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lunedì 30 luglio 2018

L'iniziazione nel mondo slavo pre-cristiano

Ancora oggi fra gli Slavi si sente dire "non ha i sette anni a casa" per indicare una persona ineducata e fastidiosa, giacché l'educazione elementare impartita dai genitori andava dalla nascita fino ai 7-8 anni d'età, quando i bambini venivano iniziati all'addestramento rudimentale, alla caccia, alla pesca e, più tardi, alla pastorizia e all'agricoltura. Dai dodici ai quindici anni soprattutto i giovani venivano condotti a battute di caccia e scorribande al fine di impartire loro i rudimenti della guerra e abituarli alla vista del sangue. Giunti ai sedici anni, si entrava nel mondo degli adulti tramite un rito d'iniziazione tipico delle popolazioni seminomadi rimaste ancorate alle tradizioni di tipo tribale. Dalla Polonia alla Serbia, fino alle steppe della Russia, passando per l'Ungheria, la Bulgaria, i Balcani e anche la Romania (sebbene di sangue questi non siano prettamente slavi), il rituale segue uno schema comune che il dott. Propp e il prof. Obolenskij riferiscono ad un ceppo denominato "paleoslavo" tipico, a loro dire, di una sorta di proto-civilizzazione asiatica che poi emigrò fra il I secolo A.C. e il VII secolo d.C., stanziandosi sempre più a Occidente fino all'Europa. Il rito d'iniziazione della gioventù era ovviamente diviso per genere, e le donne seguivano un rituale molto semplice, domestico, ove venivano bruciati i giocattoli e la donna veniva vestita con l'abito delle donne adulte, dopodiché veniva condotta al fiume al crepuscolo, ove accendeva un lume alla presenza della comunità e abbandonava la candela al suo fato fra le acque. Al contrario, il maschio trovava il suo rito di iniziazione nella comunità guerriera, e il luogo prescelto era la foresta, luogo iniziatico per eccellenza delle antiche tribù, nonché di notte, emblema del passaggio dall'oscurità dell'infanzia nel giorno della virilità. Alla presenza degli Anziani e dei capi clan di una regione, i giovani compivano una serie di atti di coraggio che culminavano nella "uccisione" di un totem a forma di serpente, nella trasformazione da animale a uomo (svestendosi di una pelliccia di un animale ucciso con le proprie mani) e di un sacrificio animale in onore degli Dèi (i serbi mantennero nel cristianesimo un rituale simile, ne parleremo poi). Dopodiché, i giovani riverivano gli antenati con un rituale apposito (tanto i maschi che le femmine). Al termine di questa complessa cerimonia, il giovane (e la giovane) potevano scegliere un nuovo nome "pubblico", anche diverso da quello dato dai genitori il giorno della loro nascita.
In particolare, l'uso della pelliccia come "bestializzazione" del giovane ineducato alla guerra (ancora) è entrato nell'uso, a dire del prof. Toporov, per indicare i lupi mannari o gli "orsi-mannari" diffusi soprattutto nella Russia del nord. Questi ultimi sarebbero non altro che giovani rifiutati dalla collettività (dunque non potevano svestirsi della loro pelliccia) che si davano poi al cannibalismo e alla distruzione del proprio io, a causa della mancata accettazione comune. Da qui al mito, il passo sarebbe breve.

In collaborazione con la pagina FB Slavic Polytheism and Folklore notes

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