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giovedì 11 ottobre 2018

Veleš, parte II

I filologi russi Vjačeslav Vsevolodovič Ivanov e Vladimir Toporv ricostruirono la mitica battaglia tra Veleš e il fratello Perun attraverso una serie di studi comprativi tra le mitologie indoeuropee e le molte storie e canzoni popolari slave. La battaglia tra un Dio del tuono e un enorme serpente o drago è un elemento unificante e ricorrente. Perun è il Dio del tuono, mentre Veleš si comporta come un drago che si oppone a lui. All'origine del conflitto vi è il furto da parte di Veleš del figlio, o della moglie o del bestiame ai danni di Perun. Tale gesto non è altro che una sfida, infatti Veleš striscia fuori dalle caverne del mondo sotterraneo e sale avvolgendosi attorno all'albero del mondo verso i domini celesti di Perun, che lo attacca con le sue saette. Veleš scappa, o si nasconde sotto le spoglie di un albero, di una persona o di un animale ma alla fine viene sconfitto/ucciso. In questa morte rituale qualsiasi cosa abbia rubato viene rilasciata dal suo corpo in forma di pioggia che cade dal cielo.
Il mito della tempesta serviva agli antichi anche a spiegare il cambiamento delle stagioni. I periodi più secchi venivano interpretati come il caos risultante dal furto di Veleš e i fulmini erano visti come la battaglia divina, la conseguente pioggia era il trionfo di Perun. Essendo un mito ciclico la morte di Veleš non era mai permanente. Sebbene in questo mito giochi il ruolo negativo di portatore del caos, Veleš non era visto come un Dio malvagio. Inoltre la dicotomia ed il conflitto con Perun non rappresentano lo scontro tra il bene e il male, ma piuttosto l'opposizione tra i principi naturali di terra, acqua e sostanza, Veleš quindi, contro il cielo, il fuoco e lo spirito, ovvero Perun. Oltre ad essere il Dio degli Inferi e delle anime dei morti, la presenza di palchi e di corna rimandano ad un concetto di virilità, sessualità e potenza maschile. La sua natura maliziosa si evince, oltre che dal suo essere imbroglione, anche dal suo amore per la musica e per la magia. La parola Volhov, probabilmente derivata dal suo nome, in alcune lingue slave significa ancora oggi stregone e nel Canto della Schiera di Igor, il mago Bojan viene definito il nipote di Veleš. Dal momento che la magia è strettamente connessa alla musica nelle società primitive, Veleš era altresì considerato il protettore dei musicisti e dei viaggiatori.
Fino al 20 secolo in Croazia i musicisti di un matrimonio non iniziavano a suonare finché lo sposo non versava a terra del vino, possibilmente vicino alle radici di un albero, a significare che non avrebbero suonato finché non veniva fatta un offerta al loro Dio protettore. Era anche il protettore del bestiame, tanto che spesso a lui ci si riferisce come skotji bog, ovvero dio bestiame. I suoi attributi erano le corna da toro, ariete, o di un altro erbivoro addomesticato, probabilmente anche la lana nera, a sua volta connessa alle arti magiche.

Solo nella mitologia celtica esiste una divinità simile a Veleš, ossia Cernunnos nel suo aspetto di serpente cornuto.

In collaborazione con la pagina FB Slavic Polytheism and Folklore notes

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