Chiunque abbia mai letto uno straccio di giornale negli
ultimi dieci lustri avrà sentito parlare, almeno una volta, dello scontro fra
il modello capitalista e quello socialista e delle svariate “terze vie” che
sono state proposte e/o applicate negli ultimi decenni.
E’ un dibattito che ha appassionato, e ancora appassiona, milioni di persone
nel mondo, che agita gli economisti e fa strillare come galline più della metà
degli intellettuali da salotto del mondo.
Un dibattito, fondamentalmente, fatto fra nemici nella forma
ma eguali negli ideali.
Mercanti e commissari, economisti e intellettuali, piani di
sviluppo e piani quinquennali appartengono alla medesima famiglia gestionale,
quella del governo burocratico e statalista.
L’impero romano, quello francone, quello cinese, l’Unione
Sovietica, la Germania guglielmina e la Russia zarista, solo per fare alcuni
esempi, sono diverse rappresentazioni del medesimo concetto universalista, di
una volontà di dominio e annientamento dell’uomo e sull’uomo.
Con questo non si intende, ovviamente, demonizzare qualunque tipo di contrapposizione, anzi, riteniamo il conflitto necessario alla formazione dell’uomo ma, al contempo, siamo fortemente contrari alle opere di dominio ed assimilazione portate avanti dalle varie incarnazioni del principio universalista.
Noi siamo per i popoli, per le tribù, per le specificità di ogni singola espressione dell’uomo, per il locale e lo specifico contro il principio che ci vorrebbe tutti ad assimilati ad una autorità universale, quale che questa sia.
Legno e cannicci contro marmo e cemento, uomini liberi di fronte
agli Dèi contro schiavi inconsapevoli.
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