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venerdì 11 maggio 2018

La Gísla saga Súrssonar e i riti funebri



La Gísla saga Súrssonar è ricolma di informazioni inerenti alle ritualità dei popoli scandinavi; seppure l’episodio esuli in toto dall’oggetto trattato da questo articolo, è impossibile non citare il rituale con il quale venne consacrata la lancia che avrebbe poi trafitto Vestein, fratello di Gísli per patto di sangue contratto con quest’ultimo sul principiare della saga.

Ancor più interessanti dal punto di vista storiografico sono però le narrazioni dei vari riti funebri che costellano l’intera saga; narrazioni sulle quali questo articolo è incentrato.
Emblematica è la sezione in cui viene narrato il funerale di Vestein. Nella Gísla saga Súrssonar vengono descritte sepolture a tumulo e navi funerarie simili per foggia e disposizione nel terreno a quelle ritrovate a Vendel od a Valsgardë. Il defunto Vestein viene inumato in una nave funeraria al cui centro era stata in precedenza deposta da Þorgrim una grande pietra atta a favorire la navigazione nell’aldilà dell’imbarcazione; lì riceve da Gísli un paio di helskór (i.e. “scarpe [skór] per Hel”) da questi donategli al fine di facilitargli il futuro peregrinare nell’aldilà.

Il rituale della sepoltura di Vestein appare quindi portato avanti nei suoi più minuziosi particolari eftir fornum sið (i.e. “secondo le antiche usanze”); rispetta infatti in toto quei precetti impartiti alle umane genti dallo stesso Odino, precetti che furono riportati da Snorri Sturluson nella della Ynglinga saga di cui segue un breve estratto:
“Così, egli disse, ognuno giungerà nel Valhalla con le ricchezze poste con lui su di quel mucchio e godrà anche di qualsiasi cosa che egli stesso abbia seppellito nella terra.
Un tumulo deve essere costruito in memoria degli uomini più importanti ed una pietra eretta per tutti i guerrieri che si fossero distinti per vigore.”

Nessuno dei due celebranti, né Gísli né Þorgrim, è però una figura sacerdotale, né agisce come tale. Per questo motivo il rituale funebre del defunto assume non più una valenza spirituale o mistica che dir si voglia ma bensì una semplice valenza terrena divenendo quasi uno svolgersi di ciò che è ordinaria amministrazione.
Per comprendere la cagione di ciò bisogna tener conto non tanto dell’epoca in cui la saga è ambientata, sul finire del decimo secolo, quanto soprattutto dell’epoca in cui è stata messa per iscritto, vale a dire il tredicesimo secolo; secolo in cui la religione del Cristo Bianco era oramai vastamente diffusa nelle lande nordiche.

Tenendo conto di ciò la Gísla saga Súrssonar può essere letta come un manifesto programmatico volto a dimostrare quanto le faide familiari non rechino altro che sventure a chi le porta avanti; un manifesto di stampo cristiano che è stato innestato su di un sostrato mitico risalente al decimo secolo, epoca nella quale invece il culto degli antichi Dèi era preponderante. Solo così si può spiegare la dovizia quasi maniacale di particolari usata nel descrivere i riti funebri e l’assoluta mancanza di una dimensione sacrale degli stessi.

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