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lunedì 25 giugno 2018

Idromele: la bevanda degli Dèi, parte IV

Mieli inebrianti

Il miele delle api mellifere è un prodotto ricercato dall’uomo sin dalla più remota antichità, cioè dai periodi dei Cacciatori-Raccoglitori, e nell’arte rupestre preistorica sono impresse scene di raccolta del miele datate a partire dai periodi Mesolitici (Crane, 2001).
Ed è dal miele che l’uomo ha appreso, aggiungendovi acqua e lasciando fermentare, a ricavare la più antica bevanda alcolica, l’idromele, che poteva raggiungere gradazioni dell’8-14%.
I dati archeologici, etnografici e mitologici hanno evidenziato un’antichissima sacralità associata al miele e alle api mellifere, tale per cui un po’ ovunque questi insetti furono considerati donatori di saggezza, di eloquenza e di sensibilità musicale e poetica.
In diversi ambiti culturali e religiosi associati all’utilizzo di prodotti inebrianti si è potuto individuare un sostrato più antico dove la bevanda inebriante originaria era ricavata dal miele e fu in seguito sostituita dal nuovo inebriante. E’ il caso del pulque delle antiche popolazioni messicane ed è il caso anche del vino dionisiaco. Come hanno ben evidenziato gli studi di Kerényi (1992: 51-5), la bevanda inebriante originaria dionisiaca era a base di miele e non di vino. Secondo la tradizione orfica il vino faceva parte degli ultimi – in ordine cronologico – doni di Dioniso (si vedano anche gli studi di Brusa Zappellini, 2002, 2010).
Ma l’ebbrezza associata al miele non è solamente dovuta all’idromele. In tutti i continenti dove vivono le api mellifere si hanno notizie di mieli di per sé inebrianti, cioè psicoattivi quando assunti senza la loro trasformazione in idromele, e la grande antichità del rapporto dell’uomo con le api e soprattutto con i suoi prodotti – miele e cera – fa sì che la scoperta umana di mieli psicoattivi si sia verificata un po’ ovunque sin dai tempi preistorici. E’ possibile che la mitizzazione e la sacralità delle api sia solo in parte dovuta alla scoperta e all’utilizzo dell’idromele, e che in diversi casi sia da ascrivere alla conoscenza di specifici mieli psicoattivi, frequentemente dotati di potenti proprietà allucinogene, delirogene, sedative o stimolanti, a seconda dei casi (Samorini, 2015).
Gli abitanti del Caucaso e della Turchia conoscono bene questo miele, chiamato oggigiorno deli bal (i.e. “miele matto”); in piccole quantità (un cucchiaino) viene mangiato come tonico e, sempre in quantità moderate, è aggiunto alle bevande alcoliche per renderle maggiormente stimolanti e inebrianti. Nel XVIII secolo questo miele veniva commercializzato in grosse quantità, esportato per lo più verso l’Europa, dove era consumato come additivo delle bevande alcoliche nelle osterie (Mayor, 2003: 146-7). Ogni anno nelle regioni caucasiche si verificano casi di intossicazione con questo miele, generalmente non gravi, e sembrano più frequenti nelle annate secche che in quelle umide.
Le proprietà psicoattive e tossiche di questo miele delle regioni del Mar Nero sono dovute al fatto che le api lo ricavano da pollini di fiori di alcune specie di rododendro, in particolare Rhododendron ponticum L. e R. luteumSweet, della famiglia delle Ericaceae. Già gli antichi avevano compreso l’associazione fra questo miele e il rododendro. Plinio (Historia Naturalis, XXI, 77), che scriveva nel primo secolo d.C., riportava che “Nella stessa zona del Ponto, là dove si trova la popolazione dei Sanni, c’è un altro tipo di miele, che chiamano menòmeno4 perché provoca la pazzia. Si pensa che questa caratteristica derivi dal fiore del rododendro”. Eliano riteneva che si trattasse invece del fiore del bosso.

Come detto, mieli inebrianti sono noti in tutte le regioni dove vivono le api e le vespe mellifere. I Gurung dell’Himalaya nepalese conoscono un miele inebriante fabbricato da api che hanno raccolto il nettare dai fiori di Entada gigans (L.) Fawc. & Rendle (Leguminosae, sin. E. scadens) (Coburn, 1984, p. 82). In Brasile, A São Paulo, è noto un miele inebriante chiamato feiticeira (i.e. “fattuchiera”), prodotto da api privi di pungiglione appartenenti forse a una specie di Trigona. Il medesimo miele viene chiamato anche ironicamente vamo-nos-embora, che significa “andiamocene”, per via del fatto che coloro che ne assumono diventano troppo ebbri per ritrovare la strada di uscita dalla foresta (Ihering, 1903, p. 272). Nel Paraguay, il miele di una specie d’ape, chiamata cabatatú, “da un violento mal di testa e causa un’ebbrezza forte come quella prodotta dall’acquavite” (Azara, 1809, I: 160). In Misiones, Argentina, Spegazzini (1909: 40) ebbe la possibilità di sperimentare su sé medesimo un miele narcotico chiamato popolarmente mombuca, e riportò che le proprietà narcotiche erano dovute molto probabilmente a fiori di piante psicoattive visitate dalle api. Si ha notizia di un miele psicoattivo anche nella provincia boliviana di Chiquitos, chiamato omocayoch, di buon sapore ma inebriante “come un liquore, causante spesso perdita temporanea della ragione” (D’Orbigny, 1839-1943, cit. in Schwartz, 1948: 132). Ihering (1903: 273) considerava l’effetto del miele prodotto da certe api come depressivo, mentre quello prodotto da certe vespe come esilarante. L’opposizione reale e mitologica fra mieli inoffensivi e mieli inebrianti dell’Amazzonia è stata studiata approfonditamente con una metodologia strutturalista da Lévi-Strauss (1982).

E’stato ipotizzato che il miele utilizzato ancora oggigiorno da alcune popolazioni Maya come ingrediente per la preparazione della bevanda inebriante del balché, possa essere o esser stato psicoattivo. La sua psicoattività sarebbe dovuta al fatto che le api si cibano di pollini di fiori di Turbina corymbosa (L.) Raf., una convolvulacea allucinogena producente alcaloidi ergolinici (Rätsch, 1998, p. 753; Ott, 1998, p. 262). Effettivamente già Roys (1931, p. 281) riportava che “il miele aromatico ricavato dai fiori di Turbina corymbosa è ritenuto dai Maya yucatechi la fonte di una potente bevanda”, e vi sono documenti etnografici in cui si evidenzia la preparazione nella penisola dello Yucatan di un tipo di miele di api melipone dove gli alveari venivano portati nelle radure della foresta dove cresceva la Turbina corymbosa e facendo attenzione che non crescesse alcun altro fiore (Quintanilla & Eastmond, 2012, pp. 270-1).

Fonti:
- Mieli inebrianti (Samorini)
http://samorini.it/site/etnobotanica/varia/mieli-inebrianti/

Orlando, in collaborazione con le vie di Wodanaz

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