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lunedì 2 luglio 2018

Il mondo che verrà

Tribalismo e identità come argine all’oblio 

Essere ciò che si è, ad oggi, è la più grande rivolta possibile ad un mondo che ci vorrebbe sempre più indistinti, liquidi, in grado di essere qualunque cosa, ovvero il nulla che l’intellettuale à la page chiama essere “cittadini del mondo”.
Questa pialla, questo cristianesimo 2.0 privato di qualunque profondità spirituale che vada al di là di uno sproloquio ad una apericena equo solidale, che viene talora chiamato capitalismo non è, o almeno non è solo, un male moderno.
È solo la riproposizione ciclica di un male antico quanto il mondo che ha assunto, nel corso dei millenni, forme e realizzazioni differenti.
È la volontà uniformante, distruttrice di libertà e popoli, che ha guidato la mano di ogni imperialista, dall’Egitto a Roma, dalla Spagna alla Cina, in ogni tempo ed in ogni forma. 
La storia però ci insegna che a queste aggressioni vi è sempre stata opposizione da parte di coloro che, fieri o semplicemente temerari, mal sopportavano di abbassare la testa innanzi al principio uniformatore, distruttore di identità.
L’Impero Persiano si trovò innanzi i greci, quello Romano i Germani, quello Cinese i mongoli e così continuando fino ad oggi.

La resistenza è possibile e necessaria, la nostra triste epoca spiritualmente derubata dal monoteismo e inaridita dal nichilismo, non può e non deve essere abbandonata.

Lottare per i propri Dèi, per la propria gente, per la propria famiglia e per la propria tribù, per tutto ciò che è santo e vero, deve essere, oggi più che mai, la priorità per coloro che ancora credono nel futuro, per gli araldi del mondo che verrà.

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