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domenica 27 maggio 2018

Io sogno di von Ungern e l’Eurasia eterna

Quando il giovane Roman venne in contatto per la prima volta con la cultura delle tribù siberiane era poco più che un ragazzo, cosa vide quindi questo figlio del baltico, cresciuto nella placida Europa della Belle Époque? 

Molte tribù, sia orientali che ugriche che con tracce indoeuropee, abitavano al tempo (talvolta, ma non sempre purtroppo, ancora oggi) quelle lande antiche nelle quali la sopravvivenza era tutt’altro che scontata, il loro stile di vita era dettato da questa necessità e quindi duro, disciplinato e regolato da una ritualità antichissima. 

Conobbe anche lo sciamanismo e in questa religione degli albori vide forse il primo richiamo di un’Eurasia eterna, di foreste e steppe, di guerrieri e sacerdotesse.

Di sangue germanico, cresciuto in terra baltica e venuto poi a contatto con popoli asiatici fu forse affascinato da quei contatti, animato da quello spirito tribale del guerriero a cavallo che fu delle Sciti e degli Wusun, dei Goti e dei Sarmati, degli Unni e dei Mongoli. 

In lui fece rivivere lo spirito dei signori della guerra arcaici, del ciclo eterno, degli Dèi.

Dalle foreste del Nord Europa alla taiga siberiana, dal golfo delle terre dei Finni alle coste del mar del Giappone egli vidi, o solo intuì, un filo rosso, un legame arcaico più antico della storia e di ogni civitas, una furia sacra temuta da ogni società urbanizzata. 

Egli fu l’ultimo, ma non ultimo, di una lunga stirpe di signori della guerra, condottieri tribali del Perm, della Vistola e del Reno che sempre hanno minacciato gli imperi di ogni tempo, manifestazione di un archetipo, figura spirituale prima che fisica.

Alla decadenza imbellettata della Russia zarista, alla rancorosa Russia rossa, egli volle opporre un disegno diverso, realmente eterno e duraturo, non un impero millenario ma un’Eurasia arcaica e tribale, fatta di popoli, sostenuta dagli Dèi, una terra di fuochi notturni e riti senza tempo. 


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