La Gísla saga Súrssonar è ricolma di
informazioni inerenti alle ritualità dei popoli scandinavi; seppure l’episodio
esuli in toto dall’oggetto trattato da questo articolo, è impossibile non
citare il rituale con il quale venne consacrata la lancia che avrebbe poi
trafitto Vestein, fratello di Gísli per patto di sangue contratto con
quest’ultimo sul principiare della saga.
Ancor
più interessanti dal punto di vista storiografico sono però le narrazioni dei
vari riti funebri che costellano l’intera saga; narrazioni sulle quali questo
articolo è incentrato.
Emblematica
è la sezione in cui viene narrato il funerale di Vestein. Nella Gísla saga Súrssonar vengono descritte
sepolture a tumulo e navi funerarie simili per foggia e disposizione nel
terreno a quelle ritrovate a Vendel od a Valsgardë. Il defunto Vestein viene
inumato in una nave funeraria al cui centro era stata in precedenza deposta da
Þorgrim una grande pietra atta a favorire la navigazione nell’aldilà
dell’imbarcazione; lì riceve da Gísli un paio di helskór (i.e. “scarpe [skór] per Hel”) da questi donategli al fine
di facilitargli il futuro peregrinare nell’aldilà.
Il
rituale della sepoltura di Vestein appare quindi portato avanti nei suoi più
minuziosi particolari eftir fornum sið
(i.e. “secondo le antiche usanze”); rispetta infatti in toto quei precetti
impartiti alle umane genti dallo stesso Odino, precetti che furono riportati da
Snorri Sturluson nella della Ynglinga
saga di cui segue un breve estratto:
“Così,
egli disse, ognuno giungerà nel Valhalla con le ricchezze poste con lui su di
quel mucchio e godrà anche di qualsiasi cosa che egli stesso abbia seppellito
nella terra.
Un
tumulo deve essere costruito in memoria degli uomini più importanti ed una
pietra eretta per tutti i guerrieri che si fossero distinti per vigore.”
Nessuno
dei due celebranti, né Gísli né Þorgrim, è però una figura sacerdotale, né
agisce come tale. Per questo motivo il rituale funebre del defunto assume non
più una valenza spirituale o mistica che dir si voglia ma bensì una semplice
valenza terrena divenendo quasi uno svolgersi di ciò che è ordinaria
amministrazione.
Per
comprendere la cagione di ciò bisogna tener conto non tanto dell’epoca in cui
la saga è ambientata, sul finire del decimo secolo, quanto soprattutto dell’epoca
in cui è stata messa per iscritto, vale a dire il tredicesimo secolo; secolo in
cui la religione del Cristo Bianco era oramai vastamente diffusa nelle lande
nordiche.
Tenendo
conto di ciò la Gísla saga Súrssonar
può essere letta come un manifesto programmatico volto a dimostrare quanto le
faide familiari non rechino altro che sventure a chi le porta avanti; un
manifesto di stampo cristiano che è stato innestato su di un sostrato mitico
risalente al decimo secolo, epoca nella quale invece il culto degli antichi Dèi
era preponderante. Solo così si può spiegare la dovizia quasi maniacale di
particolari usata nel descrivere i riti funebri e l’assoluta mancanza di una
dimensione sacrale degli stessi.
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