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domenica 19 agosto 2018

Guerrieri d’Eurasia, gli Sciti

« Se voi, o Persiani, non volerete in cielo, divenuti uccelli o, fatti topi, non penetrerete sotto terra oppure, trasformati in rane, non vi tufferete negli stagni, voi non ritornerete al vostro paese, trafitti qui da queste frecce. »

Interpretazione di un saggio del dono recapitato dagli Sciti a Dario, Re persiano ed invasore della loro terra, consistente in un uccello, un topo, una rana e cinque frecce.

(Erodoto, Storie, IV, 132,3)

Di questo grande popolo guerriero di stirpe indoeuropea sappiamo molto grazie all’opera degli scrittori greci e grazie ai resoconti di quanti, e furono molti, dovettero subire una o più incursioni da parte di questi fieri cavalieri. 

Guerrieri valorosi e temibili essi rappresentarono, in epoca storica, la figura di ciò che dovettero essere i primi indoeuropei giunti in terra d’Europa: cavalieri nomadi, assai versati nell’arte della guerra. 

Dalla rovente terra d’Egitto passando per la ricca Persia fino si confini più remoti delle terre d’Oriente gli Sciti rappresentarono per secoli il terrore del cosiddetto mondo civilizzato.

Sappiamo che combattevano a cavallo, con tattiche assai simili a quelle utilizzate secoli dopo dagli Unni e più avanti ancora dai Mongoli (la paternità della “guerra con l’arco a cavallo” è discussa, potrebbe essere un’invenzione indoeuropea o asiatica, forse persino ugrica, di sicuro fu comunque adottata da numerosissime tribù).
Essi non costruivano, se non le proprie tombe, vivevano di razzia o delle proprie terre coltivate da schiavi di preda bellica. 

Fisicamente possenti, assai simili agli slavi e ai germani, amanti dell’oro, dell’ebrezza, dei propri Dèi e del proprio stile di vita essi rappresentarono l’incarnazione perfetta e tribale del guerriero indoeuropeo a cavallo sull’Eurasia.

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