Cerca nel blog

domenica 12 agosto 2018

La magia delle Mainarde, parte I

“Gl’ Cierv” ovvero l’Uomo Cervo

C’è una festa che si celebra l’ultima domenica di carnevale a Castelnuovo al Volturno (Isernia), una festa che ci riporta direttamente alla notte dei tempi quando tra uomini e animali non era ancora avvenuta una differenziazione cosí netta e anzi, i primi riuscivano a trasformarsi in secondi e questi ultimi riuscivano a comunicare coi loro spiriti con gli uomini: é la festa de “Gl cierv”, ovvero dell’Uomo Cervo. La festa, che pare sia una ritualizzazione mitica del passaggio dai mesi invernali a quelli primaverili/estivi con il ciclico risveglio della natura, è una pantomima in cui oltre all’Uomo Cervo, compaiono anche altre figure come la Cerva, il Cacciatore, la maschera molisana di Martino e tra gli altri anche le Janare e il Maone, loro oscuro capo. La presenza delle Janare all’interno della pantomima è ancora piú interessante soprattutto perché durante il rito queste compaiono per prime e oltre agli stereotipati attributi negativi che le accompagnano un po’ ovunque in tutta la vasta area in cui sono presenti, presentano anche connotazioni piú tipicamente ancestrali e sciamaniche: sembra infatti che l’Uomo Cervo sia quasi evocato dal corteo e dalle danze estatiche di queste donne vestite di nero, mascherate e con lunghi capelli di rafia. Decidiamo quindi di recarci sulle Mainarde sulle tracce di quella che a prima vista ci era sembrata una interessante “anomalia” da analizzare nel percorso, parafrasando Carlo Ginsburg, di “decifrazione” della janara, quasi del tutto spogliata, nel rito del cervo, delle sue prerogative demoniache e negative, prerogative “offuscate” dal ruolo magico di evocatrici dello spirito ancestrale del cervo. In realtá le anomalie interessanti sono due, la seconda, che é parte integrante del nostro lavoro di ricerca da qualche tempo, é quella che rientra nell’ambito che chiamiamo la “Geografia della Janara”, ambito di studio abbastanza ampio che si occupa dei rapporti tra centri e periferie, da un lato, e dall’altro, quella che riguarda i confini di quella che chiameremo la “Nazione Janara”, ovvero tutto il territorio interessato nella tradizione e nella superstizione dalla presenza delle janare. Su questo ultimo punto c’é da fare una precisazione: tra i tanti stereotipi che accompagnano la storia nera della Janara, uno dei piú diffusi é quello che la vuole semplicemente come una “traduzione” beneventana della figura della strega, considerazione che é quantomeno una mezza veritá, se non proprio la spiegazione superficiale di un fenomeno ben più complesso. La “Nazione Janara” comprende infatti certo tutto il beneventano, ma le sue propaggini si estendono a sud per pochi chilometri sotto Benevento fino al nord del salernitano, infatti nell’avellinese gia compare la figura della “maciara” o “magara” piú affine al mondo magico lucano studiato da De Martino, se saliamo verso nord invece troviamo la sua presenza pressoché ovunque nelle province di Napoli e Caserta, ma non solo, nel basso Lazio almeno fino a Terracina e a Fondi (a Formia c’é addirittura il toponimo Grotta della Janara), in quasi tutto il Molise e in alcune zone del basso Abbruzzo, e, ipotesi su cui siamo ancora in fase di studio, in parte della provincia di Foggia. Un’area vastissima che ci suggerisce che non basta spiegare questa diffusione con la sola influenza di Benevento come capitale della Longobardia Minor nell’alto medioevo e cioé nell’epoca in cui, secondo alcuni, si è formata la figura della janara. Cosa c’entra Benevento in tutto questo discorso allora? C’entra, cosi come c’entrano i longobardi e il principato della Longobardia Minor.
 
Quando i longobardi arrivarono a Benevento nella seconda metá del VI secolo dC, guidati da un capo guerriero chiamato Zottone (ca. 570-591), che la tradizione dipinge come fondatore del ducato longobardo di Benevento (1), erano giá quasi tutti cattolici, con piccole minoranze ariane, ma avevano ufficialmente abbandonato i loro antichi culti da un bel po’ di anni. Questa “conversione” delle genti longobarde era avvenuta peró piú per motivi di carattere squisitamente politico che “spirituale”, la conversione al cristianesimo infatti procurava loro una piú ampia rosa di possibilitá di confronto (che nella realtá fu quasi sempre riottoso) con il papato: era per loro fondamentale infatti rendere la loro presenza quanto meno “aliena” possibile dal contesto che intendevano dominare anche se il grosso del lavoro lo facevano con la spada. Nella realtá peró tanti di quei guerrieri conservavano vive le usanze rituali e religiose dei loro avi con cerimonie praticate all’aperto, tra gli alberi e forse proprio sotto ad una pianta di noce, con la presenza di simulacri rituali caprini affini a tanti popoli nomadico-guerrieri provenienti dall’Europa del nord e dell’est e forse anche con sacrifici rituali di capri, un corollario cultuale che se da un lato, a cominciare da San Barbato che nelle sue predicazioni cominció a parlare di raduni di streghe e diavoli sotto il noce di Benevento, fece facilmente associare questi culti pagani al sabba stregonesco, dall’altro lato quasi sicuramente, queste stesse forme di cultualitá vennero da subito riconosciute come affini dalle donne che praticavano culti ancestrali nati, a nostro avviso, prima del periodo romano, culti italici legati alla Madre con forti affinitá con il mondo celtico/germanico, affinitá su cui torneremo tra poco. Insomma se da un lato, nella narrazione pubblica, fu lo stereotipo demoniaco e pagano a prendere il sopravvento, dall’altro lato furono possibili anche forme di sincretizzazione o forse solo di affinità archetipo-simbolica tra i culti delle Janare e quelli dei conquistatori longobardi. Questa digressione risulta utile per porre una necessaria problematizzazione sulla superficiale attribuzione di una sorta di centralitá di Benevento come punto di emanazione del fenomeno, crediamo infatti che la realtá e la ricostruzione congetturale di essa necessitino di un lavoro più approfondito e meno semplicistico: era necessario rimarcare questo aspetto all’interno di queste righe, aspetto su cui si fonda gran parte del lavoro di studio che stiamo portando avanti. Ma torniamo alle Mainarde.

Pubblicato su gentile concessione dell'autore Massimiliano Palmesano, amministratore della pagina FB Janara

Nessun commento:

Posta un commento