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lunedì 4 giugno 2018

Dialoghi dei processi d’inquisizione con lupi mannari, benandanti, fasi di estasi.


In questo articolo si cita espressamente un lupo mannaro sotto inquisizione, la figura del lupo mannaro è tutt’altro che mitologica e tutt’altro che inesistente.
Scartando l’enfasi e il sovrapporre sempre il “diavolo” in questi processi (abbastanza forzato questo parallelismo, come ovvio che sia in questo periodo), a tratti emerge ciò che caratterizza queste figure. La figura del lupo mannaro non è recente (è molto antica, e tutti gli altri nomignoli sono venuti dopo. Ma la sua essenza non cambia né geograficamente, né con il passare del tempo) ed è tutt’altro che fantasy. 
Sono tutt’altro che storielle per spaventare i bambini. Il lupo mannaro nella sua figura rispettata e per le sue prodezze metteva “paura” non solo ai bambini.
Non potrebbe essere altrimenti per un combattente che non teme né la “morte”, né “l’inferno”, né “il diavolo”, né le “streghe” e per comprenderlo nel profondo non si può limitare geograficamente. Si noti anche come queste figure siano fortemente legate alla natura.

Quello contro il gasparutto e il moduco è il primo di una lunga serie di processi contro benandanti (uomini e donne) che affermano di combattere la notte con streghe e stregoni per ottenere la fertilità dei campi e la prosperità dei raccolti. Questa credenza (di cui abbiamo accennato le presumibili origini rituali) non ricorre, per quanto ci è noto, in alcuno degli innumerevoli processi per stregoneria o superstizione svoltisi al di fuori del friuli. 

L'unica, straordinaria eccezione è data dal processo contro un lupo mannaro lituano, svoltosi a Jurgensburg nel 1692 - più di un secolo, dunque, dopo il processo contro il gasparutto ed il moduco, e all'altro capo d'europa. L'accusato, Thiess, un vecchio più che ottantenne, confessa apertamente ai giudici che l'interrogano di essere un lupo mannaro ("wahrwolff"). Ma il suo racconto si discosta molto dall'immagine della licantropia diffusa nella germania settentrionale e nei paesi baltici. Il vecchio dice di aver avuto in passato il naso rotto da un contadino di Lemburg, Skeistan, morto ormai da tempo.

Skeistan era uno stregone: e insieme con i compagni aveva portato i germogli del grano nell'inferno, perché le messi non crescessero. Accompagnato dagli altri lupi mannari, Thiess si era recato nell'inferno e aveva lottato con Skeistan. Questi, armato di un manico di scopa (l'attributo tradizionale delle streghe) avvolto in code di cavallo, aveva, in quell'occasione, colpito al naso il vecchio. Non si era trattato di uno scontro occasionale. Tre volte all'anno, nelle notti di santa lucia prima di natale, di pentecoste e di san Giovanni, i licantropi si recano a piedi, in forma di lupi, in un luogo situato «alla fine del mare»: l'inferno. Là essi lottano col diavolo e con gli stregoni, battendoli con lunghe fruste di ferro, e inseguendoli come cani. I lupi mannari - esclama Thiess - «non possono soffrire il diavolo». I giudici, presumibilmente stupiti, chiedono spiegazioni. Se i licantropi non possono soffrire il diavolo, perché si trasformano in lupi e scendono nell'inferno? Perché, spiega il vecchio Thiess, in questo modo essi possono riportare sulla terra ciò che gli stregoni hanno rubato - bestiame, grano e altri frutti della terra. Se non lo facessero, si verificherebbe ciò che era appunto avvenuto l'anno precedente: avendo tardato a scendere nell'inferno, i lupi mannari avevano trovato le porte sbarrate e non erano riusciti a riportare indietro il grano e i germogli sottratti dagli stregoni. Per questo l'annata precedente era stata così cattiva.
Quell'anno invece le cose erano andate diversamente, e, sempre grazie ai lupi mannari, il raccolto di orzo e di segala, nonché una ricca pesca, erano assicurati. A questo punto i giudici chiedono dove vanno i lupi mannari dopo morti.

Thiess risponde che essi sono sepolti come l'altra gente, ma le loro anime vanno in cielo, quanto alle anime degli stregoni, il diavolo le prende con sé. I giudici sono visibilmente sconcertati. Com'è possibile, chiedono, che le anime dei lupi mannari ascendano a dio, se essi non servono dio, bensì il diavolo? Il vecchio nega recisamente: i lupi mannari non servono affatto il diavolo. Il diavolo è a tal punto loro nemico che essi, simili a cani - perché i lupi mannari sono i cani di dio - lo inseguono, gli dànno la caccia, lo sferzano con fruste di ferro.
Essi fanno tutto ciò per il bene degli uomini: senza la loro opera il diavolo ruberebbe i frutti della terra e il mondo intero ne rimarrebbe privo. 
Non sono soltanto i lupi mannari lituani a combattere con il diavolo per i raccolti: così fanno anche i lupi mannari tedeschi, che però non sono membri della loro compagnia, e si recano in un loro inferno particolare; e lo stesso fanno i lupi mannari russi, che in quell'anno e nell'anno precedente avevano procurato alla loro terra un raccolto prospero e abbondante. 

