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martedì 14 agosto 2018

La magia delle Mainarde, parte III

Magnifiche e magiche Mainarde

Restiamo a primo impatto disorientati da questo simpatico e vitale signore avanti negli anni, dalla sua energia, dal suo modo di accoglierci, dal suo sorriso, d’altronde anche la musica, il saperla creare, l’essere veicolo per trasmetterla alle persone per infondere loro sensazioni é da sempre una prerogativa sciamanica e non possiamo non collegare il motivo delle nostre ricerche con questa ulteriore resistenza culturale legata al mondo delle zampogne e degli zampognari in questo fazzoletto di terra. Ci sediamo a tavola con lui, subito capiamo che Peppe non ci venderá nulla, il vino ce lo regalerá, insieme a gustosi pomodori e peperoncini del suo orto. Ci parla della sua vita, dei figli, della campagna e soprattutto della sua vita di zampognaro, dell’arte ereditata dal padre, dei lunghi giri in lungo e in largo per lo stivale, ci parla di Moulin, il pittore francese che decise di ritirarsi a vivere in una grotta sulle Mainarde dopo aver ascoltato per caso uno zampognaro suonare restandone ammaliato. Gli diciamo del Cervo e delle Janare e con gran sorpresa ci dice che la moglie fa parte del gruppo di persone che mettono in scena il rituale del Cervo ogni anno. Dopo poco torniamo in piazza e ad attenderci c’é proprio lei, cominciamo a parlare, piú che altro riproponiamo in modo spezzettato e discorsivo le domande del questionario che stiamo sottoponendo a scopo di ricerca. Comincia a formarsi un capannello, cominciamo a parlare della festa del Cervo e delle Janare, ci confermano che sono state immesse nella pantomima in tempi recenti, ma che popolano da sempre la credenze locali, e come in altri luoghi escono di notte volando, si trasformano in animali, soprattutto gatti e serpenti, procurano e tolgono il malocchio, scopriamo che resiste l’usanza dell’astenersi dall’avere rapporti sessuali il 24 marzo perché in caso di concepimento c’é la possibilitá che il bambino nasca a Natale, e chi nasce in quella notte diventa janara o lupo mannaro. Insomma ritroviamo tutta la serie di stereotipi che conosciamo benissimo, ma noi siamo venuti fin qui alla ricerca di “anomalie” all’interno della narrazione standard che troviamo un po’ ovunque dai manuali di antropologia ai libretti di folklore locale. Una prima anomalia la riscontriamo proprio nel racconto di una storia di lupi mannari ambientata a inizio del 900, da sempre, il lupo mannaro e la janara (o la strega) convivono all’interno dell’orizzonte mitico e superstizioso delle comunitá agricolo-pastorali un po’ in tutta Europa. Infatti nel racconto la persona trasformata in licantropo, andava in giro nella notte di Natale terrorizzando le persone coperto da una grossa pelliccia, addirittura coprendosi il volto con essa. In questo racconto abbiamo immediatamente trovato una somiglianza morfologica, nelle pagine di Eliade (2) e Ginzburg (3), con pratiche affini dello sciamanesimo centro asiatico e antico-europeo, secondo cui, lo sciamano andava in estasi coprendosi interamente con una pelliccia animale, il piú delle volte quella del suo animale totemico, volando via o trasformandosi in animale per combattere con altri sciamani. L’isomorfismo tra pratiche cosí distanti tra di loro nello spazio e nel tempo ci fanno pensare a un sostrato arcaico comune o comunque a una affinitá cultuale, soprattutto qui, dove oltre al racconto del lupo mannaro abbiamo un’altra ben piú importante figura che non é piú completamente animale, ma nemmeno definitivamente uomo e cioè “Gl Cierv”: vestito di pelli di capra, con addosso rumorosi campanacci e con in testa un copricapo con due grosse corna cervine. Ma cerchiamo a questo punto di costruire una serie. Il mito di Castelnuovo infatti ci tramanda la viva memoria di (a) un culto ancestrale legato al (b) passaggio tra il furore del periodo invernale a quello vitale della primavera, (c) un culto che é soprattutto estatico, l’uomo travestito da cervo che scende nel paese é contraddistinto da (d) un “furor” sovraumano, scende in paese urlando e travolgendo ogni cosa che trova sul suo cammino, nessun intervento riesce a domarlo, il suo palco di grandi corna di cervo tiene tutti alla larga, finché non arriva (e) il cacciatore che lo colpisce a morte ma solo affinchè (f) possa risorgere di nuovo, come ogni anno la stagione invernale muore per lasciare il posto alla primavera.

Morte e resurrezione rituale del ciclo delle stagioni attraverso l’elemento magico delle pelli (il vestito dell’Uomo Cervo) e delle ossa (il suo copricapo cervino). Visto da questa prospettiva il mito del cervo di Castelnuovo ci fornisce una serie completa e chiara di elementi di carattere sciamanico che ci suggeriscono sue radici antichissime.

Pubblicato su gentile concessione dell'autore Massimiliano Palmesano, amministratore della pagina FB Janara

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