizzazione ad opera di Mieszko I, il primo re della Polonia, la festa dei Dziady si chiamava uczta kozła, la Festa del Capro. La Festa del Capro veniva celebrata dal Koźlarz o Guślarz, una figura sciamanica ibrida fra il sacerdote e il poeta, la cui denominazione andrà ad indicare nei secoli successivi il mago, lo stregone, l’esperto di erbe ed incantamenti. Ma il Guślarz era innanzitutto un poeta, esperto della potente magia della legatura delle parole, capace di versificare per incantare gli astanti.

A proposito di poeti, Adam Mickiewicz, sommo scrittore annoverato fra i Tre Bardi della letteratura polacca, alle usanze dei Dziady ha dedicato un componimento teatrale. Nella prefazione al testo Mickiewicz scrive che i proprietari terrieri hanno cercato di sradicare questa festa pagana, e per questo motivo per molto tempo la ricorrenza è stata celebrava di nascosto, in case abbandonate, vicino ai cimiteri. Le tradizioni dei Dziady erano più forti e radicate nelle aree di culto ortodosso.

Fonti:
- http://www.kainowska.com

Articolo in collaborazione con la pagina Facebook “Slavic Polytheism and Folklore notes”

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