Allorché, infatti, i lupi mannari sono riusciti a strappare al diavolo i germogli di grano rubati, li gettano nell'aria perché cadano su tutta la terra, sui campi dei poveri e su quelli dei ricchi. A questo punto, com'era prevedibile, i giudici cercano di strappare a thiess l'ammissione di aver stretto un patto col diavolo. Inutilmente il vecchio ripete, con monotona ostinazione, che lui e i suoi compagni sono «cani di dio» e nemici del diavolo, che essi proteggono gli uomini dai pericoli e garantiscono la prosperità dei raccolti. 
Viene chiamato il parroco, che lo redarguisce e cerca di fargli abbandonare gli errori e le diaboliche menzogne con cui ha cercato di velare i propri peccati. Ma anche questo tentativo è inutile. In uno scatto d'ira thiess grida al parroco che è stufo di sentir parlare delle sue cattive opere: sono migliori di quelle del parroco, e del resto lui, thiess, non sarà né il primo né l'ultimo a commetterle. Così il vecchio persiste nelle sue convinzioni e rifiuta di pentirsi; il primo ottobre 1692 è condannato a dieci colpi di frusta per le superstizioni e le idolatrie commesse. Qui non si tratta, è chiaro, di analogie più o meno vaghe, o della ripetizione di archetipi religiosi metastorici. Le credenze del vecchio lupo mannaro Thiess sono sostanzialmente identiche a quelle emerse nel processo dei due benandanti friulani. 

La lotta a colpi di bastone (perfino il particolare dei manici di scopa di cui sono armati gli stregoni lituani richiama i rami di sorgo, o saggina, usati dagli stregoni del Friuli) in determinate notti per ottenere la fertilità dei campi, minuziosamente, concretamente specificata – cosicché in Friuli si lotterà per le viti, in Lituania per l'orzo e la segala; infine, il combattimento per la fertilità inteso come opera non solo tollerata ma protetta da dio, che addirittura garantisce il paradiso alle anime di coloro che vi partecipano, tutto ciò non consente dubbi. E' evidente che ci troviamo di fronte a un unico culto agrario, che, a giudicare da queste sopravvivenze così lontane tra loro - la Lituania, il Friuli - dovette essere diffuso anticamente in un'area ben più vasta, forse nell'intera Europa centrale. Queste sopravvivenze, d'altra parte. Possono spiegarsi o con la posizione marginale del Friuli e della Lituania rispetto al centro di diffusione di queste credenze, oppure con un influsso, in entrambi i casi, di miti e tradizioni slave. Il fatto che, come vedremo, in zona germanica si abbiano tracce molto sbiadite del mito dei combattimenti notturni per la fertilità, farebbe propendere per la seconda ipotesi. Ma soltanto ricerche approfondite potranno risolvere questo problema. Ma non sono soltanto le credenze del vecchio Thiess a richiamare quelle dei benandanti friulani. Anche la reazione dei giudici di Jurgensburg ricalca fin nei particolari quella degli inquisitori di udine: entrambi rifiutano con stupore e indignazione il vanto paradossale dei benandanti, di essere paladini della «fede de christo», e dei lupi mannari, di essere «cani di Dio».

Entrambi cercano di identificare i benandanti e i lupi mannari con gli stregoni seguaci e adoratoti del diavolo. Questo riemergere di credenze verosimilmente molto più antiche si spiega, con ogni probabilità, con il fatto che alla fine del '600 i giudici lituani avevano cessato di servirsi della tortura e perfino delle domande suggestive nei confronti degli imputati. 
Che questa immagine positiva dei lupi mannari fosse ben più antica della fine del '600 
(NDR: positiva non vuol dire che regalavano mazzi di fiori e baci e abbracci, era un positivo necessario), è provato anzitutto dalla veneranda età di Thiess:

Verosimilmente egli aveva dovuto apprendere queste credenze nella sua, ormai remota, infanzia - il che ci porta già agli inizi del '600. 
Ma c'è un indizio ancora più probante. A metà del '500 il Peucer, dilungandosi sui licantropi e sulle loro straordinarie prodezze, inserì nel suo "Commentarius de praecipuis generibus divinationum" un aneddoto su un giovane di riga, che, nel corso di un convito, era caduto improvvisamente supino sul pavimento. 
Uno dei presenti riconobbe immediatamente in lui un lupo mannaro. 
Il giorno seguente il giovane raccontò di aver combattuto con una strega che si aggirava in forma di farfalla infuocata: i lupi mannari, infatti (commenta il peucer) si vantano di tener lontane le streghe. Si tratta, dunque, di una credenza antica: ma, come in friuli per i benandanti, i tratti originariamente positivi dei lupi mannari dovettero a poco a poco, sotto la pressione esercitata dai giudici, scomparire o snaturarsi nell'immagine orrenda dell'uomo-lupo devastatore di armenti. In ogni modo, sulla base di questo sorprendente parallelo lituano, è lecito affermare l'esistenza di una connessione, non analogica ma reale, tra benandanti e sciamani. 

Le estasi, i viaggi nell'al di là a cavallo di animali o in forma di animali (lupi, o, come vedremo in friuli, farfalle o topi) per recuperare i germogli del grano o comunque per assicurare la fertilità dei campi: questi elementi, a cui si aggiungono, come vedremo subito, la partecipazione alle processioni dei morti, che procura ai benandanti virtù profetiche e visionarie, si compongono in un quadro coerente, che richiama immediatamente i culti degli sciamani. Ma rintracciare i fili che legano queste credenze al mondo baltico o slavo esorbita evidentemente dai confini di questa ricerca. Torniamo, quindi, al friuli.
                                                                                                                      
“Carlo Ginzburg - I BENANDANTI - Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento”


-Orlando- 
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